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Archivio newsSicurezza in azienda. Lo smart working come “passaporto” per il futuro del lavoro
Lo smart working emergenziale ha cambiato l’organizzazione del lavoro. Produttività e rimodulazione dell’orario di lavoro, in attuazione ai protocolli di sicurezza, sono stati gli effetti immediati del lavoro da remoto sperimentato durante i mesi del lockdown, oggi divenuti essenziali per sostenere la ripresa e la riprogettazione delle attività. Se il distanziamento sembra essere l’unico strumento efficace di organizzazione del lavoro in applicazione dell’obbligo di tutela e sicurezza generale al cui rispetto sono tenute le aziende, perché non continuare a ricorrere al lavoro agile anche dopo la fine dello stato di emergenza?
Siamo ormai consapevoli del fatto di avere imboccato una strada senza ritorno. Gli effetti della sperimentazione dello smart working che sono il portato più immediato della pandemia sono sotto gli occhi di tutti. E ciò anche senza necessariamente scomodare i dati pubblicati dalle diverse ricerche che si sono avvicendate in quest’ultimo periodo le quali, peraltro, mettono in evidenza che oltre il 60% dei lavoratori non vorrebbe più tornare indietro e sarebbe addirittura disposto ad essere retribuito con premi variabili legati alla produttività (che come sappiamo è uno dei fattori più importanti di questa modalità di lavoro).
Molte aziende stanno già riorganizzando la loro attività e non necessariamente in una logica di esubero – contrariamente ai timori che hanno governato l’introduzione delle norme sulla sospensione dei licenziamenti – ma in una logica di crescita (o meglio ri-crescita o ri-nascita) ed a patto di riorganizzare e riprogrammare l’intero sistema delle competenze. Perché il lavoro smart si “nutre” di tecnologia, ma questa presuppone che l’adeguamento da parte delle organizzazioni in termini di flessibilità porti anche la formazione adeguata per accompagnare la rivoluzione in atto, anche attraverso la rimodulazione dell’orario di lavoro attraverso la contrattazione collettiva, come la previsione del Fondo Nuove competenze ci induce a ritenere possibile.
Ma allora, quale è la chiave di accesso immediatamente disponibile per la programmazione di questa rivoluzione non più annunciata ma ormai in atto anche dopo la fine dello stato di emergenza? Sicuramente la sperimentazione dello smart working, “forzata” dall’attuazione dei Protocolli di sicurezza e del dovere di tutela in favore dei dipendenti.
Produttività e rimodulazione dell’orario di lavoro, in attuazione ai Protocolli di sicurezza e per garantire l’alternanza tra lavoro in sede e lavoro da remoto. Questi sono gli effetti immediati del lavoro da remoto sperimentato durante i mesi del lockdown, oggi essenziali per sostenere la riprogettazione delle attività e la fase di ripresa delle attività e di riavvio della nostra economia.
E’ ormai cambiata l’organizzazione del lavoro. Anzi ha subito una vera e propria accelerazione verso un nuovo modo di lavorare, più flessibile - anche se inizialmente costretto tra le mura domestiche ma in futuro con apertura verso luoghi diversi dal domicilio, purché “sicuri” - e utile per avviare nuovi sistemi e parametri di valutazione della prestazione lavorativa (nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato).
Si affievolisce infatti il binomio tempo/messa a disposizione di mere energie lavorative quale unico parametro di valutazione della prestazione lavorativa divenendo in modo più significativo, rilevante e concreto misurare la prestazione di lavoro in termini di obiettivi e di risultato per incrementare la competitività e allo stesso tempo conciliare vita e lavoro, come la stessa definizione di lavoro agile ci dice (Art. 18, c. 1 L. n. 81/2017).
Principi sempre di difficile introduzione all’interno del rigido schema del lavoro subordinato classico. Ma oggi possibili perché da un lato il contratto di lavoro subordinato si è dovuto adattare diventando più flessibile anche attraverso – appunto - il lavoro da remoto da Covid e, dall’altro, perché il lavoro per obiettivi e risultati - tipico del lavoro autonomo – non solo ha iniziato a fare ingresso in modo sempre più consistente anche nel rapporto di lavoro subordinato, proprio per accompagnare in modo concreto l’introduzione nel lavoro subordinato di più ampi margini di flessibilità, ma è divenuto oggi parametro di regolazione della prestazione lavorativa ibrida ossia caratterizzata in modo strutturale da una parte di lavoro all’interno dei locali aziendali e una parte all’esterno, divenendo strumento di una nuova ma attuale organizzazione del lavoro.
Organizzazione del lavoro che trova nei regolamenti e nell’implementazione dei Protocolli di sicurezza, importante fattore di regolazione anche “necessitata” del rapporto di lavoro. Soprattutto tenendo conto delle implicazioni in termini di responsabilità datoriale in materia di salute e sicurezza sul lavoro (2087 c.c.) che la pandemia ha portato come conseguenza più importante dell’alluvionale produzione normativa di questi mesi. Si pensi ad esempio alla posizione dei soggetti a rischio, che se da un lato godono di diritti e priorità nello svolgimento della prestazione di lavoro da remoto (coerentemente con la durata dello stato di emergenza prorogata al 15 ottobre) dall’altro divengono anche l’occasione per sperimentare quelle forme di alternanza casa-altrove-lavoro che, proprio in attuazione dei Protocolli di sicurezza, costituiscono oggi un obbligo per le aziende, anche per scongiurare – finché saremo accompagnati dal virus nella nostra quotidianità – il rischio di infortunio.
L’art. 2087 c.c. prescrive infatti che “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la e tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, imponendo quindi un obbligo generale di disposizione di tutte le misure necessarie per prevenire eventuali rischi. La poca conoscenza di tutti i possibili fattori di prevenzione dal virus (ancora oggi poco conosciuto) e il parallelo obbligo di tutelare l’integrità fisica (e morale) del prestatore di lavoro, pongono i datori di lavoro dinnanzi alla necessità di adottare – anche al di là del termine dello stato di emergenza - misure organizzative adeguate e idonee non solo a garantire i livelli minimi di tutela ma, anche, in un contesto così fluido e in divenire come quello determinato dalla pandemia, forme di organizzazione del lavoro che aiutino a creare la giusta premessa per limitare o scongiurare il rischio di contagio.
Il distanziamento, anche all’interno delle aziende, sembra oggi essere l’unico efficace strumento di organizzazione (o meglio, di riorganizzazione) del lavoro che possa soddisfare questi presupposti.
Da ciò deriva che anche oltre il termine dello stato emergenziale, le aziende ben potranno proseguire nelle attuali modalità di lavoro agile del proprio personale e ciò in applicazione concreta dell’obbligo di tutela e sicurezza generale al cui rispetto sono tenute.
In altri termini, anche prevedendo di proseguire l’organizzazione di lavoro da remoto pure in assenza di accordi individuali, da ritenere superabili alla luce del dovere generale di sicurezza previsto dall’art. 2087 c.c., e ciò nella consapevolezza che non di vera e propria forzatura si tratta ma di un vero e proprio “passaporto” per il futuro del lavoro nell’impresa, soprattutto in assenza di garanzie sulla assenza del virus in autunno (come a più riprese si legge sui media nazionali ogni giorno) e, di conseguenza, sul pericolo presente di contagio derivante in ogni caso dalla promiscuità e dagli spostamenti casa-ufficio del proprio personale.
Il Regolamento di smart working diviene oggi così lo strumento più snello per sperimentare la nuova organizzazione del lavoro, proprio ai fini del rispetto dei Protocolli e delle Linee Guida di settore, costituendo altresì lo strumento indispensabile per assicurare anche la corretta gestione del personale al quale la legge riserva – seppure entro i limiti temporali dell’emergenza - un diritto o una priorità nello svolgimento della prestazione in modalità di lavoro agile, sempre che sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.