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Archivio newsPotere di disposizione degli ispettori del lavoro: rischi e sanzioni per le aziende
Inosservanza da parte del lavoratore della pausa di almeno dieci minuti dopo sei ore di lavoro. Violazioni in materia di mansioni del dipendente. Licenziamento per giustificato motivo oggettivo prima del prossimo 31 dicembre. Mancato richiamo nella lettera di assunzione al termine del diritto di precedenza del lavoratore e disapplicazione dei trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi “leader”. Sono solo alcune delle ipotesi alle quali è applicabile il potere di disposizione degli ispettori del lavoro laddove ravvisino un comportamento “non regolamentare” dell’azienda. In cosa consiste tale potere e quali rischi corre il datore di lavoro?
Con una recente circolare, la n. 5 del 30 settembre 2020, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito le prime indicazioni al proprio personale ispettivo circa i contenuti del potere di disposizione, quale risulta dall’art. 12-bis del D.L. n. 76, introdotto con le modificazioni intervenute nel decreto Semplificazioni (legge n. 120/2020). Con l’occasione sono state fornite anche le direttive per il “modus operandi” secondo le nuove norme che innovano il precedente testo contenuto nell’art. 14 del D.L.vo n. 124/2004.
Si tratta, rispetto al passato, di un nuovo approccio con le problematiche ispettive finalizzato alla “possibilità di garantire una tutela sostanziale dei lavoratori” e che, a scanso delle apprensioni di qualche commentatore apparse sui “media”, non si configura affatto come una sorta di controllo “oppressivo” degli ispettori del lavoro sulle aziende. Ci sono, infatti, norme del nostro ordinamento lavoristico che, seppur non sanzionate, esprimono comportamenti che, comunque, debbono essere tenuti, pur se il rispetto dei dettati legali prescinde dall’esistenza di un apparato sanzionatorio: in tale percorso si inserisce la disposizione.
Vale la pena di ricordare come tale potere sia stato riconosciuto coerente con l’impianto normativo dalla giustizia amministrativa: ricordo la decisione del TAR della Lombardia n. 830 del 28 marzo 2011 e la successiva sentenza del Consiglio di Stato n. 5801 del 4 maggio 2015, laddove si è riconosciuto perfettamente legittimo l’ordine dispositivo emanato dagli ispettori del lavoro finalizzato ad indicare sul LUL gli orari di entrata e di uscita dal lavoro del personale del personale di una impresa di pulizie, cosa, oltremodo necessaria, per verificare il rispetto degli articoli 7 ed 8 del D.L.vo n. 66/2003 sull’orario di lavoro.
Ma, andiamo con ordine partendo da un raccordo sistematico con un altro potere di disposizione, contenuto negli articoli 10 ed 11, del DPR n. 520/1955 che non è stato, assolutamente, toccato e che continua ad esplicare i suoi effetti sanzionatori laddove sia previsto un apprezzamento discrezionale degli ispettori del lavoro in materia di prevenzione infortuni o di inosservanza delle disposizioni impartire in materia di sicurezza ed igiene del lavoro. Qui, l’inottemperanza alle disposizioni ex art. 10 continua ad esser punita con una sanzione amministrativa compresa tra 515 e 2.580 euro se riguarda la c.d. “prevenzione infortuni”, mentre qualora la mancata ottemperanza alle disposizioni impartite in materia di igiene e sicurezza sul lavoro comporta la pena dell’arresto o dell’ammenda fino a 413 euro.
L’art. 14 del D.L.vo n. 124/2004, novellato dal predetto art. 12-bis, rende la disposizione applicabile “in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali od amministrative”.
Si tratta, nella sostanza, di un ordine che possono impartire soltanto gli ispettori del lavoro (e non, ad esempio, quelli degli Istituti previdenziali o la Guardia di Finanza) laddove gli stessi ravvisino un comportamento “non regolamentare” nelle materie sopra indicate e che si concretizzano nel rapporto con i singoli lavoratori: si deve trattare, di violazioni non supportate da sanzioni di natura penale od amministrativa.
Come ben si arguisce, il campo di applicazione della disposizione è, potenzialmente, molto ampio allargandosi sia ai dettati legali che a quelli scaturenti dal contratto collettivo applicato dal datore di lavoro. L’INL, giustamente, limita il ricorso alla disposizione alle sole fonti scaturenti da leggi o contratto collettivo, escludendo quelle, anche di natura patrimoniale (per le quali la via più favorevole da percorrere, potrebbe essere quella della diffida accertativa o della conciliazione monocratica, ma della conciliazione avanti alla commissione di conciliazione ex art. 410 cpc o in altra sede protetta se si tratta di rivendicazioni puramente patrimoniali).
La disposizione non postula, ovviamente, un comportamento datoriale immediatamente sanzionabile, ma, al contrario, un qualcosa che, pur non essendo sanzionato, non è conforme al dettato normativo. La disposizione è un ordine con il quale l’organo ispettivo intima al datore di lavoro di ripristinare la regolarità in ciò che è emerso dalla visita ispettiva, dando per adempiere, un tempo che può essere più o meno lungo a seconda della criticità evidenziata.
Il provvedimento è immediatamente esecutivo, ma se il datore di lavoro ottempera a quanto contenuto nel provvedimento ripristinando la regolarità che la norma richiede, il tutto si conclude senza alcuna altra conseguenza.
Ovviamente, il nuovo articolo 14 pone l’accento sul comportamento discrezionale del funzionario ispettivo: ciò significa, a mio avviso, che lo stesso non potrà utilizzare tale potere per ogni “quisquilia” ma, con ragionevolezza, nel senso che dovrà valutare l’impatto della disposizione sul complesso del rapporto di lavoro (ma su ciò tornerò più avanti, facendo alcuni esempi).
Ma, un datore di lavoro che riceve una disposizione, cosa può fare sotto l’aspetto amministrativo?
Può inoltrare un ricorso al Capo dell’Ispettorato territoriale del Lavoro competente per territorio entro i 15 giorni successivi alla ricezione dell’atto. Quest’ultimo decide nei successivi 15 giorni e, qualora non si pronunci, il ricorso viene respinto sulla base del principio del silenzio-rigetto.
L’esecutività del provvedimento non viene “stoppata” dal gravame amministrativo.
Ovviamente, appare sempre azionabile il ricorso giudiziale al TAR competente per territorio, ove potranno essere sollevati, tra le altre cose, le questioni riguardanti i profili di legittimità del provvedimento, rimanendo, a mio avviso, precluso ogni diverso apprezzamento di opportunità.
La mancata ottemperanza alla disposizione entro il tempo congruo concesso dall’ispettore del lavoro per l’adempimento, comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa compresa tra 500 e 3.000 euro, non diffidabile ex art 13 del D.L.vo n. 124/2004, cosa che comporta una sanzione minima pari a 1.000 euro.
Come detto, la materia riguardante il possibile intervento degli ispettori del lavoro appare molto vasta e, ritengo, che la discrezionalità che il Legislatore ha riconosciuto debba essere usata con accortezza avendo ben presente il quadro complessivo. La circolare n. 5/2020 indica, ad esempio, la via della disposizione anche alla luce della economizzazione dei tempi relativi all’accertamento, allorquando le inosservanze normative o di contratto collettivo riguardino il trattamento di una pluralità di lavoratori.
Ovviamente di esempi, tanto per comprendere la portata della norma, se ne possono fare tanti e mi limito ad indicarne alcuni.
La disposizione è applicabile:
· laddove l’organo di vigilanza accerti che la pausa di almeno dieci minuti, dopo sei ore di lavoro in mancanza di previsione diversa della contrattazione collettiva, prevista dall’art. 8 del D.L.vo n. 66/2003, non è fruita dai lavoratori;
· in tutte le ipotesi previste dall’art. 2103 c.c. in materia di mansioni del lavoratore, atteso che le disposizioni, cogenti, ivi previste non sono accompagnate da alcuna sanzione amministrativa. Ovviamente, l’emanazione del provvedimento (che, ripeto, ha natura discrezionale) postula la necessità che gli ispettori si siano ben resi conto, ad esempio, della concreta violazione del comma 1 che prevede che il dipendente sia adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle conseguite durante il percorso professionale o a mansioni riferibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte e che non si sia in presenza delle ipotesi derogatorie previste dai successivi commi 2 e 4;
· laddove, dalla documentazione reperita, risulti che il lavoratore è stato licenziato per giustificato motivo oggettivo prima del prossimo 31 dicembre, in assenza delle esimenti previste dal comma 3 dell’art. 14 del decreto Agosto (D.L. n. 104/2020). La disposizione, attesa la nullità del provvedimento, in quanto contrario ad un divieto imposto dalla legge, può invitare il datore di lavoro a ritirare il provvedimento e ad inserire i lavoratori in uno degli ammortizzatori sociali COVID-19, ai sensi della previsione contenuta nel successivo comma 4. Rispetto a tale ipotesi, tuttavia, ritengo che la disposizione non possa applicarsi nel caso in cui sia intervenuta tra le parti una conciliazione “in sede protetta”. Ritengo, al contempo, che sia inibita all’ispettore (tale compito appartiene soltanto al giudice) la valutazione su un recesso che, sostanzialmente, è per giustificato motivo oggettivo ma che, formalmente è stato “ammantato” come licenziamento disciplinare, con una procedura ex art. 7 della legge n. 300/1970 di dubbia regolarità;
· nel caso in cui un datore di lavoro non abbia richiamato nella lettera di assunzione di un lavoratore con contratto a termine, il diritto di precedenza, come prevede il comma 4 dell’art. 24 del D.L.vo n. 81/2015 ed entro il termine in cui lo stesso, dopo la cessazione del rapporto, lo può esercitare: ovviamente, se pur in mancanza di tale richiamo il lavoratore dovesse aver, comunque, esercitato il diritto, verrebbe meno la motivazione alla base del provvedimento
· sulla scorta degli orientamenti espressi dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare n. 2/2020, nei confronti dei datori di lavoro che non applicano i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi “leader” o, comunque, non riconoscono trattamenti equivalenti: il tutto, nella previsione contenuta nel comma 1175 dell’art. 1, della legge n. 296/2006.