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Coronavirus: finanziamenti garantiti per le imprese con vincoli sui livelli occupazionali

Il decreto Liquidità prevede che SACE S.p.A. conceda, fino al 31 dicembre 2020, garanzie alle imprese per prestiti bancari nel rispetto della normativa sugli aiuti di Stato. Le garanzie sono concesse per 200 miliardi di euro, di cui almeno 30 a supporto delle piccole e medie imprese, inclusi i lavoratori autonomi ed i liberi professionisti che abbiano pienamente utilizzato la loro capacità di accesso al Fondo di garanzia. L'impresa si impegna a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali e, qualora abbia un numero di dipendenti o un fatturato superiori a determinate soglie, deve fornire anche una garanzia in tema di “impatto sui livelli occupazionali e mercato del lavoro”. Quali sono gli effetti di tale disposizione?

La breve riflessione che segue intende soffermarsi unicamente su alcuni vincoli, in materia di lavoro, legati ai prestiti per le imprese che hanno bisogno di liquidità e che si rivolgono al sistema bancario per trovare mezzi finanziari atti ad affrontare gli effetti della crisi del Coronavirus: il tutto, sulla base delle indicazioni fornite dal decreto Liquidità (D.L. n. 23/2020).

L’art. 1 parla di impegni assunti dalla SACE S.p.A. per prestiti garantiti attraverso il sistema bancario nei confronti delle imprese italiane e nel rispetto della normativa sugli aiuti di Stato, per 200 miliardi di euro per il mercato interno, di cui almeno 30 a supporto delle piccole e medie imprese, ivi inclusi i lavoratori autonomi ed i liberi professionisti, che abbiano pienamente utilizzato la loro capacità di accesso al Fondo di garanzia previsto dall’art. 2, comma 100, lettera a), della legge n. 662/1996. Gli aiuti non riguardano la categoria delle imprese in difficoltà alla data del 31 dicembre 2019: tale qualificazione deriva dalla determinazione contenuta nel Regolamenti CE n. 702/2014 e n. 1388/2014.

Prima di entrare nel merito delle garanzie richieste in materia di lavoro ritengo opportuno focalizzare l’attenzione sulla definizione di piccola e media impresa e di impresa in difficoltà (che viene, peraltro, esclusa dai prestiti):

· Per piccola impresa la definizione comunitaria si riferisce alle aziende che occupano meno di 50 dipendenti e che realizzano un fatturato annuo o un totale di bilancio non superiori a 10 milioni di euro. All’interno di tale definizione si distinguono le c.d. “micro imprese” che sono dimensionate fino a 9 dipendenti e che presentano un fatturato o un bilancio annuo inferiore ai 2 milioni di euro;

· Per media impresa gli organismi comunitari fanno riferimento alle aziende con un organico compreso tra i 50 ed i 249 dipendenti con un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro o un bilancio inferiore a 43 milioni;

Pur non esistendo, a livello comunitario, una specifica definizione si può ritenere che una piccola o media impresa sia in difficoltà allorquando, essendo una società a responsabilità limitata, abbia perso più della metà del capitale sottoscritto e la perdita di più di ¼ del capitale sia avvenuta nell’ultimo anno, oppure, in presenza di una società con soci illimitatamente responsabili, abbia perso oltre la metà del capitale di cui più di ¼ negli ultimi 12 mesi, oppure, qualora ricorrano le condizioni previste dal diritto nazionale per l’apertura di una procedura concorsuale per insolvenza.

Chiusa questa brevissima parentesi vado ad esaminare due garanzie tra quelle previste dalla norma e che riguardano la materia lavoro. Mi riferisco:

· All’art. 1, comma 1, lettera l) ove si afferma che “l’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali”;

· All’art. 1, comma 7, ove si afferma che qualora l’impresa beneficiaria abbia più di 5.000 dipendenti o fatturato superiore a 1,5 miliardi di euro, deve fornire una serie di garanzie tra cui alla lettera d) si parla di “impatto sui livelli occupazionali e mercato del lavoro”.

Ora, è indubitabile che, attraverso la decretazione di urgenza che ha accompagnato la crisi epidemiologica, molte cose sono passate attraverso il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, se non con l’accordo, almeno attraverso l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto da svolgere, in tempi brevi ed in via telematica, per poter accedere ai vari ammortizzatori sociali. Conosco, perfettamente, le criticità che hanno accompagnato le scelte dell’Esecutivo ma ritengo che in questa grave situazione che ha interessato tutto il Paese, sia stato giusto il coinvolgimento delle parti sociali: parimenti, pur nella obiettiva difficoltà che, per i datori di lavoro, scaturisce dalla sospensione fino al 15 maggio 2020 delle procedure collettive di riduzione di personale e dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, a prescindere dai limiti dimensionali del datore di lavoro, ritengo che tale decisione sia stata sensata, in quanto il Governo ha messo in campo ammortizzatori sociali che, nelle varie declinazioni (CIGO, FIS, Fondi alternativi, CISOA, CIG in deroga), hanno assicurato un temporaneo salvataggio dei posti a tutti i lavoratori in forza alla data del 23 febbraio (ora, 17 marzo per effetto dell’art. 41 del D.L. n. 23/2020).

Nei casi che vado a commentare, ritengo, però che la situazione si presenti in maniera diversa ed auspico che nel corso del dibattito parlamentare si possa introdurre qualche accorgimento, atteso che, così come è scritta (mi riferisco all’ipotesi richiamata all’art. 1, comma 1, lettera l) potrebbe essere vista come un impedimento al datore di lavoro ad esercitare attività di impresa nel solco descritto dall’art. 41 della Costituzione.

La disposizione, infatti, è stata scritta senza alcuna scadenza: sarebbe ragionevole, quindi, fissare un limite (cosa che, ad esempio, si è visto, più volte, negli anni passati in presenza di disposizioni analoghe) che potrebbe essere biennale o, in alternativa, correlato alla restituzione del prestito o di gran parte dello stesso.

C’è, poi, la questione della “gestione dei livelli occupazionali con accordo sindacale”. Credo che il buon senso dovrebbe fare in modo di escludere, prendendo spunto dalla legislazione comunitaria e dagli indirizzi espressi sin dal 2009 dalla Corte di Giustizia Europea, i licenziamenti per giusta causa, i licenziamenti per raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia (comprendendo anche i licenziamenti, magari concordati con gli interessati, per “quota 100” o per l’APE), i licenziamenti per superamento del periodo di comporto o per inidoneità.

La disposizione sembra porre un freno anche ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (e tali sono fino a quattro unità anche nelle aziende che in caso di licenziamenti per riduzione di personale sono tenute al rispetto della procedura ex lege n. 223/1991): ciò potrebbe portare il datore di lavoro, per non cadere in una illegittimità del recesso sanzionata in giudizio, a trovare la strada per un accordo economico incentivato.

La disposizione sembra (e, forse, questo è il giusto significato) riferirsi (ma, allora, è il caso di scriverla meglio) alla gestione delle eccedenze collettive. Qui, il dettato normativo sembra dire alle parti: “dovete gestire le questioni attraverso accordi”: cosa sensata, perché lo Stato ha messo liquidità sul tappeto destinata al rilancio economico dell’impresa, ma proprio perché sensata, sarà opportuno trovare soluzioni che non prevarichino le prerogative datoriali ma dove, al di là del mero rispetto procedurale della informazione, della consultazione e dell’esame congiunto, si giunga, se si dovranno diminuire gli organici, a criteri applicativi condivisi.

La seconda criticità da esaminare riguarda le imprese con oltre 5.000 dipendenti che debbono offrire garanzie sugli “impatti occupazionali e mercato del lavoro”. Qui non si parla, esplicitamente, di accordi sindacali ma la frase appare di significato oscuro: probabilmente, tale garanzia sarà ben esplicitata nel D.M. del Ministro dell’Economia “concertato” con quello dello Sviluppo Economico, sulla base dell’istruttoria della SACE S.p.A. ma, mi riesce difficile, al momento, dare un significato alla frase sopra riportata a meno che non ci si riferisca ad un piano di assunzioni aggiuntive ben cadenzate a seguito dei finanziamenti ricevuti. Non credo, peraltro, che con la definizione di “mercato del lavoro” si possa far riferimento ad assunzioni concordate con le organizzazioni sindacali: vedremo gli sviluppi.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/04/23/coronavirus-finanziamenti-garantiti-imprese-vincoli-livelli-occupazionali

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