• Home
  • News
  • Covid-19 e protocolli “Fase 2”: come gestire il rapporto di lavoro e le regole sulla sicurezza

Covid-19 e protocolli “Fase 2”: come gestire il rapporto di lavoro e le regole sulla sicurezza

La ripresa delle attività produttive consentite nella cosiddetta “Fase 2”, così come la prosecuzione di quelle già prima ammesse, deve rispettare specifici protocolli volti alla tutela e sicurezza della salute: sia dei lavoratori, sia di tutti i soggetti presenti all'interno dell'azienda. Con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato, quindi, i lavoratori saranno tenuti a nuove regole di comportamento, alla cui violazione potranno conseguire anche sanzioni disciplinari. Inoltre, le imprese saranno tenute comunque al rispetto degli adempimenti previsti in materia di privacy e dovranno quindi integrare le procedure per la conservazione dei dati. Quali sono, in dettaglio, i nuovi obblighi a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro per la corretta e sicura ripresa delle attività nella Fase 2?

Ciascuna impresa, per poter procedere nella propria attività, è tenuta all’applicazione del Protocollo Condiviso in materia di igiene e sicurezza del lavoro del 24 aprile 2020 (un primo rivolto alla generalità dei datori di lavoro; un secondo riguardante i cantieri ed un terzo al settore dei trasporti e della logistica, tutti in pari data) che amplia e maggiormente dettaglia le precedenti regole e raccomandazioni, che sono destinate, salve implementazioni, a produrre certamente effetti anche dopo il 17 maggio.

Va immediatamente osservato che la mancata o insufficiente adozione, da parte di ciascuna impresa, delle disposizioni volte al contenimento delle possibilità di contagio che il Protocollo prevede a tutela della salute dei lavoratori dipendenti e di altri soggetti interessati alla vita aziendale (quali i fornitori), comporta l’immediata sospensione dell’attività produttiva, oltre alle eventuale responsabilità risarcitoria nei confronti di dipendenti e terzi in caso di danno alla salute etiologicamente connesso.

Il Protocollo, anche sulla scorta delle Disposizioni Tecniche emanate dall’INAL il 23 aprile 2020, interviene a regolamentare gli ambiti generali in tema di informazione dettagliata e formazione ai lavoratori, le modalità di ingresso ed uscita dai luoghi di lavoro, di soggiorno nei luoghi comuni di lavoro e di ristoro e quindi le regole che assicurino il distanziamento sociale, fino alla rimodulazione, se necessario, degli orari di lavoro, la sorveglianza sanitaria e, naturalmente, l’adozione da parte dei lavoratori dei dispositivi di protezione individuale.

Naturalmente, la virtuosa azione dell’imprenditore che intende salvaguardare la salute altrui ed insieme la propria ripresa economica, non può prescindere dalla collaborazione (tra altri) dei propri dipendenti, così come d’altronde accade in ogni altro aspetto dell’organizzazione di impresa e del lavoro, nella quale il lavoratore dipendente è sempre co-protagonista.

Ne consegue che, una volta che il datore di lavoro abbia provveduto alla informazione e alla formazione in ordine alle disposizioni Protocollari, riveste certamente rilievo disciplinare (art. 2016 cod. civ. e dell’art. 7 della L. n. 300/1970 la violazione da parte del dipendente delle nuove regole.

A titolo esemplificativo, potrebbe trattarsi dell’obbligo di sottoporsi alla misurazione della temperatura corporea (ancorché ciò gli impedirà l’ingresso sul luogo di lavoro), la mancata adozione di comportamenti idonei al mantenimento del distanziamento sociale (ove il datore di lavoro abbia provveduto a consentire il distanziamento con idonei strumenti organizzativi), il mancato utilizzo della mascherina protettiva e dei presidi di igienizzazione delle mani, il rifiuto di aderire ad una differente e necessaria organizzazione della turnistica o degli orari di lavoro, eccetera.

Sotto altra aspetto, inoltre, tali violazioni potrebbero risultare rilevanti anche in ambito di violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà (art. 2014 e 2015 cod. civ.) che secondo la giurisprudenza vanno intesi in senso ampio e comprensivo come il dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto dia lavoro.

Va osservato, peraltro ed in via generale, che l’esercizio da parte del datore di lavoro della sorveglianza circa l’adozione da parte del dipendente delle misure di igiene e sicurezza sul lavoro non è una mera facoltà, ma un obbligo antico posto dal D.lgs. n.81 /2008 (e ancor prima): l’esercizio del potere disciplinare in questa materia è da sempre considerato corollario necessario del dovere datoriale di sorveglianza, sia in chiave confermativa della serietà degli obblighi imposti al dipendente, sia in tema di esenzione della responsabilità datoriale per infortunio.

Tuttavia, l’esperienza professionale insegna che, al di là di clausole generiche sulla rilevanza disciplinare dell’inadempimento del lavoratore “ad ogni altra obbligazione discendente dal contratto”, la Contrattazione Collettiva - perfino quella dei settori manifatturieri ontologicamente più a rischio di infortunio o malattia professionale - non si è in genere peritata di fare oggetto di specifica previsione, nei propri codici disciplinari, delle infrazioni e delle correlate sanzioni in materia di sicurezza sul lavoro.

Prudenzialmente quindi, nella situazione emergenziale in cui ora le imprese debbono necessariamente operare, ciascun datore di lavoro è opportuno intervenga disponendo un proprio regolamento aziendale positivo di norme disciplinari (se possibile di concerto, ma non è a rigore necessario, con la RSU, magari anche in ambito di Comitato per l’applicazione del Protocollo condiviso) che dettagliatamente descrivano i comportamenti dovuti dai lavoratori quali destinatari del Protocollo di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro, e, con riguardo a ciascun obbligo, le sanzioni gradatamente applicabili in caso di infrazione, in sintonia sostanziale con la ordinaria progressione delle sanzioni prevista dal CCNL applicato al rapporto di lavoro.

Al codice disciplinare aziendale introdotto con regolamento, dovrà darsi la massima pubblicità possibile, rammentando, comunque, l’obbligatorietà, ai sensi dell’art. 7 della Legge n. 300/1970, della forma di pubblicità (non suscettibile di equivalenti) della affissione nell’unità produttiva in luogo oggettivamente accessibile a tutti i lavoratori (pena la nullità della sanzione disciplinare)

In questo contesto, merita qualche riflessione anche il trattamento dei dati dei dipendenti ed eventuali soggetti terzi interessati alla vita aziendale (quali fornitori) che ovviamente dovrà eseguirsi nel rispetto delle disposizioni normative volte al contenimento delle possibilità di contagio da Covid – 19.

Non sarà necessario acquisire alcun particolare consenso da parte dei dipendenti e fornitori, ma occorrerà una opportuna integrazione della informativa ai dipendenti e visitatori aziendali, ove già presente.

In sua mancanza, sarà necessario redigerla ex novo (ai sensi dell’art. 13 Reg. Eu n. 679\2016 ossia il “GDPR”).

Il trattamento dei dati rilevati dovrà avvenire, in ogni caso, tenuto conto anche del principio di “minimizzazione dei dati” e quindi dovranno essere trattati solo quei dati effettivamente adeguati, pertinenti e necessari rispetto alle finalità dichiarate e autorizzate dei disposti normativi emergenziali.

Ovviamente, sempre nel rispetto dei limiti ‘data retention' indicati nel Protocollo Condiviso in materia di igiene e sicurezza del lavoro del 24 aprile 2020.

A tal fine, sarà necessario verificare ed eventualmente integrare il Registro dei Trattamenti dei Dati relativamente ai flussi inerenti la gestione della sicurezza aziendale nei luoghi di lavoro.

Ove, inoltre, vengano utilizzati software o strumenti in grado di memorizzare ed organizzare i dati in formato elettronico, occorrerà compiere una valutazione finalizzata al rispetto dei principi privacy by design, con particolare riguardo alla protezione dei dati, al loro posizionamento ed alla profilazione degli utenti autorizzati.

Si pensi ad esempio ai dati su server in cloud o nei data center aziendali.

Tale valutazione dovrà essere effettuata secondo le logiche di accountability introdotte dal GDPR, considerando il coinvolgimento del Responsabile della Protezione dei Dati nominato ai sensi dell’art 37 GDPR (per le aziende che lo abbiano nominato) o del consulente privacy.

E’ fondamentale, quindi, attuare le procedure correlate, quali ad esempio istruire il personale, coordinare il management ICT, chi si occupa delle funzioni HR (risorse umane) e Privacy con il ‘Comitato per l'applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione’ istituito nelle aziende.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/sicurezza-del-lavoro/quotidiano/2020/05/12/covid-19-protocolli-fase-2-gestire-rapporto-lavoro-regole-sicurezza

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble