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Archivio newsContratti a termine: proroghe e rinnovi tra vantaggi e criticità
Il decreto Cura Italia, convertito con modificazioni in legge, “congela” il divieto di rinnovare o prorogare contratti di lavoro a termine per il periodo di fruizione della cassa integrazione, bloccando, allo stesso tempo, anche la sanzione prevista e che dispone la trasformazione a tempo indeterminato del contratto di lavoro. Medesima apertura è prevista anche per l’utilizzo della somministrazione di lavoro. Il decreto, purtroppo, non sblocca il divieto per i contratti di lavoro intermittente. Al di là delle criticità della norma, si registra un’apertura: la bozza del decreto Maggio sospende, infatti, il contributo addizionale per i contratti a tempo determinato rinnovati entro la data del 31 agosto.
Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge n. 27/2020, di conversione del decreto “Cura Italia”, è ora possibile prorogare e rinnovare contratti a tempo determinato, bypassando la regola generale che prevede un divieto all’apposizione di un termine al contratto di lavoro qualora l’azienda abbia in corso, nelle medesime unità produttive, una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni.
La disposizione, contenuta nell’articolo 19-bis, va a “congelare” il suddetto divieto (previsto dall’articolo 20, comma 1, lettera c), del Decreto Legislativo n. 81/2015) per il periodo di fruizione dell’ammortizzatore sociale, bloccando, allo stesso tempo, anche la sanzione ivi prevista e che dispone la trasformazione a tempo indeterminato del contratto di lavoro.
Medesima apertura è prevista anche per l’utilizzo della somministrazione di lavoro. Anche in questo caso, le aziende potranno rinnovare o prorogare contratti di somministrazione durante il periodo di fruizione della Cassa integrazione per COVID-19, superando il divieto ordinariamente imposto dal legislatore e contenuto nell’articolo 32, comma 1, lettera c, del Decreto Legislativo n. 81/2015.
La norma, purtroppo, non sblocca il medesimo divieto per i contratti intermittenti. Infatti, il legislatore del Jobs Act ha inserito un analogo divieto, all’utilizzo di questa forma contrattuale, nel caso in cui l’azienda utilizzi la cassa integrazione guadagni. In questo caso, quindi, eventuali termini previsti per i contratti intermittenti in essere, non potranno essere prorogati o rinnovati.
Oltre a questa dimenticanza, la disposizione contiene dei lati oscuri che è il caso di evidenziare, al fine di porli sotto la lente di ingrandimento e richiedere all’ente preposto (Ministero del Lavoro) i dovuti chiarimenti in merito.
La ratio della norma è evidentemente quella di dare continuità ai rapporti di lavoro flessibili, quali quelli a tempo determinato ed in somministrazione a termine, al fine di evitare, in questo periodo di crisi, che i lavoratori si possano trovare privi di qualsiasi tutela indennitaria.
In quest’ottica, ritengo che quando si parla di rinnovo, detta possibilità vada interpretata nel senso di dare continuità ai rapporti di lavoro che non possono essere prorogati, in quanto si è raggiunto il massimale di proroghe a disposizione (massimo 4, così come prescritto dall’articolo 21, comma 1, del decreto legislativo 81/2015). Ciò in quanto non penso ci possa essere una liberatoria all’assunzione anche di ex lavoratori a termine, magari con rapporti terminati da alcuni anni, al fine di realizzare una sorta di mera sostituzione di lavoratori in Cassa integrazione. Questa interpretazione restrittiva è ancora più evidente per il fatto che la norma prevede anche il blocco dello “stop&go”. In pratica, il rinnovo del contratto a termine sarà possibile solo in continuità con il precedente contratto.
La mia è solo una interpretazione di buon senso, proprio per evitare che vi siano abusi sull’utilizzo, durante il periodo di fruizione della CIG, di queste forme contrattuali che possono essere utilizzate lasciando, nel contempo, i propri lavoratori in Cassa integrazione.
E passiamo ad una altra possibile criticità. Il titolo dato alla norma (articolo 19-bis) è il seguente: “Norma di interpretazione autentica in materia di accesso agli ammortizzatori sociali e rinnovo dei contratti a termine”. Quindi, secondo il legislatore, la disposizione fornisce una interpretazione autentica sull’utilizzo di queste due tipologie contrattuali durante il periodo di fruizione degli ammortizzatori sociali COVID-19 (articoli da 19 a 22 del decreto “Cura Italia”). Non è assolutamente così. Il legislatore ha ritenuto, per le considerazioni sopra fornite, di “alleggerire” le regole previste ordinariamente per l’utilizzo dei contratti a termine, anche a scopo di somministrazione. Non si tratta di una interpretazione autentica, in quanto non vi è alcun contrasto interpretativo da dirimere, bensì si tratta di una nuova disposizione normativa che va a sospendere, a determinate condizioni, un divieto ordinariamente previsto per le casistiche indicate dall’articolo 20, del TU sui contratti di lavoro. Ciò sta a significare, a mio avviso, che l’articolo 19-bis non potrà sanare eventuali proroghe o rinnovi avvenuti prima della vigenza della norma, in quanto la disposizione non ha efficacia retroattiva, come, invece, avrebbe avuto una norma realmente interpretativa. In definitiva, a mio avviso, non si potrà sanare il passato. Contratti prorogati o rinnovati in vigenza del divieto potranno prevedere la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro.
Ancora più evidente è l’impossibilità di stipulare nuovi contratti a tempo determinato o in somministrazione a termine. La norma, infatti, non consente l’attivazione di nuovi rapporti a termine con soggetti che in precedenza non hanno avuto alcun rapporto di lavoro a termine con l’azienda.
Altra criticità, presente nel disposto normativo, è quella relativa all’applicazione della causale. Infatti, per quanto il legislatore abbia allargato le maglie delle regole sui rapporti a termine, per fare in modo che le aziende potessero proseguire rapporti di lavoro in scadenza, non ha pensato ad escludere anche gli altri vincoli previsti per l’utilizzo di queste forme contrattuali. Infatti, il contratto di lavoro (anche in somministrazione) va motivato. Cioè va indicata una delle causali previste dalla normativa (articolo 19, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015). Ciò andrà obbligatoriamente fatto, pena la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, nei seguenti casi:
• Proroga - qualora il contratto di lavoro superi complessivamente i 12 mesi, dalla sua istituzione,
• Rinnovo - sempre. In questo caso, secondo le indicazioni fornite dal Ministero del Lavoro, con la circolare n. 17/2018, viene considerato rinnovo anche qualora il lavoratore abbia avuto un pregresso rapporto in somministrazione con l’azienda, e viceversa.
Stesso discorso riguarda gli altri vincoli che soggiacciono al contratto a termine. Tra questi, il limite massimo di lavoratori a termine, in percentuale rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, e la durata massima complessiva che il lavoratore può avere in azienda.
Termino con una considerazione positiva. All’interno della bozza del decreto Maggio è prevista una norma che contempla la sospensione del contributo addizionale per i contratti a tempo determinato rinnovati entro la data del 31 agosto (articolo 33). Si tratta del contributo dello 0,50%, previsto dal cd. Decreto Dignità (decreto legge n. 87/ 2018).
Anche in questo caso, purtroppo, è auspicabile un chiarimento da parte del Ministero del Lavoro, ciò in quanto il contributo in questione è stato definito, con circolare n. 17/2018, dal Ministero del Lavoro quale “crescente” ad ogni rinnovo. Quindi, qualora vi sia un rinnovo, la contribuzione addizionale da non applicare sarà solo lo 0,50% di quest’ultimo contratto ovvero anche gli ulteriori 0,50% che l’ultimo rinnovo si porta dietro?
Per chiarezza, è il caso di fornire le due versioni, in caso di secondo rinnovo di un contratto a termine. Ordinariamente dovrei applicare il 2,40% dato dal 1,40% di contribuzione maggiorata e dallo 0,50% di contribuzione addizionale, moltiplicato per i 2 rinnovi.
Queste le possibili opzioni, con l’introduzione di questa esenzione:
1. 1,90%, dato dal 1,40% e dallo 0,50% che mi porto dal 1° rinnovo,
2. 1,40%, dato dall’applicazione della sola contribuzione maggiorata, in quanto il decreto aprile ha previsto la disapplicazione di tutto il contributo addizionale, anche quello riportato dai precedenti rapporti a termine.
Propendo per la seconda opzione, avendo la norma parlato di disapplicazione del “contributo addizionale”.
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