News
Archivio newsFinanziamento o versamento: la sostanza prevale sulla forma per individuare l’operazione del socio
Con sentenza n. 7919 del 20 aprile 2020, la Corte di Cassazione ha confermato l’irrilevanza delle voci utilizzate in bilancio per qualificare i versamenti dei soci, valorizzando invece la reale volontà negoziale delle parti al momento dell’erogazione. Nella specie, la scarsa dotazione finanziaria della società e l’inadeguatezza del capitale sociale rispetto allo scopo da perseguire sono in grado di far presumere che l’erogazione del socio costituisca un versamento in conto futuro aumento di capitale, nonostante la sua qualificazione come finanziamento.
La vicenda trae origine da un’opposizione a decreto ingiuntivo promossa da una S.a.s. convenuta, insieme alla socia accomandataria, dall’altro socio per il pagamento di una somma di denaro, che secondo la società doveva qualificarsi come somma versata dal socio in conto capitale, anziché quale importo concesso a titolo di mutuo.
In primo grado il Tribunale respingeva l'opposizione della società mentre la Corte d'Appello dichiarava la nullità della sentenza di primo grado per omessa sottoscrizione della stessa, e rimetteva gli atti al giudice di primo grado. Il Tribunale confermava la precedente pronuncia impugnata nuovamente innanzi al giudice di appello che accoglieva il gravame condividendo la tesi della società.
Secondo la Corte d'Appello infatti non era stato assolto dal socio l’onere di provare il titolo dell’erogazione. In particolare, la società, interamente a controllo familiare con soci due coniugi, era stata costituita per l’acquisto un'unità immobiliare onde ampliare lo studio professionale del socio che aveva eseguito l'erogazione.
Il capitale sociale di 2.000 euro risultava inadeguato all’acquisto immobiliare (dell’importo di 300.000 euro) e rendeva la società scarsamente solvibile oltre che non idonea a ottenere dotazioni finanziarie da terzi, in assenza di diverse garanzie dei soci.
Rilevava inoltre la Corte d'Appello che la tempistica dei versamenti, eseguiti in rapida successione e immediatamente dopo la costituzione della società, e proprio per consentire l’acquisto dell'unità immobiliare, fosse significativa della consapevolezza, da parte del socio erogante, che quegli importi non sarebbero più stati restituiti se non dopo la messa in liquidazione della società. Questa, infatti, sarebbe stata in grado di restituire il finanziamento solo dopo la vendita del cespite immobiliare acquistato con quei fondi.
Il giudice del gravame negava così che le annotazioni contabili fatte valere dal socio erogante avessero valore confessorio, essendo compatibili con entrambe le tesi esposte in giudizio. Secondo la Corte d’Appello dunque il socio era consapevole di imprimere al versamento una destinazione economica praticamente irreversibile, nonostante la forma contabile utilizzata fosse quella di un finanziamento soci.
Il socio erogante proponeva ricorso eccependo diversi motivi di gravame.
Innanzitutto, la violazione o falsa applicazione dell’art. 2709 c.c., in quanto i due elementi posti a base del ragionamento presuntivo non erano sufficientemente gravi e precisi. I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato il motivo, evidenziando che il ragionamento presuntivo doveva valutarsi nella sua interezza, senza eseguire un “esame parcellizzato” degli elementi presuntivi posti a fondamento dalla Corte d’Appello.
Con il secondo motivo il ricorrente eccepiva la violazione e falsa applicazione della norma in materia di interpretazione dei contratti, sostenendo che la natura del versamento avrebbe dovuto ricavarsi dall’iscrizione in bilancio quale finanziamento, al pari delle scritture contabili e della scheda contabile, prodotta in precedenza.
Al riguardo la Cassazione, dopo aver ricordato che le erogazioni di somme da parte dei soci possono avvenire a titolo di mutuo o di versamenti in conto capitale (o altre denominazioni), precisa che questi ultimi versamenti danno luogo a crediti esigibili soltanto per effetto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo di liquidazione, essendo quindi connotati da “postergazione della …restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali” e dalla posizione del socio quale “residual claimant”. Di conseguenza è irrilevante la denominazione dell’erogazione, dovendosi dare rilievo al modo in cui il rapporto è stato attuato e alle finalità pratiche cui esso è diretto. In particolare, la Cassazione riconosce che seppur il sindacato di legittimità non possa investire l’operazione interpretativa del giudice di merito, le ragioni addotte dalla Corte d’Appello per qualificare l’erogazione alla stregua di un versamento in conto capitale (scarsa dotazione finanziaria della società, inadeguatezza del capitale sociale rispetto allo scopo da perseguire ed erogazione evidentemente connessa all’operazione da eseguire) fossero condivisibili. La scelta della denominazione adottata e del trattamento riservato ai versamenti (finanziamento anziché versamento in conto capitale) era avvenuta sulla base di ragioni fiscali, che non corrispondevano alla realtà effettiva.
Il ricorrente lamentava inoltre che i versamenti eseguiti, ove qualificati come conferimenti, avrebbero dovuto condurre ad un aumento della sua partecipazione al capitale sociale, ovvero avrebbe dovuto l’altro socio dimostrare di aver eseguito conferimenti di valore equivalente. Non essendosi realizzata nessuna delle due circostanze, i versamenti non potevano essere considerati effettuati in conto capitale. La Suprema Corte ha respinto anche questo motivo perché il socio ricorrente non aveva colto “la ratio decidendi della sentenza impugnata”, secondo la quale esisteva una prevalenza della sostanza sulla forma.
La sentenza ha applicato in modo efficace la disciplina della postergazione dei finanziamenti soci, dettata in materia di società di capitali, anche alla società per accomandita, società di persone. Ha inoltre confermato il principio, giù espresso in precedenti pronunce (ex multis cfr. Cass. 8 giugno 2018, n. 15035 e Cass. 23 marzo 2017, n. 7471) secondo cui per la qualificazione dell’erogazione, piuttosto che la forma, debba esaminarsi la sostanza data dalla reale volontà delle parti, avendo cura di esaminare come la concreta attuazione del rapporto, le finalità dell’erogazione e gli interessi sottesi all’operazione.