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Archivio newsCoronavirus: nuove assunzioni a termine con quali causali?
Settori economici completamente paralizzati e settori che, invece, non solo sono ancora operativi, ma addirittura registrano punte di attività notevoli come ad esempio quello della grande distribuzione. Lo scenario delineatosi nelle ultime settimane rivela profondi contrasti. Per far fronte alle punte di attività, senza incrementare in via definitiva la consistenza dell’organico, è possibile ricorrere ai contratti a termine. Il decreto Dignità non richiede alcuna causale per la prima assunzione a termine con contratto di durata pari, o inferiore, a dodici mesi. Quando scatta l’obbligo di inserire una causale? E quale causale devono indicare i datori di lavoro ai tempi dell'emergenza COVID-19?
Il tema del presente articolo sarà trattato in uno dei prossimi numeri di Guida alle Paghe, il mensile diretto da Massimo Brisciani, dedicato ai professionisti e alle aziende che si misurano quotidianamente con l'elaborazione della busta paga e gli adempimenti amministrativi connessi alla gestione del rapporto di lavoro.
Lo scenario delineatosi nelle ultime settimane propone una stridente antitesi fra settori economici completamente paralizzati ed altri che, invece, non solo sono ancora operativi, ma addirittura registrano punte di attività notevoli; si pensi ai magazzini a libero servizio (i c.d. supermercati), alle strutture sanitarie che hanno dovuto dotarsi di personale medico e paramedico aggiuntivo, a tutte quelle imprese del settore chimico farmaceutico, tessile o metalmeccanico che, per la specialità dei loro prodotti (mascherine, caschi sanitari protettivi, lettini attrezzati, macchinari per terapia intensiva, prodotti per analisi virali, ecc.) sono di supporto al Sistema Sanitario Nazionale.
Per far fronte alle suddette punte di attività, senza incrementare in via definitiva la consistenza dell’organico, è possibile ricorrere ai contratti a termine; tanto più che, per la prima assunzione a termine con contratto di durata pari, o inferiore, a dodici mesi, la legge non richiede alcuna causale (cfr. art. 19, comma 1, D.lgs. n. 81/15).
Il Decreto legge 12 luglio 2017, n. 87, convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2018, n. 96 (c.d. decreto Dignità), ha invece (re)introdotto l’obbligo di indicare la causale giustificatrice:
a) per i contratti di durata ultrannuale, ovvero
b) per le proroghe disposte dopo i primi dodici mesi, ovvero
c) per gli eventuali rinnovi.
Le continue modifiche normative, nonché le molteplici diverse interpretazioni giurisprudenziali, impongono alcune riflessioni sulle suddette causali, tantopiù nell’attuale situazione eccezionale e straordinaria, che offre ampie opportunità di impiego dell’istituto.
Le esigenze imprenditoriali connesse ai picchi di attività suggeriscono, in via generale, di utilizzare la causale delle «esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria» di cui all’art. 19, comma 1, lett. b), del D.lgs. n. 81/15.
Questa causale, finora, ha avuto “scarso successo”. Ciò essenzialmente per due ragioni.
La prima ragione è la genericità del requisito della “significatività” dell’incremento della “attività ordinaria”, in quanto il legislatore non chiarisce quando un certo incremento possa effettivamente ritenersi “significativo”. Ciò implica, dunque, che, in assenza di indici concreti di misurazione, l’eventuale contrasto fra datore e lavoratore, circa la sussistenza o no del requisito, potrà essere risolto solo in giudizio, facendosi carico dei tempi, dei costi e dell’incertezza del processo.
La seconda ragione è la scarsa utilità applicativa del requisito della “non programmabilità” dell’incremento della “attività ordinaria”; invero, questa “non programmabilità” dell’incremento esclude la giustificazione del contratto a tempo determinati in tutti i casi in cui i picchi di “attività ordinaria” sono imputabili ad atti gestionali, relegando l’utilizzo del contratto a termine ai soli casi in cui l’esigenza occupazionale sorge per eventi del tutto casuali o, comunque, indipendenti dall’assetto organizzativo deciso dall’imprenditore. Se non bastasse, perfino le intensificazioni cicliche, secondo alcuni autori, non sarebbero fronteggiabili ricorrendo a questa causale, stante la coincidenza tra i concetti di prevedibilità (dei cicli) e programmabilità (dell’esigenza imprenditoriale).
Tuttavia, proprio i picchi di attività aziendale registrati in alcuni settori, in seguito all’emergenza COVID-19, presentano tutti i requisiti richiesti dalla fattispecie di cui all’art. 19, comma 1, lett. b) del D.lgs. n. 81/15, rendendo così pienamente operativa una causale altrimenti destinata a cadere nell’oblio. Si pensi al caso della grande distribuzione organizzata: il picco di lavoro è certamente “temporaneo”, in quanto inevitabilmente connesso alla durata della pandemia; allo stesso tempo, esso è altresì “significativo” e “non programmabile”, in quanto alimentato dal panico della clientela e dall’ansia dell’approvvigionamento, e cioè da fenomeni che hanno una dimensione di massa, e per giunta non pianificabili, stante l’imprevedibilità delle reazioni della clientela.
I datori di lavoro che, invece, hanno necessità di assumere personale a tempo determinato, per consentire la riconversione della propria attività ordinaria in altra attività di supporto all’emergenza COVID-19 (ad esempio per produrre mascherine, tute e ventilatori) potranno utilizzare la causale delle «esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività» di cui all’art. 19, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 81/15.
Si tratta, anche in questo caso, di una causale scarsamente utilizzata finora, poiché esclude tutte le esigenze occupazionali riconducibili all’ordinaria attività aziendale.
L’attuale formulazione, nel fare riferimento non solo alla “temporaneità” dell’esigenza ma anche alla “oggettività” della stessa, nonché alla sua estraneità all’ordinaria attività di impresa, sembra voler declinare il carattere dell’esigenza in termini di eccezionalità della stessa.
Inoltre, la norma sembra escludere che un contratto a tempo determinato possa essere stipulato per ragioni di tipo soggettivo riferibili al lavoratore, mentre sembra consentire l’assunzione a termine ogniqualvolta sia sussistente, e verificabile, un assetto aziendale, anche derivante da libere scelte imprenditoriali, da cui discenda un’esigenza temporanea e destinata a cessare ad una certa data, determinata o comunque determinabile.
In particolare, in base al parametro dell’oggettività, il carattere della temporaneità non può essere valutato ex ante, secondo un giudizio prognostico sulla precarietà dell’esigenza, dovendo piuttosto esservi la certezza che quest’ultima sia destinata a cessare, ponendo così fine anche alla necessità occupazionale.
Nel caso della riconversione imprenditoriale motivata dall’emergenza COVID-19, tuttavia, è evidente che sono integrati perfino i suddetti stringenti requisiti, stante l’implicita estraneità all’ordinaria attività aziendale di una produzione riconvertita, nonché la temporaneità ed oggettività dell’esigenza, vista la natura sicuramente transitoria della pandemia.
Non solleva particolari dubbi interpretativi la causale dell’assunzione a termine per esigenze sostitutive.
Occorre solo precisare che le esigenze sostitutive sono, per loro stessa natura, temporanee e riconducibili all’ordinaria attività aziendale.
Ciò significa che la suddetta causale potrà essere utilizzata anche per far fronte alle assenze determinate da malattia, anche per il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria (cfr. art. 26, D.L. n. 18/20), dalla fruizione dei congedi per i genitori (cfr. artt. 23 e 25, D.L. n. 18/20), dei permessi per l’assistenza al familiare disabile (cfr. art. 24, D.L. n. 18/20), ovvero dal godimento delle ferie e dei permessi residui per quei lavoratori che non possono svolgere la prestazione in modalità agile (cfr. art. 87, D.L. n. 18/20).