News
Archivio newsCassa integrazione: quando scattano i costi per le aziende
Un contributo addizionale pari al 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate durante la sospensione o la riduzione di orario per le aziende con fatturato ridotto in misura inferiore al 20% e pari al 18% per le aziende che non hanno subito cali di fatturato. E’ l’ammontare dei nuovi costi che dovranno sostenere i datori di lavoro che fruiranno delle seconde 9 settimane (delle 18 complessive) di cassa integrazione. La gratuità degli interventi di integrazione salariale resta, invece, se la riduzione del fatturato è pari o superiore al 20% e per chi ha iniziato l’attività dopo il 1° gennaio 2019.
La sera del 30 settembre, dopo le ore 22, l’INPS ha emanato la circolare n. 115/2020 con la quale ha dettato le proprie indicazioni amministrative sulle integrazioni salariali COVID-19 alla luce delle novità introdotte con il decreto Agosto (D.L. n. 104/2020) e, il giorno dopo, con il messaggio n. 3525/2020 ha regolamentato le modalità di accesso alla fruizione delle seconde 9 settimane delle 18 complessive ove, in alcuni casi, è previsto il pagamento di un contributo addizionale.
Va, da subito, ricordato come anche tali periodi siano considerati “neutri” in quanto non rientrano nel calcolo del quinquennio e del biennio mobile (30 mesi per i settori edili e lapidei) e non sottostanno al vincolo del limite di 1/3 delle ore lavorabili di cui parla il comma 5 dell’art. 12 del D.L.vo n. 148/2015 e non è richiesto il requisito dell’anzianità di almeno 90 giorni nella unità produttiva.
La circolare dell’Istituto, a differenza del passato, appare pienamente chiara ed operativa pur se, la ritardata comunicazione, rischia di essere particolarmente irritante per le imprese ed i professionisti.
La riflessione che segue non tratta tutte le questioni ampiamente richiamate dalla circolare n. 115 (mi riferisco, ad esempio, alle 50 giornate aggiuntive per i lavoratori agricoli a tempo indeterminato, o alla possibilità di convertire, come in passato, trattamenti di integrazione salariale straordinaria in ammortizzatori COVID-19), ma si soffermerà sui trattamenti CIGO, FIS e CIG in deroga che, per la prima volta, sono erogati, in alcune precise situazioni, non più “gratis” ma con un costo che può considerarsi considerevole.
Ma, andiamo con ordine.
La prima novità riguarda i lavoratori destinatari degli ammortizzatori COVID-19: se prima dovevano essere in forza alla data del 25 marzo, ora lo debbono essere alla data del 13 luglio, atteso che il giorno precedente funge da “spartiacque” tra le nuove e le vecchie integrazioni salariali. Chi fosse stato assunto successivamente resta fuori, mentre per i lavoratori che, a seguito di cambio di appalto verificatosi dopo tale data, siano stati assunti dal nuovo imprenditore, va verificata l’anzianità aziendale nell’appalto, con la conseguenza che “restano dentro” se la loro originaria assunzione presso la precedente impresa risulta essere antecedente al 14 luglio.
Ora è l’INPS che ha la gestione completa degli ammortizzatori concernenti la CIGO, l’assegno ordinario del FIS e la Cassa in deroga: le Regioni sono, sostanzialmente, scomparse e le 18 settimane complessive da “godere” a partire dal 13 luglio e fino al 31 dicembre 2020, suddivise in due “tranche” di 9, ricadono, interamente, sull’Istituto che si trova a regolamentare, in taluni casi, percorsi e trattamenti diversi.
Il cambiamento rispetto al passato si evince da vari aspetti:
a) I nuovi ammortizzatori possono essere richiesti anche da datori di lavoro che non hanno, mai, fruito delle misure di sostegno del reddito già previste dai D.L. n. 9, n. 18 (Cura Italia) e n. 34 (decreto Rilancio);
b) Non c’è più il principio dell’”autorizzato e del fruito”: varrà soltanto il principio dell’”autorizzato”, sicchè i datori di lavoro dovranno valutare le esigenze effettivamente necessarie, magari producendo più domande nell’arco delle prime 9 settimane e di quelle 9 successive;
c) Il conteggio delle settimane di ammortizzatori sociali COVID-19 viene azzerato e dal 13 luglio inizia quello relativo alle prime 9 settimane anche se il periodo è stato richiesto dai datori di lavoro sulla base delle previsioni contenute nei D.L. n. 18 e n. 34;
d) Le domande che ancora debbono essere oggetto di autorizzazione e che riguardano periodi “a cavallo” del 13 luglio, sono valutate dall’Istituto secondo le regole precedenti fino al 12 luglio e con le nuove regole per il periodo successivo;
e) Una volta richieste ed autorizzate le prime 9 settimane, i datori di lavoro potranno proporre la istanza per la fruizione delle ulteriori 9, seguendo specificatamente le indicazioni del messaggio n. 3525 del 1° ottobre;
f) I datori di lavoro che, avendo esaurito i periodi COVID previsti dalle precedenti disposizioni e che, avendone i requisiti, hanno richiesto trattamenti di integrazione ordinaria ex D.L.vo n. 148/2015 per periodi che ricadono nella tutela prevista dall’art. 1 del D.L. n. 104/2020 (ossia, a partire dal 13 luglio), le settimane non autorizzate e quelle già autorizzate, per le quali non siano già stati emessi dall’INPS gli ordini di pagamento, o per le quali non sia stato esposto su Uniemens il codice evento, possono richiederne la conversione con la causale “COVID-19 nazionale”, indicando, nel cassetto bidirezionale, gli estremi della prima istanza e le settimane per le quali avviene la richiesta. Leggermente diversa appare la via per convertire le domande di assegno ordinario FIS o dei Fondi di Solidarietà. L’azienda dovrà proporre due domande: la prima di annullamento della precedente e la seconda di richiesta con causale “COVID-19 nazionale”. Per il FIS si potrà utilizzare il cassetto bidirezionale, con gli estremi della domanda originaria e delle settimane da variare. Per i Fondi di solidarietà (ad esempio, quello degli artigiani) ove l’autorizzazione avviene con delibera dei rispettivi Comitati centrali, la variazione va richiesta con PEC alla direzione degli ammortizzatori sociali dell’INPS;
g) Il TFR per i periodi di integrazione salariale resta a carico delle imprese: quelle soggette alla disciplina del Fondo di Tesoreria sono tenute a versare allo stesso le quote di TFR maturate durante tali periodi, sulla scorta di un principio che traspare dall’art. 2120 c.c. secondo il quale in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale va calcolato nella retribuzione “l’equivalente a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro”.
La circolare n. 115 ricorda, chiarendo qualche dubbio che si era fatto strada tra gli operatori, che nulla è cambiato per quel che riguarda l’informazione, la consultazione e l’esame congiunto con le organizzazioni sindacali da effettuare anche in via telematica entro 3 giorni, mentre per la Cassa in deroga viene richiesto l’accordo per quei datori di lavoro che occupano più di 5 dipendenti. Ovviamente, di tale procedura va data informazione nella richiesta di ammortizzatore COVID-19.
Per quel che riguarda l’invio delle istanze di integrazione salariale vale sempre il principio secondo il quale, a pena di decadenza, il termine ultimo resta fissato alla fine del mese successivo rispetto a quello in cui è iniziata la sospensione o la riduzione di orario. Su questo punto, però, l’Istituto, di concerto con il Ministero del Lavoro, ha prospettato la possibilità che il termine del 30 settembre, originariamente fissato dopo la pubblicazione del D.L. n. 104, venisse spostato al 31 ottobre”anche in ragione di una imminente soluzione legislativa”. Tale soluzione è ora contenuta nel decreto legge del 7 ottobre 2020, n. 125 che ha differito il termine di decadenza per l’invio delle domande di accesso ai trattamenti di integrazione salariale al prossimo 31 ottobre.
Tale termine vale anche per l’invio dei dati utili al pagamento delle prestazioni (modello Sr41 semplificato). In tale prospettiva, l’INPS non considera decadute le istanze pervenute dopo il 30 settembre ma le accantonerà, esaminandole successivamente.
A partire del 1° ottobre, essendo venuto meno il PIN INPS, le credenziali di accesso sono lo SPID di livello 2 o superiore, la Carta di identità elettronica 3.0 (CIE) o la Carta Nazionale dei Servizi (CNS).
Con il successivo punto n. 2 la circolare n. 115 e, soprattutto, il messaggio n. 3525 affronta le questioni relative alla richiesta delle ulteriori 9 settimane che, come detto in precedenza, presenta alcune particolarità, legate, per alcuni datori di lavoro ad un possibile costo, sotto forma di contributo addizionale. Ricorrendo una delle ipotesi che esaminerò tra breve, pagando il contributo addizionale, verrà meno il principio di gratuità che ha accompagnato, finora, la gestione degli ammortizzatori sociali legati alla pandemia da coronavirus.
La causale di riferimento è “COVID-19 con fatturato” e riguarda le richieste per CIGO, assegno ordinario del FIS e Cassa in deroga: tutte le istanze che, necessariamente, riguarderanno, periodi successivi al 14 settembre, dovranno essere accompagnate da una autocertificazione ex DPR n. 445/2000 con la quale i datori di lavoro daranno atto di aver comparato il fatturato aziendale relativo al primo semestre 2020 con quello del 2019. Questo perché la norma stabilisce, in alcuni casi, un contributo addizionale, mentre in altri resta la gratuità. L’aliquota contributiva:
a) E’ pari al 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate durante la sospensione o la riduzione di orario, se nella comparazione il fatturato si è ridotto per meno del 20%;
b) E’ pari al 18% della retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di sospensione o di integrazione salariale, per le aziende che non hanno subito cali di fatturato;
c) Non è dovuto alcun contributo addizionale se la riduzione del fatturato, nel periodo sopra considerato, è pari o superiore al 20%;
d) I datori di lavoro che hanno iniziato l’attività dopo il 1° gennaio 2019 (vale la data di comunicazione dell’attività inviata alla Camera di Commercio e non quella di apertura della matricola aziendale) non debbono versare alcun contributo addizionale.
In base a quanto autocertificato l’Istituto individua l’aliquota del contributo addizionale che va versato a partire dal periodo di paga successivo al provvedimento di concessione dell’integrazione salariale. La mancanza dell’autocertificazione autorizza l’Istituto ad applicare l’aliquota massima, ferme restando le necessarie verifiche su quanto dichiarato, che saranno effettuate sia dall’Istituto che dall’Agenzia delle Entrate sulla base di dati ed elementi di valutazione che potranno scambiarsi.
Per le domande, i datori di lavoro utilizzeranno gli stessi applicativi in uso per le istanze delle prime 9 settimane, scegliendo la causale “COVID-19 con fatturato”.
Una brevissima considerazione appare necessaria: le aziende che si troveranno nella necessità di dover fruire, anche parzialmente, delle seconde 9 settimane e che non hanno subito cali di fatturato o lo hanno subito in misura inferiore al 20%, dovranno ben valutare il ricorso all’ammortizzatore perchè il contributo addizionale costa e, costa caro, in quanto l’aliquota appare, per certi versi, superiore, a quelle previste, in via ordinaria, dal D.L.vo n. 148/2015 per la CIGO, per la CIGS e per il FIS, come si evince dall’art. 5 ove, ad esempio, le percentuali per gli ammortizzatori ordinari (CIGO e CIGS) sono, rispettivamente, il 9%, il 12% ed il 15% per periodi fino a 12 mesi, dal tredicesimo al ventiquattresimo mese e oltre.