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Trasferta: indennità risarcitoria e retributiva. E’ soggetta a tassazione e contribuzione?

La distinzione tra trasferta e trasfertista è di particolare rilievo ai fini dell’applicazione, alle relative indennità, del corretto inquadramento fiscale e previdenziale. Le indennità ed i rimborsi corrisposti dall’azienda a titolo di trasferta, infatti, non rivestono natura reddituale e non sono conseguentemente assoggettate a tassazione e contribuzione, mentre le somme erogate ai trasfertisti sono imponibili nella misura del 50%. La Corte di Cassazione, accogliendo un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, ha affermato che l’indennità per le prestazioni lavorative svolte in trasferta ha una duplice funzione: restitutoria delle maggiori spese sopportate dal lavoratore e retributiva del maggior disagio. Quali sono le conseguenze per il datore di lavoro anche con riguardo all’elaborazione del LUL?

Le prestazioni lavorative svolte in trasferta comportano un maggior disagio che deve essere appositamente compensato dal datore di lavoro con un’indennità che, generalmente, ha una duplice funzione: restitutoria delle maggiori spese sopportate dal lavoratore e retributiva del maggior disagio. E’ quanto afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 14047 del 07/07/2020 con la quale, accogliendo un ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate, torna sull’argomento del corretto inquadramento dell’indennità di trasferta sotto il profilo fiscale e previdenziale.

Nel nostro ordinamento non esiste una definizione legale dell’istituto della trasferta; si rinviene, tuttavia, una regolamentazione fiscale della stessa nell’art. 51, co. 5, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) che afferisce al trattamento fiscale delle indennità e dei rimborsi per le trasferte (indennizzo analitico, forfettario o misto). A livello pratico la trasferta si concretizza in uno “spostamento” provvisorio e temporaneo del lavoratore (nell'interesse e su disposizione unilaterale del datore di lavoro) in un luogo di lavoro differente da quello in cui espleta abitualmente l’attività lavorativa, cui rimane, tuttavia, funzionalmente collegato.

Il co. 6 dell’art. 51 dello stesso TUIR fornisce, invece, la definizione di “trasfertista” precisando che “Le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all'espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità (…), concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare” (es. lavoratori delle imprese edili, funzionari commerciali, installatori e manutentori d’impianti, addetti alle imprese di pulizie, autisti di linea extraurbana).

La distinzione tra le due fattispecie in esame risulta di particolare rilievo per quanto riguarda l’applicazione, alle indennità corrisposte, del corretto inquadramento tanto sotto il profilo fiscale quanto sotto quello previdenziale. Si rammenta, difatti, che in ragione del principio di «armonizzazione delle basi imponibili fiscali e contributive» previsto dall'art. 6 del D.Lgs. n. 314/1997, il criterio di assoggettamento al trattamento fiscale assume valenza anche per quanto concerne l’applicazione del regime previdenziale.

Più in particolare le somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di “trasferta” godono di un trattamento di miglior favore in quanto non rivestono natura reddituale e non sono conseguentemente assoggettate (nei limiti e secondo le modalità previste dal co. 5, dell’art. 51) a prelievo fiscale e previdenziale; le indennità e le maggiorazioni corrisposte ai “trasfertisti”, invece, sono imponibili nella misura del 50% del relativo importo.

Per diversi anni la prassi amministrativa e la giurisprudenza di legittimità hanno fornito interpretazioni diverse e talora contrastanti sul trattamento fiscale e previdenziale da riconoscere agli emolumenti corrisposti ai lavoratori che si recano in trasferta. Per dirimere la questione è dovuto intervenire il Legislatore con una norma di interpretazione autentica (quindi con efficacia retroattiva, come pure hanno chiarito le S.U. della Suprema Corte con sentenza n. 27093 del 24/10/2017) contenuta nell’art. 7-quinquies, del D.L. 193/2016 conv. in Legge n. 225 del 01/12/2016, secondo cui rientrano nella disciplina dei trasfertisti di cui all‘art. 51, co. 6, del TUIR i lavoratori per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni:

· Nel contratto o nella lettera di assunzione non deve essere indicata, una sede di lavoro;

· Si deve trattare di un'attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente;

· Va corrisposta al dipendente, in relazione allo svolgimento dell'attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, un'indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, che gli va riconosciuta a prescindere dal fatto che il dipendente si rechi (o meno) in trasferta e dove la stessa si sia eventualmente svolta.

Si sottolinea come le tre condizioni sopra indicate debbano coesistere e, in mancanza anche di una soltanto di esse, al lavoratore va riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui all’art. 51 co. 5, del TUIR (sempreché, ovviamente, ne ricorrano le condizioni).

Con la sentenza n. 14047 del 07/07/2020 gli Ermellini ribadiscono che, laddove la sede di assunzione costituisce un mero riferimento per la gestione burocratica del rapporto di lavoro ed il lavoratore viene normalmente chiamato a svolgere la propria attività in altro luogo, le somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di "indennità di trasferta" e di "rimborso chilometrico" non beneficiano del trattamento fiscale previsto dall’art. 51, co. 5 del TUIR.

Difatti, secondo la Corte, la retribuzione non costituisce soltanto il corrispettivo dell’effettiva prestazione di lavoro, ma, piuttosto, dell'impegno complessivo e personale assunto da chi si obbliga a lavorare alle dipendenze e nell'interesse altrui. Pertanto, si legge nella sentenza, “rientrano nel concetto di retribuzione non solo gli emolumenti corrisposti in funzione dell'esercizio dell'attività lavorativa, ma anche tutti gli importi che, pur senza trovare riscontro in una precisa prestazione lavorativa, costituiscono adempimento di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto ed hanno origine e titolo nel contratto di lavoro”.

Con particolare riguardo al lavoro svolto in trasferta l’orientamento della S.C. è consolidato nel ritenere che, normalmente, esso comporta un maggior disagio che va appositamente compensato, “sicché la relativa indennità generalmente ha una duplice funzione, risarcitoria o meglio restitutoria delle maggiori spese sopportate nell'interesse del datore di lavoro, e retributiva del maggior disagio”.

Nel caso in cui il datore di lavoro, contravvenendo alle disposizioni sopra indicate, registri sul LUL in maniera non corretta le voci relative alla trasferta (o al trasfertismo), oltre ai previsti recuperi contributivi e delle ritenute fiscali, rischia di incorrere anche nella violazione della “infedele registrazione” punita dall’art. 39, co. 7 del D.L. 112/2008 (MLPS nota n. 11885 del 14/06/2016). Richiamando, difatti, le modifiche introdotte dall’art. 22 del D.Lgs. n. 151/2015, l’allora competente Direzione generale dell’attività ispettiva ribadiva quanto peraltro aveva già più volte affermato in passato, vale a dire che l’infedele registrazione dei dati registrati sul LUL può essere contestata esclusivamente in presenza di difformità tra i dati registrati e il quantum della prestazione lavorativa resa o l’effettiva retribuzione o compenso corrisposti e sempreché dall'infedele registrazione derivino comunque degli effetti sotto il profilo retributivo, previdenziale o fiscale (eventuali irregolarità di natura meramente formale non potranno, quindi, essere in alcun modo sanzionate).

Con specifico riguardo alla non conforme registrazione della voce “trasferta”, la DGAI chiarì che la sanzione de quo va applicata tutte le volte che il personale ispettivo accerti una difformità tra la realtà fattuale e quanto registrato, vale a dire:

· In presenza di una indennità registrata nel LUL riconducibile a trasferta in realtà mai effettuata, emolumenti che vengono dunque corrisposti per occultare retribuzioni erogate ad altro titolo e con finalità presumibilmente elusive (es. registrazione sotto la voce “trasferta Italia” di compensi relativi ad ore di lavoro straordinario svolte);

· Registrazione, sotto la voce trasferta, di emolumenti corrisposti per compensare le prestazioni lavorative in realtà svolte dai trasfertisti per i quali è previsto, come detto, un regime contributivo di minor favore.

In questi casi, oltre all’applicazione della prevista sanzione amministrativa (da un minimo di 150 euro, fino ad un massimo di 6.000 euro, importo che verrà concretamente commisurato in base al numero di lavoratori coinvolti o in relazione alla durata della condotta illecita), gli emolumenti verranno inoltre assoggettati al recupero tanto previdenziale quanto fiscale.

Le considerazioni contenute nel presente contributo sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/07/20/trasferta-indennita-risarcitoria-retributiva-soggetta-tassazione-contribuzione

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