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Archivio newsCrisi d’impresa e Covid-19: gli impatti su concordati preventivi e accordi di ristrutturazione
Il legislatore intervenendo in materia fallimentare, con il decreto Liquidità, ha previsto la proroga di sei mesi per tutti i termini di adempimento in scadenza, tra il 23 febbraio e il 30 giugno 2020, dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione dei debiti che siano già stati omologati dal tribunale. L’intento è quello di evitare la vanificazione dei tentativi di soluzione della crisi, nell’attuale situazione emergenziale causata dal Covid-19, che potrebbero causare evidenti ricadute sulla conservazione di complessi imprenditoriali anche di rilevanti dimensioni. Sempre con l’obiettivo di conservare la continuità aziendale il decreto legge ha inoltre previsto l’improcedibilità di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020.
Il legislatore, con le disposizioni contenute al capo II del decreto Liquidità (D.L. n. n. 23/2020), è intervenuto sulla disciplina del Codice della crisi d’impresa e del fallimento: l’art. 9 – rubricato Disposizioni in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione – insieme all’art. 10 – rubricato Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza – prevedono la non applicazione di norme vigenti.
L’art. 9 dispone la proroga di sei mesi per tutti i termini di adempimento in scadenza, tra il 23 febbraio e il 30 giugno 2020, dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione dei debiti che siano già stati omologati dal tribunale, sottraendoli, almeno sino al 30 giugno 2020, alla risoluzione ex art. 186 l. f.
Si osserva subito che, il legislatore, non ha introdotto alcun profilo di merito – si pensi ai paletti dell’art. 1, primo comma, lettere i), l), m), n) del decreto legge in esame – neanche da parte del tribunale, così come avviene durante le procedure, considerato (oltretutto) che non per tutti i tipi di impresa la pandemia da Covid-19 ha costituito un problema.
E’ chiaro, dunque, che l’intento del legislatore è di evitare, senza porsi particolari problemi di ricaduta sui creditori, la vanificazione dei tentativi di soluzione della crisi nell’attuale situazione; le procedure di concordato o accordi di ristrutturazione, si legge nella relazione illustrativa, potrebbero, in questo contesto, risultare irrimediabilmente compromesse, con ricadute evidenti sulla conservazione di complessi imprenditoriali anche di rilevanti dimensioni.
Prevede poi, in sintesi, che - in relazione ai procedimenti di omologa dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione pendenti al 23 febbraio 2020 - vi sia la possibilità per il debitore di ottenere dal tribunale un nuovo termine (non superiore a novanta giorni) per elaborare ex novo una proposta di concordato o un accordo di ristrutturazione.
L’unica eccezione è l’inammissibilità dell’istanza se presentata nell'ambito di un procedimento di concordato preventivo nel corso del quale è già stata tenuta l'adunanza dei creditori quando non sono state raggiunte le maggioranze stabilite dall'articolo 177 l. f.
Disciplina, sempre a proposito dei procedimenti di omologa dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020, la possibilità per il debitore di optare per una soluzione più snella, consistente nella modifica unilaterale dei termini di adempimento originariamente prospettati nella proposta e nell’accordo.
La proroga non può eccedere i sei mesi e deve essere autorizzata dal tribunale. Inoltre, introduce un nuovo termine di novanta giorni di cui può avvalersi il debitore cui sia stato concesso, alternativamente, termine ai sensi dell’art. 161, sesto comma, l. f. (c.d. preconcordato o concordato in bianco) o termine ai sensi dell’art. 182 bis, settimo comma, l. f... Anche in questo caso la proroga deve essere concessa dal tribunale.
La previsione, però, pur rappresentando un vantaggio anche sotto il profilo dei costi e dei tempi, non chiarisce se occorra un nuovo provvedimento di ammissione e se necessiti il vaglio dei creditori. La risposta non può che essere positiva; sopravvivono i dettami normativi della legge fallimentare. Da tale possibilità, sono comunque esclusi i debitori la cui originaria proposta non abbia ottenuto, dai creditori, le maggioranze necessarie; la relazione, chiarisce, che per tali debitori resta ferma la possibilità di depositare una nuova proposta, dopo la dichiarazione di inammissibilità ai sensi dell’art. 179 l. f., sempre che ad essa non abbia fatto seguito la dichiarazione di fallimento – ipotesi per altro preclusa dallo stesso D.L. 23/2020 –. Il termine non è superiore ai novanta giorni e decorre dalla data del provvedimento del tribunale.
Qualora, invece, il debitore non intenda rivedere la proposta, ma necessita solo della modifica dei termini, deve rifarsi al terzo comma dell’art. 9 che non specifica, però, che la documentazione, a corredo della memoria, deve solo comprovare la necessità di dilazione, non trattandosi di un nuovo piano. Il tribunale può sempre procedere all’omologa, così come specificato nella relazione illustrativa, subordinatamente alla verifica della persistente sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 180 o 182 bis della l. f., indicando nel decreto le nuove scadenze.
Infine, nella fase prenotativa, qualora il debitore abbia già ottenuto una proroga del 161, sesto comma, l.f., può, prima della scadenza, presentare istanza - che deve indicare gli elementi con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica - per la concessione di una ulteriore proroga sino a novanta giorni, anche nei casi in cui è stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento.
Il tribunale concede la proroga, verificata la sussistenza di concreti e giustificati motivi e, nel caso degli accordi di ristrutturazione, della persistente sussistenza dei presupposti per pervenire agli accordi con le maggioranze ex art. 182 bis, primo comma, l. f. Specifica la relazione che, nell’ipotesi degli accordi di ristrutturazione, le esigenze di celerità hanno suggerito di non applicare la macchinosa procedura prevista dall’art. 182 bis, settimo comma, l. f.
Anche in questo caso emerge la tutela della continuità. Tuttavia, pur prevedendo le garanzie di cui all’art. 13, primo comma, lett. g), del d.l. 23/2020, nulla dice, il legislatore, sia in tema di finanziamenti che potrebbero essere autorizzati e dotati di prededucibilità, sia in tema di scudo penale per il concorso in bancarotta o per concessione abusiva del credito.
Non è stato, inoltre, fatto alcun riferimento ai debitori che si trovano in fase prenotativa e che, stante la lettera della norma, non possono accedere alle misure previste dall’art. 9. Probabilmente, sul punto si dovrà intervenire in fase di conversione, valutato che anche per queste imprese, come recita la relazione illustrativa, l’attuale situazione genera concreti rischi a proposito della sopravvivenza dei tentativi di soluzione della crisi, considerata alternativa al fallimento, promossi in epoca anteriore al palesarsi dell’emergenza determinata dal diffondersi del Covid-19.
L’art. 10 del decreto Liquidità qualifica improcedibili tutti i ricorsi - ai sensi degli artt. 15 e 195, l. f., e di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 270/1999 - depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020. ll secondo comma prevede che, nel periodo indicato al primo comma, sono sospesi i termini di cui all’art. 69 bis l. f. Sono esclusi i ricorsi presentati dal PM quando contengono la richiesta di provvedimenti cautelari o conservativi, di cui all’art. 15, ottavo comma, l. f., onde evitare che l’improcedibilità avvantaggi le imprese che, potenzialmente, stiano mettendo in atto condotte dissipative di rilevanza anche penale.
La misura ha carattere eccezionale e temporaneo e, come riportato nella relazione illustrativa, è indispensabile al fine di sottrarre le imprese ai procedimenti finalizzati all’apertura del fallimento e di procedure anch’esse fondate sullo stato d’insolvenza. Ciò risponde ad una duplice esigenza: da un lato si vuole evitare di sottoporre il ceto imprenditoriale alla pressione crescente delle istanze di fallimento di terzi e, dall’altro, si intende sottrarre gli stessi imprenditori alla drammatica scelta di presentare istanza di fallimento in proprio, in un quadro in cui lo stato di insolvenza può derivare da fattori esogeni e straordinari.
In realtà il rinvio delle udienze - dei procedimenti civili e penali, pendenti presso tutti gli uffici giudiziari e il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali - era già stato disposto dall’art. 83, primo e secondo comma, D.L. 18/2020 e prolungato con l’art. 36 del decreto in esame. Probabilmente, deve concludersi che il legislatore si sia preoccupato di introdurre un precetto che consenta di evitare la presentazione di nuovi ricorsi.
La norma, tuttavia, provoca non pochi problemi. Si pensi ai ricorsi depositati dopo il 9 marzo e decisi con sentenze pubblicate entro l’8 aprile, per i quali potrebbe, in un tentativo di salvataggio, richiamarsi il debole principio di urgenza di cui al terzo comma dell’art. 83 del D.L. 18/2020. Diversamente, per quelli non ancora decisi, dovrebbe applicarsi il termine di rinvio di cui all’art. 83, primo comma, prorogato dall’art. 36 del decreto liquidità.
Un altro problema che si evidenzia è quello di determinazione del periodo annuale per la dichiarazione di fallimento, ex art. 10 l. f. Sul punto nulla dice il legislatore ed in attesa della legge di conversione, occorre ipotizzare un percorso. Presumibilmente, bisogna distinguere l’ipotesi in cui la cessazione sia avvenuta ante 9 marzo, da quella in cui sia avvenuta nel periodo di sospensione e, ancora, se sia stata o meno dichiarata l’improcedibilità.
Ora, poiché il legislatore fa riferimento ai ricorsi presentati nel periodo 9 marzo - 30 giugno, si deve supporre la fallibilità, considerato nel computo il periodo di sospensione, solo nel caso in cui sia stata dichiarata l’improcedibilità.
Omologamente, per le cancellazioni intervenute dopo il 9 marzo, con domanda anteriore, il computo del periodo annuale dovrebbe riprendere dalla fine della sospensione forzata, ossia dal 30 giugno. Allo stesso modo, tenendo conto della data del fallimento e della data di compimento dell’atto, si dovrebbe ragionare per i termini ex art. 69 l.f.