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Archivio newsSmart working e formazione professionale: come gestire l’impresa nel post Covid
La formazione del personale e lo smart working sono gli strumenti più efficaci che le imprese possono utilizzare per riorganizzarsi a seguito della crisi causata dal Covid-19. E’ con l’aggiornamento formativo che si potrà, infatti, far fronte ai cambiamenti connaturati a qualsiasi fenomeno di mutamento delle condizioni del mercato del lavoro. L’indispensabile flessibilità organizzativa potrà, invece, essere raggiunta con lo smart working, per ripensare una struttura aziendale senza necessità di impegnare capitali significativi. Il tema è al centro dei dibattiti del Festival del Lavoro, organizzato dalla Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro dal 22 al 23 ottobre 2020.
L’esperienza, traumatica, del periodo emergenziale, ha fatto emergere, con tempi e modalità dirompenti, le esigenze organizzative d’impresa e di gestione del rapporto di lavoro delle quali da tempo si discute e sulle quali ci si interroga: sostenibilità, flessibilità, adeguatezza al mercato del lavoro.
Le imprese hanno scontato il gap cronologico di istituti e strumenti (contrattualistica, ammortizzatori sociali) che già in condizioni normali denunciavano deficit di rigidità e burocrazia, limiti che sono risultati amplificati dalle circostanze contingenti determinate dalla pandemia da Covid-19.
La brusca ed imprevista sospensione dell’attività produttiva, ha incontrato da un lato la necessità di ricorrere a misure di sostegno al reddito che non di rado si sono dimostrate inadeguate, perlomeno in ragione dei tempi dell’intervento, a soccorrere alle esigenze incombenti, dall’altro il confronto con istituti contrattuali che mal tollerano la flessibilità organizzativa o che colpevolmente erano stati poco percorsi (ad es. lo smart working).
Situazione di sclerosi acuita dal blocco dei licenziamenti per ragioni economiche, che muovendo dalla doverosa esigenza di garantire la continuità occupazionale, si è risolto in un mero esperimento dilatorio, che avrà soltanto l’effetto di differire al momento dello spirare del divieto il problema causato dalla crisi economica, fisiologica conseguenza dell’esperienza pandemica.
Si tratta di una scelta discutibile, non già perché non ci si debba prodigare per la tutela dell’occupazione, ma perché questa non può risolversi nell’obiettivo – miope – di conservare quel posto di lavoro, ma vi si deve pervenire attraverso percorsi di inclusione, di politiche attive del mercato del lavoro, che garantiscano la tutela del lavoratore, piuttosto che di un suo impiego specifico, attraverso strumenti ed istituti che, senza comprimere oltre il ragionevole le esigenze di flessibilità organizzativa delle imprese, accompagnino il lavoratore garantendogli la permanenza all’interno del mercato del lavoro ed assistendolo ai fini della sua utile ricollocazione.
Le imprese hanno pertanto avuto ben poco da fare per ridefinire la propria organizzazione e determinare una gestione dei rapporti di lavoro che potesse risultare adeguata alle esigenze contingenti che sono emerse. Soprattutto nei primi mesi del fenomeno pandemico gli strumenti messi a disposizione dal legislatore emergenziale, al netto delle misure di sostegno al reddito – comunque intervenute concretamente con la liquidazione delle indennità con notevole ritardo – non hanno presentato alcuna soluzione di particolare utilità, in un’ottica di prospettiva futura.
I limiti di un sistema rigido, e della difficoltà di rispondere alle esigenze effettive del contesto sociale ed economico sono stati avvertiti, finalmente, anche del legislatore, che almeno in parte ha cercato di porvi rimedio. È significativo in tal senso il riconoscimento della possibilità di proroghe e rinnovi dei contratti a termine, sebbene nei limiti del contesto emergenziale, a prescindere dalla sussistenza delle causali pretese dal decreto dignità (art. 8 del decreto “Agosto”). Poco altro si è potuto registrare in favore delle imprese e della promozione dell’occupazione.
Emerge un quadro pertanto che alla evidenza della necessità di strumenti di flessibilità organizzativa, necessari alla sopravvivenza, prima ancora che per l’efficienza operativa delle imprese, oppone rigidità che impediscono le risposte che invece le dinamiche economico-sociali richiedono. È dunque nel solco della flessibilità virtuosa che devono ricercarsi le soluzioni per le imprese per fare fronte alle esigenze del mercato, sia quelle attuali eccezionali, che quelle comunque a regime.
Se queste sono le istanze che provengono dalle imprese, non vi è dubbio che le risposte devono arrivare innanzi tutto dal legislatore, che deve provvedere, nell’immediato, a garantire loro un apparato normativo adeguato alla soddisfazione di esigenze non più rinviabili.
La crisi, il confronto col virus, richiede alle imprese una rimodulazione essenziale delle proprie caratteristiche. Sarà necessario ripartire dall’utilizzo degli strumenti a disposizione, auspicando che anche il legislatore intervenga in favore delle medesime esigenze. Momento essenziale per fare fronte ai cambiamenti che sono normalmente connaturati a qualsiasi fenomeno di mutamento complessivo è quello della formazione. Il cambiamento del settore produttivo comporterà necessariamente l’esigenza di un adeguamento formativo, ed è investendo sulle persone, attraverso percorsi di formazione efficienti e mirati, che le imprese potranno farvi fronte.
Flessibilità adattiva che può essere perseguita sicuramente anche utilizzando gli strumenti già attualmente vigenti. Lo smart working è stato un esempio di come si possa ripensare ad una organizzazione aziendale diversa, anche senza la necessità di impegnare capitali significativi, ma con la consapevolezza che il ricorso a queste forme di lavoro flessibile devono, anch’esse, porsi a valle di un’attenta considerazione del proprio assetto organizzativo, investendo, ancora una volta, nella formazione delle risorse umane affinchè l’utilizzo di gestioni flessibili avvenga in maniera efficiente per la produzione, ma senza sacrificare le esigenze di tutela dei soggetti coinvolti.
Il lavoro agile, come dalla declinazione che dello smart working ha dato la l. n. 81/2017, può rappresentare un punto di svolta in tal senso, purché ciò avvenga con il conforto di una legislazione consapevole che questo, pur rappresentando un momento fondamentale di un nuovo approccio organizzativo della gestione d’impresa, non potrà essere l’unico strumento rilasciato alle imprese.
Inoltre, con la coscienza che l’esempio di flessibilità organizzativa condivisa che rappresenta, e le potenzialità che racchiude, sono cosa ben diversa dal lavoro domiciliare imposto, per ragioni sanitarie, di questi tempi.