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Archivio newsDivieto di licenziamento nell’emergenza Covid-19. E se le aziende hanno licenziato?
Il decreto Rilancio ha esteso il divieto dei licenziamenti collettivi e per giustificato motivo oggettivo per un totale di 5 mesi, prorogando quindi al 17 agosto la scadenza inizialmente prevista dal Cura Italia al 17 maggio. Per trovare un precedente simile bisogna risalire al decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 523 dei primissimi mesi dopo la fine della seconda guerra mondiale. Uno scenario che, sia pure senza la drammaticità del 1945, in parte si ripete nei nostri giorni! Nonostante il divieto, alcune imprese hanno proceduto comunque a licenziare e l’INPS si è trovato a esaminare richieste di erogazione dell’indennità di disoccupazione NASpI da parte di lavoratori che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro. Come verranno gestite le richieste?
Il decreto Cura Italia (DL 17 marzo 2020 n. 18, convertito nella legge n. 27/2020) ha introdotto con l’art. 46 il divieto di licenziamenti collettivi ed individuali per giustificato motivo oggettivo con decorrenza dal 17 marzo per un periodo di 60 giorni, quindi con scadenza 17 maggio. Successivamente il decreto Rilancio (art. 80 del DL 19 maggio 2020 n. 34) ha modificato il periodo suddetto estendendo il divieto dei licenziamenti collettivi e per GMO per un totale di 5 mesi: quindi la scadenza è stata prorogata al 17 agosto.
Per trovare un precedente simile bisogna risalire al decreto legislativo luogotenenziale 21 agosto 1945, n. 523. In questo provvedimento, siamo nei primissimi mesi dopo la fine della seconda guerra mondiale, così dispose l’art. 1 del provvedimento “Alle imprese industriali cui si applica il presente decreto ai sensi dell'art. 17, è fatto divieto di licenziare i lavoratori dipendenti fino al 30 settembre 1945. Tale divieto non si applica:
a) ai lavoratori che, senza grave giustificato motivo, rifiutino di accettare altra occupazione che sia loro offerta presso altro datore di lavoro;
b) nei casi in cui per disposizione di legge o di contratto collettivo è consentita la risoluzione del rapporto di lavoro per fatto del lavoratore.
Le controversie che possono insorgere per effetto dei provvedimenti previsti dal precedente comma, ove non siano conciliate con l'intervento della Commissione interna, sono decise in via provvisoria con provvedimento esecutivo del competente Ispettorato del lavoro, salvo l'azione giudiziaria”.
La guerra appena finita imponeva esigenze di tenuta sociale a fronte delle quali il Governo offriva, nei limiti delle disponibilità, supporti alle imprese. Uno scenario che, sia pure senza la drammaticità del 1945, in parte si ripete nei nostri giorni.
L’iter normativo soprattutto la tempistica nella pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del DL Rilancio hanno determinato però un gap temporale tra lo spirare del termine di divieto dei licenziamenti, inizialmente previsto, come detto, in 60 giorni, e l’entrata in vigore della norma che ha esteso i 60 giorni ad un periodo complessivo di 5 mesi, così determinando una sorta di vuoto normativo entro cui sono stati operati licenziamenti, rimasti sospesi o preclusi in base al DL Cura Italia in ragione della grave situazione emergenziale in corso.
In realtà, anche a prescindere dalla possibilità di “approfittare” del breve vuoto normativo predetto, ben può essersi verificato che imprese in crisi, magari in predicato di chiudere definitivamente la loro attività, abbiano irrogato comunque licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ancorchè in aperta violazione del divieto normativo, accettando il rischio di un eventuale contenzioso diretto a farne accertare l’invalidità. Difatti è noto che finanche la nullità di un licenziamento per violazione di legge deve pur sempre essere accertata in sede giudiziale.
E nella specie, la scelta del Legislatore di intervenire pesantemente nelle gestione dei rapporti di lavoro, incidendo in maniera significativa e per un periodo prolungato sulla libertà di impresa sancita dall’art. 41 Cost., così come la tecnica legislativa adottata, ovvero quella di emanare una norma retroattiva (il DL Rilancio ha semplicemente sostituito il termine di 60 gg previsto dal DL Cura Italia con quello di 5 mesi), allorquando la deroga al principio generale della irretroattività della legge ( art. 11 pre-leggi) presuppone il limite della ragionevolezza e del bilanciamento con altri valori e interessi costituzionalmente protetti da valutarsi in concreto, ben possono prestarsi a censure in sede giudiziale.
Con la conseguenza che di fatto alcune imprese hanno accettato la cd. alea dell’eventuale giudizio di impugnativa e proceduto comunque a licenziamenti per GMO (giustificato motivo oggettivo: ad esempio per soppressione del posto di lavoro, per cessazione dell’attività, per motivi economici, etc). Tant’è che l’INPS si è trovato a dover esaminare richieste di erogazione dell’indennità di disoccupazione NASpI da parte di lavoratori che hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro con la causale di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nonostante la preclusione legislativa, ovvero sotto la vigenza dell’art. 46 del DL Cura Italia e successive modifiche, nel dubbio che, stante la nullità del licenziamento per violazione del divieto imposto da norma di legge, il rapporto di lavoro non possa essersi validamente risolto, ma al contrario continui a produrre i propri effetti.
Sicchè, a seguito di richiesta di parere dell’Istituto previdenziale, l’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha chiarito che l’indennità di disoccupazione NASpI deve essere riconosciuta a tutti i lavoratori che abbiano perso involontariamente il lavoro e che a tal fine non rileva la nullità del licenziamento per GMO intimato durante il periodo di divieto, proprio perché l’accertamento della legittimità o meno del licenziamento è rimesso al Giudice, così come l’individuazione della corretta tutela spettante al singolo lavoratore . In altri termini è sempre necessaria una pronuncia giudiziale di nullità che produrrà i suoi effetti ex tunc, ossia dalla data dell’intimazione del licenziamento.
L’INPS, con messaggio 2261 del 1° giugno 2020, ha specificato che saranno accolte tutte le domande di NASpI inoltrate da lavoratori licenziati per le causali di cui all’art. 46 DL Cura Italia e successive modifiche durante il periodo di divieto e nonostante il divieto, con riserva però di ripetere quanto erogato nell’ipotesi di reintegrazione nel posto di lavoro a seguito di contenzioso giudiziale o stragiudiziale, ponendo quindi a carico del lavoratore l’onere di comunicare all’INPS, ai fini del recupero dell’indebito, l’esito eventualmente favorevole del contenzioso.
Il dato testuale utilizzato dall’INPS in relazione al presupposto del diritto di ripetizione dell’indebito, ovvero nell’ipotesi di “reintegrazione nel posto di lavoro” non deve ingenerare alcun dubbio circa la platea dei destinatari in correlazione al diverso tipo di tutela prevista per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, con riferimento ai quali opera la tutela ex art. 18 Statuto dei lavoratori, come modificato dalla Legge Fornero (L. 92/2012) , e quelli assunti dopo la data predetta che beneficiano invece del regime delle cd tutele crescenti (Decreto legislativo n. 23/2015).
Ciò perché in entrambi i casi, trattandosi nella fattispecie concreta di licenziamento nullo per violazione di un divieto imposto da norma di legge, il lavoratore estromesso dal posto di lavoro ha diritto alla reintegrazione in servizio.
Pertanto, sia che il lavoratore licenziato invalidamente per violazione del divieto di cui all’art. 46 DL Cura Italia e successive modifiche usufruisca della tutela cd reintegratoria piena ai sensi dell’art. 18 St. Lav. sia della tutela reintegratoria prevista dalla normativa sulle tutele crescenti in caso di licenziamento nullo dovrà, se reintegrato nel posto di lavoro, restituire la NASpI ricevuta.
L’INPS ha inoltre previsto che la ripetizione dell’indennità opera anche nel caso in cui - in attuazione della disposizione di cui al comma 1-bis dell’articolo 46 del decreto-legge n. 18 del 2020 - il datore di lavoro revochi il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con contestuale richiesta per il lavoratore riassunto del trattamento di cassa integrazione salariale. Evidente la ragione di non beneficiare di un doppio trattamento economico di sussidio al reddito.
Da ultimo è da sottolineare che l’INPS ha espressamente escluso che la NASpI spetti ai collaboratori domestici, poichè non ricadono nell’ambito di operatività del divieto di licenziamento ex art. 46 DL Cura Italia e successive modifiche , in quanto assoggettati al regime di libera recedibilità, e tanto meno sia erogabile con riferimento ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, poiché l’ambito applicativo della norma in questione riguarda esclusivamente i rapporti di lavoro di natura subordinata.