News
Archivio newsLavoratori “fragili” esposti al contagio da COVID. Come vanno tutelati dalle aziende?
Si chiama “sorveglianza sanitaria eccezionale”. E’ prevista dal decreto Rilancio a tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori “fragili” maggiormente esposti al rischio di contagio nei luoghi di lavoro fino al 15 ottobre 2020, data di cessazione dello stato di emergenza. Nel silenzio della norma in ordine alle concrete modalità di attivazione, la sorveglianza sanitaria eccezionale sembra riconducibile alla visita (su richiesta) del lavoratore, esercitata dal medico competente o dal medico INAIL. Nel caso in cui si accerti che il lavoratore fragile non versi nelle condizioni fisiche compatibili con lo svolgimento delle sue funzioni, il giudizio di inidoneità fa sorgere il divieto di licenziamento ed impone all’azienda di cercare soluzioni organizzative per la conservazione del posto di lavoro. E se non ci fossero soluzioni organizzative?
Nel D.L. n. 34/2020, per intenderci il c.d. decreto Rilancio, recentemente convertito dalla l. n. 77/2020, come nella classica bottega di un rigattiere, si trova un po’ di tutto. Rovistando fra le numerose “minutaglie” normative, all’art. 83, ci si imbatte in un precetto rubricato “sorveglianza sanitaria”.
Proroga dello stato di emergenza
A seguito di diligente analisi, si comprende che, in forza di tale norma, il legislatore introduce nell’ordinamento che tutela la sicurezza e la salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro una nuova (emergenziale) fattispecie di sorveglianza sanitaria definita “eccezionale”, la quale, fino alla data di cessazione dello stato di emergenza per rischio sanitario sul territorio nazionale, prorogata al 15 ottobre 2020 dalla delibera del CdM del 29 luglio, va ad aggiungersi a quella normalmente prevista dal D.Lgs. n. 81/2008, in particolare all’art. 41.
Tuttavia, alla luce del D.L. n. 83/2020, contenente “ Misure urgenti connesse con la scadenza della dichiarazione di emergenza epidemiologica da COVID-19 deliberata il 31 gennaio 2020”, la proroga dello stato di emergenza sanitaria al 15 ottobre disposta il 29 luglio non è generale giacché nell’allegato 1 del decreto, richiamato dal comma 3 dell’art. 1, sono elencati, tassativamente, i provvedimenti ai quali si applica la prosecuzione dello stato di emergenza unitamente ad alcuni ai quali la proroga si applica ma solo fino al 14 settembre (segnatamente il diritto, relativo, allo smart working per i lavoratori genitori di figli infra quattordicenni).
Come se ciò non bastasse, a complicare ulteriormente le cose il citato decreto, all’art. 1 comma 4, stabilisce che tutti i provvedimenti legislativi con termini connessi o correlati allo stato di emergenza che non sono ricompresi nell’allegato 1 scadono, conseguentemente, il 31 luglio.
Poiché fra i provvedimenti non ricompresi nell’allegato 1 c’è anche l’art. 83 del D.L.n. 34 conv. dalla l. 77/2020, ci si domanda se la sorveglianza sanitaria eccezionale non debba più essere assicurata dalle aziende a partire dal 1° agosto o se, invece, tale incombenza e la relativa disciplina che, giova ricordarlo, fra l’altro vieta il recesso datoriale per i lavoratori fragili inidonei, seguiti a produrre effetti fino al 15 ottobre.
Prescindendo da qualsiasi giudizio sulla sensatezza della ratio del provvedimento, soprattutto in relazione ad una misura protettiva della salute come quella della sorveglianza sanitaria eccezionale la quale non pare affatto essere venuta meno, l’unica interpretazione possibile sembra, nell’immediato, senza dubbio la prima.
Nondimeno, poiché fra le disposizioni legislative inserite nell’allegato 1 di cui si dispone la proroga al 15 ottobre si rinviene anche quella regolata all’art. 90, comma 1, secondo periodo, del D.L. n. 34, conv. dalla l. n. 77/2020, secondo la quale, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19”, hanno diritto a svolgere le prestazioni di lavoro in modalità agile, come si vedrà più dettagliatamente in seguito, i lavoratori “fragili” giudicati inidonei dai medici competenti “nell'ambito della sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 83 del presente decreto, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa”, l’evidente corto circuito normativo di cui sopra non può che essere risolto ritenendo il citato art. 83, per il tramite del richiamato art. 90, comma 1 secondo periodo, del D.L. 34, ancora pienamente in vigore fino al 15 ottobre 2020.
Del resto, la finalità, purtroppo ancora attuale, della sorveglianza sanitaria eccezionale, che deve essere assicurata da tutti i datori di lavoro pubblici e privati, è quella di tutelare la salute dei lavoratori maggiormente esposti al rischio di contagio sul posto di lavoro nonché a un esito grave e potenzialmente infausto del decorso della malattia Sars-Cov-2 a causa della loro condizione fisica caratterizzata da debolezza derivante dall'età (lavoratori più o meno anziani, si veda in tal senso l’obbligo di valutazione gruppale dei rischi lavorativi di cui all’art. 28, co. 1, D.Lgs. n. 81/2008, in relazione, fra le altre situazioni imposte, all’età dei prestatori) o dalla condizione, pregressa, di rischio derivante da immunodepressione, così come da patologia Covid-19, da esiti di patologie oncologiche, dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità.
Tale dettame, complessivamente nient’affatto persuasivo, pare assorbire interamente la fattispecie, generica, vaga, difficilmente riconducibile all’assetto normativo della sorveglianza sanitaria così come disciplinata del Testo Unico Sicurezza e, quindi, sostanzialmente impraticabile, contenuta al punto 12 del Protocollo condiviso Governo Parti Sociali del 14 marzo - 24 aprile, diretta alla tutela dei dipendenti con situazioni di “particolare fragilità e patologie attuali o pregresse” e assegnata, impropriamente e in modo surrettizio, alle “cure” del medico competente.
La sorveglianza sanitaria eccezionale, che, pur nel silenzio della norma in ordine alle concrete modalità di attivazione, pare riconducibile, anche nel caso di pregressa sottoposizione dei lavoratori alla sorveglianza sanitaria prevista per legge siccome definita nel protocollo sanitario come pure previa informativa a tutto il personale, alla visita su richiesta del lavoratore, è esercitata, di regola, dal medico competente il quale vede così aumentare ex lege le proprie incombenze e il proprio ambito di operatività (e di responsabilità) oltre il normale perimetro assegnatogli dal d.lgs. n. 81/2008.
Infatti, solo nel caso, invero assai raro, in cui il datore di lavoro non sia tenuto a nominare il medico competente per la totale assenza nell’attività aziendale delle tassative situazioni di rischio che impongono per legge di istituirla, e sempreché non decida di nominarne uno ad hoc per il periodo emergenziale, la sorveglianza sanitaria eccezionale potrà essere dal medesimo richiesta ai servizi territoriali dell'INAIL che vi debbono provvedere con propri medici del lavoro.
La tariffa per l'effettuazione delle prestazioni di sorveglianza sanitaria eccezionale rese dai medici dell’INAIL, come risulta dal D.M. Lavoro 23 luglio 2020, è stata determinata in € 50,85 (somma unitaria per singola prestazione ossia per ogni visita con relativo giudizio).
Con una disposizione dall’evidente natura protettiva, ai medici dell’INAIL che attuano la sorveglianza sanitaria eccezionale non si applicano gli articoli: 25 (obblighi del medico competente), 39 (svolgimento dell’attività del medico competente), 40 (rapporti del medico competente con il servizio sanitario nazionale) e, soprattutto, 41 (sorveglianza sanitaria) del D.Lgs. n. 81/2008; in altre parole a salvaguardia di tali medici la norma prevede l’esonero da tutti gli obblighi, le incombenze e le correlate responsabilità, previsti per il medico competente, il quale, diversamente da questi ultimi, continua senz'altro a esservi tenuto anche nell’ipotesi di sorveglianza sanitaria eccezionale.
Tuttavia, ragionando in merito a quanto disposto anche con riferimento alla circostanza che l'inidoneità alla mansione accertata ai sensi dell’obbligo di sorveglianza sanitaria eccezionale non può in ogni caso giustificare il recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro (cfr. co. 3), pare di poter concludere che pure il medico dell’INAIL, sebbene esonerato dagli adempimenti dell’art. 41, fra cui spiccano appunto i giudizi di idoneità/inidoneità alla mansione di lavoro a seguito della visita medica, sia comunque tenuto, al pari del medico competente, a rilasciarli.
Infatti, nel malaugurato caso in cui egli accerti che il lavoratore fragile non versi nelle condizioni fisiche compatibili con lo svolgimento delle sue funzioni, è proprio il giudizio di inidoneità (presumibilmente temporanea), attesa, per tale inabilità, la preclusione del recesso dal contratto di lavoro, ossia sancito il divieto di licenziamento (per g.m.o.) anche nell’accezione della risoluzione per impossibilità sopravvenuta (parziale) della prestazione (ai sensi dell'art. 1464 c.c.), ad imporre al datore di lavoro la ricerca di diverse soluzioni organizzative utilizzabili nell’ottica della conservazione del di lui posto di lavoro (da intendersi anche quali accomodamenti ragionevoli ex art. 3, c. 3-bis, D.Lgs. n. 216/2003, n. 216 e nei limiti di questi).
La prima determinazione utile al fine di conservare il posto di lavoro del prestatore “fragile” inidoneo alla mansione in conseguenza del rischio di contrarre il Covid -19 è, ovviamente, vista l’assoluta centralità assunta dall’istituto in tempo di pandemia, quella di fare ricorso al lavoro da remoto, a distanza, ossia al lavoro agile emergenziale o smart working pandemico.
Tale ipotesi, richiamata si da subito dalla dottrina ma in un primo tempo non prevista per questa tipologia di lavoratori, è stata, come sopra richiamato, espressamente sancita ai sensi dell’art. 90, co. 1 del D.L. Rilancio nel testo modificato dalla L. n. 77/2020.
Infatti, in sede di conversione, viene sancito che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, il diritto allo svolgimento delle prestazioni di lavoro in modalità agile è riconosciuto, sulla base della valutazione del medico competente, anche ai lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, nell'ambito della sorveglianza sanitaria eccezionale di cui all'articolo 83 del D.L. Rilancio, a condizione, però, che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione lavorativa del prestatore di salute cagionevole.
Pare, dunque, sostenibile, come si è già avuto modo di osservare, sulla base del tenore della norma in esame, che il diritto al lavoro agile previsto dall’art. 90, co. 1, anche con riferimento ai lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, non sia incondizionato o assoluto, bensì debba essere esercitato all’interno dell’accordo individuale, ove esistente, o nei limiti di compatibilità con le caratteristiche della prestazione stabilite dal datore di lavoro.
Nell’infausto (e non così improbabile) caso in cui non fosse utilizzabile il lavoro agile, posto il divieto di recesso contrattuale, il datore di lavoro, eventualmente anche in sede protetta ex art. 2103, comma 6, c.c., dovrà, se possibile, trasferire temporaneamente il lavoratore fragile a mansioni, equivalenti o anche inferiori, compatibili con il suo stato di salute (con conservazione, sulla carta, del trattamento economico pregresso), comunque adottando ogni necessaria misura preventivo-protettiva capace di scongiurare o significativamente limitare il possibile contagio, oppure, fallito quello che potremmo definire “pseudo repechage”, trovare soluzioni alternative utilizzando istituti lavoristici provvisoriamente sospensivi della prestazione, quali, prescindendo dal ricorso alla malattia attestata dal medico curante, permessi, ferie, aspettative retribuite e non, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva.
L’improvvido impiego del licenziamento del lavoratore fragile inidoneo alla mansione per i motivi di salute rientranti nell’art. 83 del D.L. “Rilancio”, pur con la prova dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per assenza di qualsivoglia modalità alternativa di esecuzione della mansione, ovviamente previa impugnazione e ricorso in giudizio dello stesso, deve essere ricondotto all’interno delle ipotesi di nullità previste dalla legge (art. 1418, commi 1 o 3 c.c. e non per frode alla legge ai sensi degli artt. 1343 e 1418, comma 2 c.c.) o del motivo illecito determinante (ex art. 1345 c.c.) o, ancora, della discriminazione per disabilità/salute.
Anche nel caso del divieto di licenziamento in esame, si applicherà, ex art. 18, comma 1, St. Lav. nonché ex art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015, la reintegrazione nel posto di lavoro oltre all’indennità risarcitoria piena a prescindere dal numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro; sempreché non intervenga, ma è a dir poco improbabile, una conciliazione in sede protetta.