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Archivio newsPensione di inabilità: necessario rimodulare le misure assistenziali vigenti
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa che stabilisce benefici incrementativi agli invalidi civili totali di età pari o superiore a 60 anni, anziché ai soggetti di età superiore a 18. La Corte ritiene che il soggetto totalmente invalido di età inferiore si trova in una situazione di inabilità lavorativa che non è certo meritevole di minor tutela rispetto a quella in cui si troverebbe al compimento del sessantesimo anno di età.
La Corte d’appello di Torino, sezione lavoro ha sollevato questioni di legittimità costituzionale:
- dell’art. 12, primo comma, della legge n. 118 del 1971, «nella parte in cui attribuisce al soggetto totalmente inabile, affetto da gravissima disabilità e privo di ogni residua capacità lavorativa, una pensione di inabilità […] insufficiente a garantire il soddisfacimento delle minime esigenze vitali, in relazione agli artt. 3, 38, comma 1, 10, comma 1, e 117, comma 1, Cost.»;
- dell’art. 38, comma 4, della legge n. 448 del 2001, «nella parte in cui subordina il diritto degli invalidi civili totali, affetti da gravissima disabilità e privi di ogni residua capacità lavorativa, all’incremento previsto dal comma 1 al raggiungimento del requisito anagrafico del 60° anno di età, in relazione agli artt. 3 e 38, comma 1, Cost.».
Il giudizio è stato promosso, tramite il (padre) suo tutore, da una donna di anni 47, affetta da tetraplegia spastica prenatale, invalida al lavoro al 100 per cento, la quale lamentava che la pensione di inabilità da lei percepita fosse «largamente insufficiente a garantirle il soddisfacimento dei bisogni primari della vita», per cui chiedeva condannarsi il convenuto Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a pagarle la pensione di inabilità «in misura non inferiore» al minimo previsto dall’art. 38 della l. n. 448/2001, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)» ovvero «in misura non inferiore all’assegno sociale», di cui all’art. 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) e, «comunque, in misura tale da assicurarle il proprio decoroso mantenimento».
La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 152 del 20 luglio 2020, rileva che l’importo mensile della pensione di inabilità, di attuali euro 286,81, è innegabilmente, e manifestamente, insufficiente ad assicurare agli interessati il “minimo vitale” e non rispetta, dunque, il limite invalicabile del nucleo essenziale e indefettibile del «diritto al mantenimento», garantito ad «ogni cittadino inabile al lavoro» dall’art. 38, primo comma, Cost.
Inoltre la Corte ritiene ulteriormente irragionevole e discriminatoria la disposizione denunciata laddove ai titolari di assegno (o pensione) sociale concede l’incremento in questione per il solo raggiungimento del sessantesimo anno di età «anche se esenti da patologie invalidanti» mentre «un soggetto totalmente inabile di età compresa fra 18 e 59 anni che si trovi per di più in condizioni di gravissima disabilità […] viene a percepire una pensione di invalidità pari a poco più della metà».
Il soggetto totalmente invalido di età inferiore si trova in una situazione di inabilità lavorativa che non è certo meritevole di minor tutela rispetto a quella in cui si troverebbe al compimento del sessantesimo anno di età.
La Corte Costituzionale dichiara dunque l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, della l. n. 448 del 2001, nella parte in cui, con riferimento agli invalidi civili totali, dispone che i benefici incrementativi di cui al comma 1 sono concessi «ai soggetti di età pari o superiore a sessanta anni» anziché «ai soggetti di età superiore a diciotto anni».
Resta ferma comunque la possibilità per il legislatore di rimodulare, ed eventualmente di coordinare in un quadro di sistema, la disciplina delle misure assistenziali vigenti, purché idonee a garantire agli invalidi civili totali l’effettività dei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione. Infatti, l’eliminazione della barriera anagrafica che condiziona l’adeguamento della misura della pensione di inabilità al soddisfacimento delle esigenze primarie di vita, non costituendo una opzione costituzionalmente obbligata, resta soggetta a un diverso apprezzamento da parte del legislatore, purché nel rispetto del principio di proporzionalità e dell’effettività dei suddetti diritti.
Corte Costituzionale, sentenza 20/07/2020, n. 152