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Archivio newsOmissioni contributive: l’INPS deve partecipare al giudizio tra datore di lavoro e lavoratore
Nelle controversie di lavoro volte ad ottenere la condanna dell’azienda al versamento a favore del Fondo di solidarietà per il sostegno al reddito, istituito presso l'INPS dal D.M. n. 158 del 2000, dei contributi “correlati” alla retribuzione mensile, sussiste litisconsorzio necessario con l’INPS, sia in ragione della natura obbligatoria di tale contribuzione, sia per le ricadute di ordine processuale della struttura del rapporto dedotto in giudizio. L’obbligo datoriale di pagare integralmente i contributi dovuti, infatti, si sostanzia, nell’ambito del rapporto di lavoro, in un obbligo di un facere e non già in un diritto di credito del lavoratore ai contributi.
Nella prassi è abbastanza discusso la necessità di convenire in giudizio l’INPS nell’ambito dei contenziosi aventi ad oggetto la richiesta di accertamento dell’omissione contributiva e la conseguente condanna del datore di lavoro al versamento di ulteriori contributi.
Occorre cioè comprendere se sussista il litisconsorzio necessario tra il lavoratore, il datore di lavoro e l’ente previdenziale, all’ipotesi in cui il dipendente chieda la condanna del datore di lavoro alla regolarizzazione del rapporto contributivo.
La giurisprudenza di legittimità sul punto non ha formato ad oggi un indirizzo univoco.
Un più datato orientamento (cfr. Cass. SS.UU. n. 3678/2009), partendo dal presupposto che l’ente previdenziale non è solo un mero destinatario del pagamento ma è interessato all’accertamento giudiziale del rapporto di lavoro e della misura della retribuzione, ha ritenuto che la struttura del rapporto abbia imprescindibili riflessi processuali, in termini di litisconsorzio necessario, poiché interessa la sfera giuridica dei tre i soggetti coinvolti (datore di lavoro, ente previdenziale e lavoratore).
Secondo un diverso orientamento (tra le altre Cass. n. 17162 del 2016), invece, anche qualora il giudizio abbia ad oggetto la regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore, l’INPS riveste unicamente la posizione di destinatario del pagamento del versamento omesso. Ne consegue così la carenza in capo all’Istituto Previdenziale di interesse all’accertamento del rapporto di dipendenza, il quale costituisce solo il presupposto del maggior obbligo contributivo.
Da ciò risulterebbe insussistente la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’INPS medesimo.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19679 depositata il 21 settembre 2020, scrupolosamente motivata, ha affermato che l’INPS è litisconsorte necessario ogniqualvolta il lavoratore chieda la condanna del datore di lavoro al pagamento, di contributi omessi in favore dell’ente previdenziale.
Nella specie, il dipendente di un’azienda di credito agiva in giudizio per ottenere la condanna del datore di lavoro al versamento in favore del Fondo di solidarietà per il sostegno al reddito, istituito presso l'INPS dal D.M. n. 158 del 2000, dei contributi “correlati” alla retribuzione globale dell’ultimo anno di riferimento e della relativa rivalutazione, con la conseguente condanna del datore di lavoro al pagamento del dovuto. Le domande venivano parzialmente accolte sia in primo sia in secondo grado, determinando il ricorso principale del datore di lavoro e di quello incidentale del lavoratore in Cassazione.
I giudici di legittimità hanno innanzitutto rilevato la nullità del giudizio per difetto di integrità del contraddittorio, attesa la mancata chiamata, in entrambi i gradi di merito, dell’INPS.
La decisione della Suprema Corte conferma così i principi affermati dalle SSUU sul punto (n. 3678 del 2009) sostanzialmente basandosi sulla natura della c.d. contribuzione correlata e sulle ripercussioni che la struttura del rapporto ha sul piano processuale.
In particolare, la Cassazione ha rilevato la natura obbligatoria della contribuzione correlata (di cui al D.M. 158/2000), in quanto “obbligatoriamente rapportata alla prestazione erogata”.
Non è possibile, infatti, subordinare la verifica né alla discrezionalità dell’ente previdenziale, in termini di preventiva autorizzazione, tanto meno dell’assicurato, per l’utilità ai propri fini pensionistici.
Pertanto nelle ipotesi in cui il lavoratore chieda la condanna del datore di lavoro alla regolarizzazione della posizione contributiva, con pagamento in favore dell’INPS, non si sostanzia in un diritto di credito del lavoratore ai contributi, bensì nell’obbligo del datore di un facere nei confronti di un terzo. Ne consegue così che senza il coinvolgimento del soggetto in favore del quale il datore di lavoro deve adempiere, non si avrebbe e non si potrebbe avere alcun effetto verso l’ente previdenziale, nonostante concretamente coinvolto nella situazione sostanziale dedotta in giudizio.
La posizione di terzietà dell’INPS rispetto al rapporto di lavoro, infatti, renderebbe inopponibile qualsiasi giudicato e non rileverebbe ai fini interruttivi della prescrizione dei contributi.
La Suprema Corte ha comunque precisato che la mancata integrazione del contraddittorio non comporta l’inammissibilità della domanda, quanto piuttosto, dà luogo ad un litisconsorzio necessario (ai sensi dell’art. 102 c.p.c.) cui consegue la nullità del giudizio, rilevabile in ogni stato e grado del processo, salvo il limite del giudicato.
Cassazione, sentenza 21/09/2020, n. 19679