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Recovery Fund: aiuti agli Stati membri ma con qualche tassa in più per le imprese

Il piano di salvataggio messo a punto dalla Commissione UE, con l’istituzione del Recovery Fund, rischia di dare vita ad un prelievo fiscale extra di 20-30mld di euro l’anno sui bilanci delle grandi aziende. E’ quanto emerge da un’analisi del fondo che non prevede affatto l’elargizione libera e continua di miliardi a fondo perduto. Al contrario, le economie nazionali, e quindi gli Stati che ne beneficeranno, dovranno garantire l’utilizzo dei fondi entro determinati programmi di riforma, in materia di digitalizzazione, sostenibilità e ovviamente sanità e ricerca. Inoltre, come già accennato, i fondi, 750mld di euro, saranno in parte finanziati attraverso una nuova leva fiscale multiforme che Bruxelles utilizzerà incrementando il meccanismo, complesso, delle risorse proprie.

L'Unione europea è sull'orlo d’un cambiamento storico. E questo è un dato di fatto. Il materializzarsi del Recovery Fund da 750 miliardi di euro della Commissione spezzerebbe molti tabù, peraltro aprendo la strada a nuove tasse gestite direttamente da Bruxelles in quasi-piena autonomia e gettando le basi per la creazione d’un Dipartimento e/o Ufficio del Tesoro dell'UE, in pratica in tutto simile ai Ministeri dei singoli Stati.

In sostanza, si osserverebbe un passaggio e/o condivisione di poteri in materia di tassazione tra l’Unione e Stati-membri come mai prima. Naturalmente, è bene rammentare come l’Unione europea abbia spesso l'abitudine di deludere quando cerca di elaborare una risposta comune a una crisi economica. Tuttavia, il discorso della Presidente, Ursula von der Leyen, al Parlamento europeo sull’istituzione del fondo per la ripresa dalla pandemia potrebbe forse più in là essere inserito tra i discorsi che hanno fatto la storia.

In breve, nel corso del suo intervento è stato delineato un programma di salvataggio di 750 miliardi di euro per aiutare i Paesi dell’Unione a far fronte alle ricadute economiche del Covid-19. Ma c’è ancora molto da fare. I governi dell'UE, infatti, devono ancora concordare il piano e alcuni Stati membri del Nord, in particolare Paesi Bassi e Austria, sono probabilmente “oppositori” con i quali si dovrà trovare un’intesa. Ma se l'accordo finale sarà comunque vicino alla proposta di Von der Leyen, segnerà una radicale trasformazione dell'Europa.

C’è però un punto che non va sottovalutato. Il Piano, infatti, non prevede affatto l’elargizione libera e continua di miliardi a fondo perduto. Al contrario, le economie nazionali, e quindi gli Stati che ne beneficeranno, dovranno garantire l’utilizzo dei fondi entro determinati programmi di riforma, in materia di digitalizzazione, sostenibilità e ovviamente sanità e ricerca. Inoltre, come già accennato, i fondi, 750mld di euro, saranno in parte finanziati attraverso una nuova leva fiscale multiforme che Bruxelles utilizzerà incrementando il meccanismo, complesso, delle risorse proprie.

Tradotto, nuove tasse saranno introdotte e, lette le premesse, a portarne il peso saranno soprattutto le aziende, cioè la stessa “Impresa-Europa” che in realtà dovrebbe oggi essere garantita in termini di liquidità per assicurarne continuità e resilienza, senza le quali il dilemma d’una possibile onda lunga di disoccupati si potrebbe trasformare in un dramma.

Tassare ora le aziende suona contraddittorio, anzi, irrealistico, eppure, scavando alla base del Recovery Fund è questo il nodo che emerge. E c’è già una stima che prevederebbe un prelievo fiscale extra di 20-30mld di euro l’anno sui bilanci delle grandi aziende.

In primo luogo, osserviamo il funzionamento del Recovery Fund, come vagheggiato ad oggi. In sostanza, la Commissione prevede di prendere in prestito la somma indicata, 750mld di euro, sui mercati finanziari e quindi distribuirla agli Stati membri tra il 2021 e il 2024. Le economie che hanno sofferto di più otterranno la quota maggiore. Il fondo è una sommatoria di stimoli.

Circa 560 miliardi di euro saranno indirizzati su uno "strumento di recupero e resilienza" che andrà direttamente ai governi. Ad esso si affiancherà uno strumento speciale di 31 miliardi di euro per sostenere le aziende che necessitano di aiuti di Stato temporanei e 9,4 miliardi di euro per prepararsi a future crisi sanitarie. Italia e Spagna saranno i maggiori beneficiari, mentre la Germania riceverà relativamente poco. L'UE rimborserà gli investitori tramite il proprio bilancio per un lungo periodo, fino a quattro decenni.

In primo luogo, aumenta in modo significativo l'importo che la Commissione può prendere in prestito sui mercati finanziari. Non si tratta di "obbligazioni in euro" nel senso classico del termine, poiché i singoli Stati membri dovranno comunque versare i loro contributi individuali al bilancio dell'UE, da calcolare in base alla dimensione relativa del loro prodotto interno lordo e, con tutta probabilità, una rivisitazione verso l’alto della percentuale da applicare.

Si prevede inoltre che il veicolo sarà "una tantum" per la pandemia. Tuttavia, sarà un progetto molto utile se la zona euro sceglierà di avvicinarsi a un'unione fiscale tanto necessaria. Il secondo grande cambiamento è che i due terzi del denaro verrebbero erogati come sovvenzioni. Questa è la parte più controversa del piano e rischia di essere annacquata nei prossimi negoziati tra gli Stati membri.

Ci saranno anche dei “lacciuoli” allegati, poiché i governi dovranno presentare specifici programmi di riforma per ricevere supporto. In pratica, la spesa aggiuntiva concessa dovrà rispettare le priorità a livello dell'UE come gli investimenti tecnologici e la lotta ai cambiamenti climatici. Ma la generosa erogazione di sovvenzioni è un passo in avanti evidente rispetto al meccanismo europeo di stabilità, il fondo di salvataggio dell'area dell'euro, che offre solo prestiti.

Ma il tabù finale che può essere infranto riguarda l'imposizione fiscale in tutta l'UE. La Commissione infatti guarda alla creazione di nuovi flussi di entrate, che potrebbero aiutare a rimborsare gli investitori, comprese le tasse e le imposte ambientali sulle società multinazionali. Questa è la parte più vaga del piano, ma potenzialmente una delle più profonde. Creerebbe il seme di un vero e proprio Ministero del Tesoro dell'UE, che potrebbe erogare i suoi soldi dove meglio crede. Naturalmente, Von der Leyen incontrerà l’opposizione di alcuni Paesi, tra cui Svezia e Danimarca, nonché Austria e Paesi Bassi. Paesi che preferiscono i prestiti perché temono che le somme del Recovery Fund non vengano pagate o bilanciate. Dato che la proposta necessita di un sostegno unanime, che sarà difficile da garantire, lo scenario permane ancora incerto.

Dove trovare le risorse per risollevare e, al contempo, riformare l’Unione? La risposta è “istituire nuove tasse” per ripagare la spesa per lo stimolo del post-coronavirus. Tasse e nuovi oneri che però rischierebbero di minare la ripresa economica dalla pandemia. Tuttavia, l'esecutivo dell'UE ne ha disegnato uno schema preventivo già in corso di studio.

Riassumendo, i possibili nuovi prelievi, se concordati, potrebbero includere una tassa digitale, sorta di digital tax in versione europea ma simile allo schema elaborato dall’Ocse, un prelievo sull'impronta di carbonio delle importazioni nell'UE, una tassa sul mercato unico per le grandi imprese che ne traggono beneficio, all’incirca 70mila sarebbero le multinazionali europee che potrebbero essere investite da questa sorta di “contributo di solidarietà” rivolto alle imprese, più i proventi delle emissioni di CO2 delle industrie aeronautiche e marittime, nonché una tassa su rifiuti di plastica non riciclata.

Un mix di tasse e contributi che avrebbero una base altamente diversificata ma che rischierebbero, nel momento attuale, di lasciare molti “sconfitti” indietro piuttosto che aiutare la ripresa. Il piano della Commissione segna un nuovo inizio in un dibattito che ha già visto alcune idee in precedenza non riuscire a ottenere il sostegno unanime dei governi dell'UE.

Comunque, per ora, persistono divergenze di opinione anche all'interno della Commissione, secondo cui la raccolta di circa lo 0,2% del fatturato delle maggiori aziende globali che guadagnano sul mercato dell'UE potrebbe produrre 10 miliardi di euro all'anno.

Questo contributo, a metà strada tra una sovrattassa e una minimum tax transitoria, come detto potrebbe colpire 70.000 aziende in Europa con un fatturato globale superiore a 750 milioni di euro. Potrebbe perché non c’è accordo.

Insomma, l’UE sembra giunta ad un bivio: accettare una maggiore integrazione fiscale, più poteri nel tassare e nel gestire le entrate fiscali in ingresso o permanere nel limbo del regionalismo “disarmato” o precario d’una aggregazione di Stati divisi su tutto, eccetto sul dividersi sì ma stando insieme.

Per arrivare alle tasse evocate oggi si deve partire da lontano. Il sistema di finanziamento dell’UE basato sulle risorse proprie ha generato negli anni un flusso di entrate commisurato agli sforzi di spesa. Tuttavia, esso è da tempo oggetto di svariate critiche sul piano teorico e politico, e una sua riforma è invocata da più parti. Al riguardo, più volte la Commissione UE ha proposto di confermare le tre risorse proprie attualmente esistenti, ridimensionando tuttavia dal 20% al 10% la quota dei dazi doganali trattenuta dagli Stati membri quale compenso per la riscossione, così da aumentarne l’importo destinato al bilancio europeo, semplificando drasticamente il regime di applicazione dell’attuale risorsa IVA, e mantenendo la risorsa propria basata sul reddito nazionale lordo in funzione di riequilibrio.

E’ in tale quadro che s’innesta il progetto della Commissione per il fondo di risanamento comprendente proposte per diverse nuove "risorse proprie", compresi i ricavi derivanti dallo scambio di quote di emissione e dalla tassazione delle società digitali, ma soltanto se non sarà possibile trovare una soluzione globale.

A tali fonti di entrata si affiancherebbe un “paniere” di tre nuove risorse proprie, tradotto “tasse”, collegate al clima, al mercato unico e all'ambiente: una risorsa propria basata sul sistema di scambio di quote di emissioni di CO2, armonizzato a livello dell’Unione, e strettamente connesso agli obiettivi comuni in materia di contrasto ai cambiamenti climatici; un prelievo del 3% applicato ad una nuova base imponibile armonizzata per l'imposta sulle società che, secondo le stime della Commissione, potrebbe garantire un introito medio annuo di circa 12miliardi di euro, una volta adottata la nuova disciplina fiscale relativa a una base imponibile consolidata comune, cd. CCCTB (la sigla è l’acronimo “Common Consolidated Corporate Tax Base”); un contributo nazionale (di 0,80 euro al chilogrammo), calcolato in base alla quantità di rifiuti da imballaggi in plastica non riciclati, destinata a incentivare comportamenti rispettosi dell’ambiente e dell’economia circolare e il cui gettito stimato sarebbe di 7mld di euro l’anno.

Nel complesso, aggiungendo anche il gettito potenziale della tassa-contributo che ricadrebbe su 70mila grandi aziende e l’eventuale avvio d’una digital tax europea, sulle grandi imprese europee il fisco aumenterebbe il prelievo per circa 20-30mld di euro l’anno. Un incremento che dovrebbe aumentare le dotazioni fiscali dell’UE da reindirizzare sul Recovery Fund e, al contempo, integrare fiscalmente l’Europa.

Gli Stati invece vedrebbero ridotto del 50 o 60 per cento il loro contributo alle risorse proprie dell’UE per effetto d’un taglio del tasso da applicare al Pil nazionale. E qui c’è un “ma”. Il piano è ambizioso, però qualsiasi imposta comune dell'UE richiederebbe l'approvazione di tutti i 27 governi nazionali e del Parlamento europeo. Ad oggi, questo asse di consenso non sembra essere né vicino né scontato. Dunque, EU in fieri resta la regola. Come quella dell’attesa.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/impresa/contratti-dimpresa/quotidiano/2020/06/16/recovery-fund-aiuti-membri-tassa-imprese

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