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Archivio newsContratti a termine: con il decreto Agosto prende il via la mini riforma, anche se a tempo
Al via la mini riforma dei contratti a termine come prevista dal decreto Agosto. In particolare, si prevede la possibilità, fino al 31 dicembre 2020, di rinnovare o prorogare per un massimo di 12 mesi e per una sola volta, i contratti tempo determinato. Si tratta di una novità positivamente accolta dalla imprese se si pensa che, in fase di riavvio delle attività, sono proprio tali contratti ad essere favoriti rispetto a quelli a tempo indeterminato, in attesa di un consolidamento dell’attività produttiva. Come si applicano le nuove disposizioni ai contratti in corso, in scadenza oppure stipulati tra le parti per la prima volta?
La normativa sui contratti a termine, anche in somministrazione, è stata la più “travagliata” in materia di lavoro degli ultimi anni in quanto tutti i Governi ci hanno “messo e le mani” con un risultato che è sotto gli occhi di tutti: le disposizioni, emanate con i più meritevoli intenti, si sono succedute ma non hanno prodotto risultati tangibili sul piano occupazionale. Da ultimo, con il decreto Dignità si è pensato di lottare contro le varie forme di precariato attaccando la flessibilità buona (contratti a tempo determinato e somministrazione ove le retribuzioni e le forme previdenziali sono certe e garantite), mentre si è tralasciato di occuparsi con interventi seri, anche ispettivi, delle false partite IVA, delle collaborazioni più o meno genuine, delle collaborazioni ex 2222 c.c. che non rispondono ai canoni normativi, dei rapporti intermittenti ove, in mancanza di altre determinazioni anche di natura ministeriale, si continua a ricorrere a mansioni inserite in un Regio Decreto, il n. 2957 del 1923, che non è più da oltre un decennio nel nostro ordinamento.
Con l’art. 8 del decreto Agosto (D.L. n. 104/2020), che è intervenuto , cambiandolo radicalmente, sull’art. 93 del D.L. n. 34/2020, assistiamo ad una prima “mini riforma” , sia pure a tempo, delle normative introdotte con il D.L. n. 87/2018.
Vediamo di cosa si tratta cominciando ad elencare cosa è stato espunto dall’art. 93 che voleva rappresentare una prima timida riforma temporale del decreto Dignità e che ha avuto, nel breve termine di vita, più critiche che consensi.
Sono stati tolti:
a) La frase che parlava di facilitazioni al riavvio delle attività a seguito della crisi epidemiologca dovuta al COVID-19: cosa giusta in quanto in caso di contenzioso poteva anche prefigurarsi la tesi che la mini riforma dell’art. 93 potesse applicarsi, unicamente, ai datori di lavoro che avevano fatto ricorso agli ammortizzatori sociali speciali per il coronavirus;
b) Il riferimento ai contratti “in essere alla data del 23 febbraio 2020”: tale frase escludeva dalla possibilità di essere assunti con un nuovo contratto a termine (o anche prorogati) o in somministrazione a tempo determinato, senza causale, quei lavoratori che non erano in forza a quella data e che, magari, lo erano stati prima di quella data o lo erano stati successivamente;
c) Il riferimento alla data del 30 agosto 2020 che il Ministero del Lavoro con una slide (evidentemente, ha preso piede l’abitudine di dare indicazioni sul web senza alcuna firma) con un velocità degna di miglior causa, si era affrettato a definire come ultimo giorno, concetto ripreso dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con una propria nota (questa sì, firmata) inviata alle proprie articolazioni periferiche;
d) Il comma 1-bis, introdotto con la l. n. 77/2020, in sede di conversione del D.L. n. 34/2020 con il quale si imponeva per i contratti a termine anche in somministrazione una sorta di “imponibile di manodopera” di stampo “anni cinquanta”, peraltro, definito incostituzionale dalla Consulta con sentenza n. 78/1958 in agricoltura, sia pure in un contesto del tutto diverso. L’imponibile di manodopera si caratterizzava in una proroga obbligatoria dei rapporti a termine per tutto il periodo in cui c’era stata la sospensione del rapporto: tale disposizione che era, senz’altro da riferirsi, al periodo di ammortizzatore sociale COVID-19, era stata, prontamente allargata con una FAQ dal Ministero del Lavoro (e ci risiamo, con le indicazioni non firmate!) a tutti i periodi di sospensione come, ad esempio le ferie godute che, a mio modesto avviso, non possono essere, assolutamente, messe sullo stesso piano delle misure di sostegno del reddito, in quanto destinate al recupero psico fisico delle energie e che discendono da un dettato costituzionale (art. 36 Cost.). Era una norma che si applicava, indistintamente, a tutti i contratti a termine ed in somministrazione, e quindi anche stagionali con un aspetto ridicolo, (mi sia consentito di usare un termine un po' forte) di dover assicurare una proroga anche in assenza dell’attività oltre che, in presenza (nei contratti a tempo determinato “normali”) di una carenza di necessità da parte del datore di lavoro (perché, ad esempio, la donna in maternità sostituita era rientrata in servizio). L’abrogazione del comma 1-bis ha portato alla cancellazione anche del recupero della sospensione nei contratti di apprendistato di primo e terzo livello (art. 43 e 45 del D.L.vo n. 81/2015), mentre è restato il recupero delle ore di sospensione per le integrazioni salariali per i soggetti con contratto di apprendistato professionalizzante, in quanto tale disposizione (ben comprensibile, in quanto tale tipologia contrattuale a tempo indeterminato ha un contenuto formativo) si rinviene nel comma 4 dell’art. 2 del D.L.vo n. 148/2015. La disposizione precedente è stata in vigore per 29 giorni (infatti, la legge di conversione che la conteneva è stata pubblicata il 18 luglio): ciò significa che se, in tale lasso di tempo, un datore di lavoro ha prorogato il rapporto a tempo determinato per un periodo uguale alla sospensione dovuta al periodo di integrazione COVID-19, questo contratto conserva la propria efficacia.
Vado, ora, ad esaminare le novità introdotte ed il motivo per il quale si può, timidamente parlare di una “mini riforma”, a tempo, del decreto Dignità. Il nuovo testo dell’art. 93 recita “In conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in deroga all’art. 21 del D.L.vo n. 81/2015 e fino al 31 dicembre 20020, ferma restando la durata complessiva di 24 mesi, è possibile rinnovare o prorogare per un massimo di 12 mesi e per una sola volta, i contratti tempo determinato, anche in assenza delle condizioni di cui all’art. 19, comma 1, del D.L.vo n. 81/2015” .
La prima frase ove si fa riferimento alla crisi da Coronavirus, è generica ma importante, in quanto rappresenta la motivazione in base alla quale si deroga, temporaneamente, alla disciplina generale e, come detto, pocanzi, appare più coerente rispetto quella precedente, inserita nell’originario art. 93, che poteva creare difficoltà in sede di contenzioso.
Le novità normative, pur nel silenzio del testo, si applicano anche alla somministrazione a termine attesa la piena equiparazione tra le due tipologie contrattuali confermata quale risulta da una lettura completa degli specifici articoli contenuti nel D.L.vo n. 81/2015.
La data del 31 dicembre 2020 rappresenta il giorno ultimo entro il quale può essere rinnovato o prorogato un contratto a termine: lo si arguisce dal fatto che la norma ripete, pleonasticamente, quanto affermato dall’art. 19 circa la durata complessiva di 24 mesi e che è possibile prorogare, una sola volta, senza l’apposizione di alcuna condizione, il contratto iniziale per 12 mesi, purchè ciò avvenga entro quel giorno.
La norma parla di proroghe e rinnovi, quindi di contratti a termine in corso o che, se scaduti, possono essere rinnovati: la disposizione, tuttavia, trova applicazione anche ai contratti che vengono stipulati tra le parti per la prima volta, atteso che il rapporto, sottoscritto, ad esempio, il 20 agosto (senza causale) con scadenza il 30 dicembre, potrebbe, legittimamente essere prorogato per 12 mesi, senza causale, cosa che, in via ordinaria non accade in quanto il superamento della soglia dei 12 mesi comporta l’apposizione di una condizione, pena la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.
Questo contatto a termine “particolare” può essere prorogato una sola volta entro il 31 dicembre 2020 e per una durata massima di un anno: ciò significa che se il contratto dovesse essere ulteriormente prorogato nel corso del 2021, pur nel rispetto del numero massimo delle proroghe e della durata complessiva di 24 mesi e dell’inserimento di una causale specifica, stando al tenore letterale della norma, ciò non sarebbe possibile: se così fosse ci troveremmo di fronte ad una “stortura” che andrebbe contro il concetto di occupazione e bene farebbe, in sede di conversione, il Parlamento a chiarire la questione. Nel frattempo, sarebbe auspicabile una lettura “amministrativa orientata” da parte del Dicastero del Lavoro (possibilmente, non per slide o FAQ).
La norma pone anche la questione relativa al numero delle proroghe che, con il consenso del lavoratore, possono essere inserite nel contratto iniziale: se il datore di lavoro, in forza di precedenti contratti, ha già raggiunto il limite massimo di 4 previste dall’art. 21, può utilizzare una quinta proroga per questo contratto “acausale”? La risposta è positiva in quanto si parla, espressamente, di deroga all’art. 21 del D.L.vo n. 81/2015 ove, al comma 1, viene stabilito il numero massimo di 4.
Per il resto, a tali contratti a termine trovano applicazione le regole generali previste dal D.L.vo n. 81/2015: divieto di stipula nelle ipotesi di divieto contemplate dall’art. 20, percentuale fissata al 20% (o quella, diversa, stabilita dalla contrattazione collettiva) rispetto al numero dei dipendenti a tempo indeterminato in forza alla data del 1° gennaio dell’anno al quale si riferisce l’assunzione (in questo caso il 2020), diritti di precedenza, possibilità di stipulare un ulteriore contratto a termine (con causale) avanti all’Ispettorato territoriale del Lavoro per un massimo d 12 mesi, apparato sanzionatorio a disposizione degli organi di vigilanza, computo ai fini dimensionali dell’azienda, termini per il ricorso giudiziale e costituzione del rapporto a tempo indeterminato ex art. 28, esclusione di alcune tipologie a termine dalla normativa del D.L.vo n. 81/2015.
Due brevi parole a commento delle novità introdotte: le novità introdotte appaiono positive so che si pensi che, in fase di riavvio, sono proprio i contratti a tempo determinato ad essere favoriti rispetto a quelli a tempo indeterminato, in quanto si attende un consolidamento dell’attività produttiva.
Da ultimo, con l’art. 7 si prevedono alcuni benefici, che peraltro, non sono immediatamente operativi n quanto attendono il “via libera” da Bruxelles, in favore dei datori di lavoro che assumono con contratto a tempo determinato o stagionale nel settore del turismo e degli stabilimenti termali.
Essi consistono nell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, sulla quota a carco del datore di lavoro, fino ad un massimo di 8.060 euro annui (ovviamente, riparametrati su 3 mesi, al massimo), con esclusione dei premi INAIL (e, immagino, come in casi analoghi, della c.d. “contribuzione minore”). Tale agevolazione, in caso di conversione a tempo indeterminato risulta cumulabile con altri esoneri e riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente, entro i limiti della contribuzione previdenziale dovuta: in questo caso, dopo l’autorizzazione della Commissione Europea ai sensi dell’art. 108, paragrafo 3, del Trattato, occorrerà attendere i chiarimenti amministrativi dell’INPS.