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Archivio newsDal Fondo monetario internazionale all’Istat, passando per la Germania: come sta l’economia dopo una primavera in lockdown
A cominciare da mercoledì con l’uscita dell’indice Ifo tedesco sulla fiducia delle imprese in giugno, per arrivare al Pil americano del primo trimestre: una settimana di numeri. E nuove previsioni future.
Sono tempi talmente imprevedibili, questi segnati dal coronavirus, che chi per mestiere li deve interpretare in ottica economica si ritrova spesso spiazzato. Accade a tutti, persino ai rigorosissimi tedeschi. Oggi, per esempio, l’Ifo annuncerà l’indice di fiducia delle imprese in giugno. Fin qui ha parlato un leggero calo, nonostante la piena ripartenza dal lockdown. Ma sono mesi che sottostima i dati al rialzo e sovrastima, invece, le cadute. Anche a maggio immaginava una ripresa da 74,3 a 78,3 e ha poi dovuto correggere a 79,5. Per giugno indica un ribasso: si dovrebbe tornare a quota 78,3. Se non sarà l’eccezione che conferma la regola, quello che l’Istituto finirà con l’annunciare sarà il classico “rialzo contro le attese”.
Metà aprile: il Fondo monetario presenta il suo Outlook di primavera e dà un primo, parziale resoconto dell’impatto del Covid-19 sull’economia mondiale. Il crollo medio sarà del 3%, dice, ma nell’Eurozona si arriverà al 7,5% e in Italia al 9,1%, uno dei dati peggiori in assoluto. L’avvertenza dello stesso Fmi, già in quei giorni, è che è solo una ricognizione iniziale, l’intero pianeta è in lockdown e i conti finali rischiano di essere ancora più devastanti. Infatti. Passano poche settimane: attorno al 10 maggio Kristalina Georgieva, la presidente del Fondo, conferma che “i dati in arrivo sono al di sotto delle nostre già pessimistiche stime. Probabilmente a giugno aggiorneremo le previsioni”. Ci siamo. L’aggiornamento arriverà oggi. E chissà se “le nostre aspettative per il 2020” saranno davvero soltanto “leggermente” peggiori. Per la Bce, che il ricalcolo lo ha appena fatto, il tracollo del Pil mondiale sarà del 4% e quello dell’Europa rischia di arrivare addirittura al 12,6%.
La seconda lettura dell’andamento del Pil Usa, comunicata a fine maggio, indicava per il primo trimestre un calo del 5% contro il 4,8% stimato solo il mese precedente. Oggi il Dipartimento del Commercio annuncerà i dati definitivi. Non sono quelli, però, i dati che più preoccupano gli americani. È il trimestre in corso. Se l’Europa che ha lentamente iniziato a riprendersi dall’emergenza sanitaria ha rivisto ulteriormente al ribasso le proprie stime, e come tutti guarda con preoccupazione al ritorno del Covid-19 in Cina, gli Stati Uniti ancora nel pieno della pandemia a quali miglioramenti possono puntare? Non è un caso che in settimana, quando ha ribadito per l’ennesima volta che “la Fed garantirà tutti gli strumenti per sostenere l’economia”, Jerome Powell ha ricordato anche che sarà questo, il quarter aprile-giugno, “il periodo con il più grave calo mai registrato dalla produzione”. Un crollo che, su base annua e quindi nel confronto con lo stesso periodo del 2019, secondo gli economisti potrebbe arrivare fino al 40%.
E da noi? Dal lato sanitario il peggio sembra alle spalle. Dal lato economico certamente non lo è. In settimana l’Istat ha ufficializzato il costo del lockdown per l’industria nel solo mese di aprile, quello totalmente “chiuso” a qualsiasi tipo di attività che non fosse considerata essenziale: scontato, dunque, il “calo senza precedenti” sia per il fatturato sia per gli ordinativi, crollati rispettivamente del 29,4% e del 32,2% su marzo, e del 23,9% e 27,7% nella media degli ultimi tre mesi in confronto a quella dei tre mesi precedenti. Ora le industrie sono ripartite, così come il commercio e il turismo. Ma è tutto prevedibilmente al rallentatore, la macchina degli aiuti pubblici promessi a lavoratori e imprese è sempre inceppata, dalla politica continua a non arrivare un piano di ricostruzione che mostri l’indispensabile “visione”. Il risultato è che decine di migliaia di aziende rischiano la chiusura definitiva e, con loro, sono a rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro. Quale fiducia nel futuro possa esserci in queste condizioni lo dirà oggi l’Istat, con l’indice di giugno. Che sarà comunque tutto da interpretare.