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Made in Italy: tutela rafforzata con l’eliminazione della certificazione “Covid free”

Con la conversione in legge del decreto Cura Italia sono state introdotte specifiche regole per la tutela del Made in Italy del comparto agroalimentare che nella prima fase di diffusione del virus era stato penalizzato dalla richiesta di certificazioni Covid free, non previste o necessarie in relazione all’assenza di contaminazione dal virus. In particolare, si tratta di norme di applicazione necessaria valide anche nei confronti dei clienti esteri, i quali quindi non potranno invocare la propria legislazione. Spetterà all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari provvedere all’accertamento delle violazioni sia d’ufficio, sia su segnalazione di qualunque soggetto interessato, e all’irrogazione delle sanzioni.

La legge di conversione del decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020 convertito in l. n. 27/2020), modificando la pregressa versione, ha introdotto specifiche regole per la tutela del Made in Italy del comparto agroalimentare che rischiava di essere ulteriormente pregiudicato da questo difficile periodo di emergenza sanitaria.

Già con la prima diffusione delle notizie sulla circolazione nel nostro Paese del Coronavirus, infatti, taluni acquirenti, soprattutto della grande distribuzione, richiedevano certificazioni sulla sicurezza di prodotti alimentari circa l’assenza di contaminazione da Covid-19.

Pratiche commerciali sleali

In particolare, è stato innanzitutto stabilito (comma 2-bis art. 78 D.L. n. 18/2020) che costituisca pratica commerciale sleale vietata nei rapporti tra acquirenti e fornitori la subordinazione dell’acquisto di prodotti agroalimentari, della pesca e dell’acquacoltura a certificazioni non obbligatorie riferite al COVID-19 né indicate in accordi di fornitura per la consegna dei prodotti su base regolare antecedenti agli accordi stessi.

È stato altresì espressamente previsto che tale nuova disposizione costituisca norma di applicazione necessaria, prevalente cioè rispetto ad altre norme straniere (ai sensi e per gli effetti dell’art. 17 della l. n. 218/1995).

Relativamente alla compravendita di prodotti agroalimentari che si trovano nel territorio nazionale, quindi, il legislatore ha evidentemente rafforzato la tutela, con la conseguenza che il giudice italiano al quale fosse sottoposta la questione, dovrà applicare la disposizione in parola anche alle fattispecie transnazionali soggette (per scelta delle parti o in virtù di altri criteri di collegamento) al diritto straniero.

L’acquirente straniero, pertanto, che avesse subordinato l’acquisto di un prodotto italiano alla presentazione di una certificazione circa l’assenza di contaminazione del prodotto dal virus, non potrebbe sottrarsi all’applicazione della nuova norma italiana, invocando l’applicazione di una propria diversa da legge.

Le nuove disposizioni sono di particolare interesse dal punto di vista commerciale, poiché finalizzate a tutelare le esportazioni di prodotti agroalimentari. L’intervento normativo mira, infatti, ad evitare che i produttori italiani di cibo, compreso il pesce, e bevande siano discriminati nel commercio internazionale in ragione della provenienza dei prodotti da un paese particolarmente colpito dall’epidemia da Covid-19, il che comporterebbe un evidente (ed ulteriore) danno al Made in Italy ed alla reputazione commerciale dei prodotti italiani.

Peraltro, l’individuazione di “norma di applicazione necessaria” di una disposizione interna rappresenta, per quanto è noto, un unicum in materia di diritto internazionale privato. L’art. 17 della l. n. 218/1995 sul diritto internazionale privato, infatti, nel prevedere che le norme di applicazione necessaria prevalgano su quelle interne di conflitto, stabilisce che le stesse siano individuate in ragione del loro oggetto e del loro scopo rimettendo all’interprete il ruolo della loro individuazione.

La normativa in esame costituisce una prima parziale attuazione della direttiva 2019/633, non ancora attuata in Italia poiché il termine per gli Stati Membri è il 1° maggio 2021 (Il disegno di legge di delegazione europea 2019 è in discussione al Senato).

La direttiva europea, la cui adozione la scorsa primavera era stata accolta con gran favore dai partecipanti la filiera agroalimentare italiana, introduce un livello minimo di tutela comune nell'Unione europea allo scopo di contrastare le pratiche che si discostano dalle buone pratiche commerciali, che sono contrarie ai principi di buona fede e correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte nelle relazioni tra acquirenti e fornitori.

La direttiva definisce un elenco minimo di pratiche commerciali sleali vietate e prevede altresì che gli Stati membri possano mantenere o introdurre norme nazionali più rigorose rispetto alle disposizioni previste dalla direttiva.

Infine, la nuova norma prevede (comma 2-ter) l’applicazione di una sanzione amministrativa da euro 15.000 ad euro 60.000, salvo che il fatto non costituisca reato, per il contraente (che non sia consumatore finale) che contravviene a tali obblighi, richiedendo cioè certificazioni non previste (di cui al comma 2-bis dell’art. 78 D.L. n. 18/2020).

A tal fine, l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sarà l’ente incaricato della vigilanza e dell’irrogazione delle relative sanzioni (l. n. 689/1981). L’Ispettorato provvederà all’accertamento delle violazioni sia d’ufficio, sia su segnalazione di qualunque soggetto interessato.

Il Ministero delle politiche agricole ha creato altresì un’apposita casella di posta elettronica cui indirizzare le segnalazioni di tali pratiche (indicazioni più precise possono essere rinvenute sul sito web del Ministero)

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/contratti-dimpresa/quotidiano/2020/05/09/made-italy-tutela-rafforzata-eliminazione-certificazione-covid-free

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