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Archivio newsDal decreto Agosto altre 18 settimane di integrazione salariale, ma con regole nuove
Altre 18 settimane di integrazione salariale suddivise in due tranche di 9 settimane ciascuna, da collocare nel periodo dal 13 luglio al 31 dicembre 2020: è quanto prevede la bozza del decreto Agosto in fase di definizione. Il decreto Agosto sembra suonare come una beffa per le aziende “parsimoniose” che sembrerebbero perdere di fatto (in tutto o in parte) le 9 settimane del decreto Rilancio se programmate tra il 13 luglio e il 31 ottobre 2020, in quanto assorbite dalla nuova “prima tranche” di 9 settimane. Inoltre, l’ammortizzatore non è più gratuito per tutti i datori di lavoro, ma solo per quelli che hanno subito un calo del fatturato nel primo semestre 2020 superiore al 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Il decreto Agosto in fase di definizione promette altre 18 settimane di integrazioni salariali, da collocare nel periodo dal 13 luglio al 31 dicembre 2020, in due tranche di 9 settimane.
Secondo la bozza del decreto, le prime 9 settimane assorbono i periodi di integrazione salariale precedentemente richiesti e autorizzati, che siano collocati anche parzialmente in periodi successivi al 12 luglio 2020.
Le successive 9 settimane hanno un costo per il datore di lavoro: si pagherà un contributo aggiuntivo inversamente proporzionale al calo di fatturato subito nel primo semestre 2020 rispetto al primo semestre 2019.
Il decreto Agosto rispetto ai precedenti provvedimenti non modifica le prime disposizioni della “Cassa Covid” contenute nel Cura Italia (DL n. 18/2020, convertito nella legge n. 27/2020), ma le richiama stabilendo che i datori di lavoro che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 possono presentare domanda di concessione della CIG, dell’assegno ordinario e della cassa in deroga di cui agli articoli da 19 a 22 quinquies del DL n. 18/2020. Sono dunque compresi anche i trattamenti che “sospendono” gli interventi di cassa integrazione straordinaria e di solidarietà.
Il decreto prolunga anche fino al 31 dicembre 2020 il divieto di licenziamento per riduzione di personale.
Nelle anticipazioni della stampa era parso che le 18 settimane di integrazione salariale fossero aggiuntive rispetto alle 9 settimane che il decreto Rilancio (DL n. 34, convertito nella L. 77/2020) già aveva riconosciuto in coda alle prime 9 settimane del Cura Italia. Come è noto, la prima versione del decreto Rilancio aveva previsto che le 9 settimane andassero fruite in due tempi: 5 settimane entro il 31 agosto e 4 settimane tra il 1° settembre e il 31 ottobre. E così molte aziende hanno programmato le integrazioni salariali, anche con accordi sindacali, secondo questa indicazione, nonostante il successivo DL n. 52/2020 avesse liberalizzato la fruizione “in continuità” di tutte le 9 settimane senza dover attendere il 1° settembre.
Ora la bozza del decreto Agosto sembra suonare come una beffa: le aziende “parsimoniose” perdono di fatto in tutto o in parte le 9 settimane del Decreto Rilancio, nella misura in cui le abbiano programmate tra il 13 luglio e il 31 ottobre 2020. Per loro ci sarà, eventualmente, solo l’ultima nuova tranche di 9 settimane, quelle a pagamento. Ipotizziamo che il datore di lavoro abbia pianificato di utilizzare l’integrazione salariale del decreto Rilancio:
- per 2 settimane nella seconda metà di luglio,
- per 3 settimane in agosto, prevedendo una settimana di chiusura aziendale per ferie,
- per 4 settimane dal 31 agosto al 26 settembre.
Salvo modifiche dell’ultima ora, per effetto del decreto Agosto questo datore di lavoro “perderebbe” tutte le 9 settimane pianificate, che sarebbero assorbite dalla nuova “prima tranche” di 9 settimane. Il condizionale è d’obbligo, perché secondo il tenore letterale della norma l’effetto di assorbimento riguarderebbe solo i periodi di integrazione “precedentemente richiesti e autorizzati”, con salvezza, quindi, nell’esempio sopra riportato delle ultime 5 settimane programmate, ma non ancora richieste all’INPS.
La beffa del Decreto Agosto sarebbe ancor più amara per i datori di lavoro delle Zone Gialle: se la disposizione fosse confermata nel testo della bozza circolata in questi giorni, le 4 settimane aggiuntive di trattamento concesse già nella prima fase emergenziale alle aziende dei territori più colpiti dalla pandemia, da fruire obbligatoriamente entro il 31 agosto, sarebbero totalmente assorbite dalla nuova dote del decreto Agosto, se collocate dopo il 12 luglio: in sostanza, quella misura di maggior tutela riconosciuta alle aziende più sfortunate verrebbe di fatto cancellata, con un effetto di livellamento per tutto il territorio nazionale. La nuova disposizione, infatti, abbraccia tutti i trattamenti concessi in base al Cura Italia e, quindi, anche quelli delle Zone Gialle (art. 22, c. 8 quater) e persino quelli addizionali riservati ai comuni delle Zone Rosse (art. 22, c. 8 bis).
Ai datori di lavoro ai quali sia già stato interamente autorizzato il precedente periodo di 9 settimane del decreto Agosto, potranno essere riconosciute le ulteriori 9 settimane, da fruire anch’esse entro il 31 dicembre 2020. Per quest’ultimo periodo, però, l’ammortizzatore non è più gratuito per tutti i datori di lavoro, ma solo per quelli che hanno subito un calo del fatturato nel primo semestre 2020 superiore al 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Per le aziende che hanno subito una riduzione di fatturato inferiore è stabilito un contributo addizionale del 9%, da calcolare sulla retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate durante la sospensione o riduzione dell’attività lavorativa. Il contributo addizionale è elevato al 18% per i datori di lavoro che nel confronto dei due semestri non hanno subito alcuna riduzione di fatturato.
Sfugge la logica di questo meccanismo: se un’impresa stagionale che concentra normalmente il fatturato prevalente nel trimestre luglio-settembre avrà la necessità di ricorrere all’integrazione salariale, dovrà probabilmente sostenere un onere del 9% o del 18%, non potendo far valere un calo di fatturato pari o superiore al 20% nel primo semestre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019.
E ancor meno si giustifica la misura massima del contributo fissata al 18%, cioè doppia o addirittura quadrupla rispetto a quella del contributo addizionale richiesto ordinariamente ad un’impresa che accede alle integrazioni salariali. Perché mai un’impresa dovrebbe preferire l’ammortizzatore speciale a quello ordinario? Ma, più in generale, non si comprende la logica del disincentivo e nemmeno, specularmente, quella dell’incentivo dello sgravio contributivo che il decreto Agosto accorda alle aziende che rinunciano all’ammortizzatore sociale Covid: qualcuno crede davvero che un imprenditore non preferirebbe oggi tenere tutti i lavoratori al loro posto piuttosto che ricorrere alla cassa integrazione? Tenuto conto, oltre tutto, che il datore di lavoro non potrà licenziare il personale fino al 31 dicembre 2020 ed è costretto a subire la proroga ex lege dei contratti a termine, sulla base di quell’incomprensibile disposizione inserita nella legge di conversione del Decreto Rilancio (Art. 93, c. 1 bis, L. 77/2020), che ricorda l’imponibile di manodopera degli anni Cinquanta.
La bozza del decreto Agosto riformula la disposizione che prevede il divieto di licenziamento individuale e collettivo per riduzione fino al prossimo 17 agosto e la estende al 31 dicembre 2020.
I rapporti di lavoro che nelle aziende in sofferenza dovrebbero essere cessati, con intervento per i lavoratori delle tutele della NASPI, saranno così tenuti in vita artificialmente. Ma la coperta delle nuove integrazioni salariali è troppo corta, specie se si considera il descritto “assorbimento” e non arriva in nessun caso fino al 31 dicembre.
Vi è il rischio concreto e forse non adeguatamente valutato che i datori di lavoro che abbiano esaurito tutti gli ammortizzatori disponibili, nonché le ferie e i permessi contrattualmente previsti, siano costretti in mancanza di un’effettiva ripresa dell’attività a collocare i lavoratori in sospensione non retribuita, non potendoli licenziare. Ciò rappresenterebbe un danno in primis per i lavoratori, che si vedrebbero privati della retribuzione e della possibilità di accedere alle tutele di disoccupazione.
Un allentamento del divieto di licenziamento sarebbe quanto mai opportuno anche in relazione ai processi di uscita già definiti con i lavoratori e con le organizzazioni sindacali: si pensi ad esempio alle procedure di licenziamento collettivo con criterio non oppositivo e di accompagnamento alla pensione. Il divieto dovrebbe almeno essere rimosso in tutti questi casi, in cui la non opposizione del lavoratore risulti comprovata in una sede protetta, cioè con accordo conciliativo con assistenza sindacale e davanti all’Ispettorato Territoriale del Lavoro.