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Archivio newsFondo nuove competenze: ottime le finalità, poco efficaci le scelte organizzative
E’ realtà il Fondo nuove competenze. Il Fondo, istituito dal decreto Rilancio e rifinanziato dal decreto Agosto, è stato disciplinato dal decreto interministeriale del 9 ottobre 2020 che ha fornito indicazioni puntuali, con qualche sorpresa. Se appare opportuna la scelta di affidare la definizione degli interventi formativi ai contratti di prossimità, sul versante delle sorprese non può non essere segnalata la “reinterpretazione” delle finalità del Fondo e l’apertura verso la ricollocazione sul mercato di lavoratori eccedenti. Quanto poi all’architettura organizzativa del sistema, incentrata sull’ANPAL, stupisce la progressiva moltiplicazione dei soggetti chiamati a gestire le risorse destinate alla formazione continuava, a discapito dell’efficienza e della razionalità.
Nel panorama delle misure introdotte a contrasto dell’emergenza epidemiologica e della conseguente crisi economica, si distingue, per le finalità non strettamente contingenti, il “Fondo nuove competenze” istituito dall’art. 88 del decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020, convertito dalla legge n. 77/2020).
Non v’è dubbio che con tale norma il legislatore abbia inteso offrire alle parti sociali, in primo luogo, uno strumento per favorire “la graduale ripresa dell’attività dopo l’emergenza”. Si coglie in questa espressione, posta ad apertura dell’articolo in esame, la volontà di promuovere accordi sindacali (aziendali o territoriali) che producano effetti immediati. Questo risultato dovrebbe scaturire dalla rimodulazione dell’orario di lavoro conseguente alle mutate esigenze organizzative e produttive dell’impresa e dalla destinazione di parte dell’orario di lavoro all’attivazione di percorsi formativi.
Il Fondo istituito a tal fine si presenta dunque non solo quale misura alternativa ai licenziamenti ma anche alla mera collocazione dei lavoratori in cassa integrazione; esso apre infatti ad una diversa prospettiva per affrontare le eccedenze di personale: la riqualificazione dei lavoratori. E’ particolarmente interessante che si destinino risorse significative in questa direzione (complessivamente vengono stanziati 730 milioni nel biennio 2020-2021) a testimonianza del crescente interesse che, cammin facendo, si è riversato sul Fondo. Non va dimenticato, infatti, che il decreto-legge stanziava solo 230 milioni a valere sul PON “Sistemi di politiche attive per l’occupazione” e che tale importo è stato successivamente incrementato di 200 milioni per il 2020 e di 300 milioni per il 2021 dal decreto Agosto (decreto legge 14 agosto 2020, n. 104 conv. dalla legge 13 ottobre 2020, n. 1269.
Queste risorse potrebbero risultare ulteriormente incrementate dall’azione congiunta del Fondo nuove competenze con quelle dei Programmi operativi regionali del Fondo sociale europeo, dei Fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua di cui all’art. 118 della legge n. 388/2000 nonché del Fondo di cui all’art. 12 del D. Lgs. n. 276/2003 (relativo all’area della somministrazione di lavoro). Più precisamente i Fondi paritetici possono concorrere, mediante finanziamenti aggiuntivi, a sostenere le azioni di formazione previste dall’art. 88 del decreto Rilancio d. l. n. 34/2020. Inoltre, va segnalato che, nell’intento di rendere più agile l’utilizzo delle risorse, il D.M. prevede che, nel caso in cui le imprese accedano al Fondo nuove competenze per il tramite di avvisi sul conto sistema, il Fondo paritetico interprofessionale possa presentare istanza cumulativa di accesso al Fondo nuove competenze in nome e per conto delle imprese ad esso aderenti.
La legge in esame, in verità molto scarna, non si sofferma sulla disciplina delle attività formative che possono essere sostenute dal Fondo nuove competenze; infatti, “i criteri e le modalità di applicazione della nuova misura e di utilizzo delle risorse” sono demandati ad un Decreto del Ministro del lavoro di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze; ed è per l’appunto in questo provvedimento (v. D.M. 9 ottobre 2020) che possiamo trovare indicazioni più puntuali ed anche qualche sorpresa.
In proposito appare felice la scelta di affidare la definizione degli interventi ai contratti di prossimità, cioè ai contratti aziendali o territoriali. La valorizzazione del livello contrattuale più vicino alle questioni da risolvere ed agli interessi da regolare è, del resto, un tratto caratteristico della legislazione in materia di formazione professionale continua; una scelta analoga è già presente nella disciplina delle attività formative ammesse al finanziamento dei Fondi paritetici nazionali interprofessionali per la formazione continua.
Gli accordi sindacali devono contenere la descrizione del progetto formativo, il numero dei partecipanti, il numero di ore dell’orario di lavoro da destinare alla formazione.
Sul versante delle sorprese non può non essere segnalata la “reinterpretazione” delle finalità del Fondo operata dall’art. 1 del D.M.: le attività formative non sono orientate esclusivamente a migliorare le competenze utili all’impresa promotrice (come sembra indicare il primo comma dell’art. 88 della legge) ma possono tendere anche ad “innalzare il livello del capitale umano nel mercato del lavoro” e ad “offrire ai lavoratori competenze e strumenti utili per adattarsi alle nuove condizioni del mercato del lavoro”. Si apre in tal modo la prospettiva di un utilizzo dei percorsi formativi anche per guidare la ricollocazione sul mercato di lavoratori eccedenti, come conferma il secondo comma dell’art. 3 del D. M. laddove precisa che gli accordi sindacali possono prevedere “lo sviluppo di competenze…. anche al fine di promuovere processi di mobilità e di ricollocazione in altre realtà produttive”.
Appaiono non del tutto coerenti con gli obiettivi perseguiti alcuni vincoli temporali e di durata della formazione. Nel bel mezzo di una crisi che si va profilando sempre più di non breve durata si pone il vincolo della sottoscrizione degli accordi sindacali entro il 31 dicembre 2020 e si richiede che il percorso formativo abbia inizio entro tale data e che si concluda entro 90 giorni dalla data di approvazione della domanda di contributo (120 giorni in caso di intervento dei Fondi paritetici interprofessionali). Inoltre, si circoscrive entro il limite di 250 ore la durata massima della formazione; ciò fa pensare a percorsi di adeguamento delle competenze possedute rispetto al nuovo contesto organizzativo od all’introduzione di nuove tecnologie, di processo o di prodotto, più che a processi di vera e propria riqualificazione. Non a caso il D.M., nell’illustrare l’obiettivo dei percorsi formativi utilizza l’espressione generica “sviluppo delle competenze” (v. art. 2). Non solo; quando il D.M. si addentra sul terreno della qualificazione da riconoscere all’esito del percorso formativo, afferma che, di norma, la formazione sarà volta anche al fine del conseguimento di una qualificazione dell'EQF (Quadro europeo delle qualifiche). Si tratta di un obiettivo non vincolante (e quindi eventuale) ed invero non facilmente raggiungibile mediante percorsi formativi di durata così limitata. L’impressione è che si tratti di un “affinamento” di competenze a cui non si attribuisce alcun rilievo ai fini dell’inquadramento contrattuale, salvo diversa disposizione dei contratti collettivi.
Può essere giudicata positivamente la parte del D.M. (v. art. 5, c. 3) in cui vengono individuati i soggetti potenzialmente coinvolgibili nell’erogazione della formazione: è apprezzabile il tentativo di mobilitare tutti i soggetti del sistema educativo del nostro Paese, dagli accreditati dei sistemi regionali di formazione professionale, alle istituzioni scolastiche ed alle Università. Si noti, inoltre che anche le stesse imprese, qualora ciò sia previsto dall’accordo sindacale e dimostrino di possedere i requisiti tecnici, fisici e professionali di capacità formativa, possono svolgere il ruolo di soggetto erogatore.
Quanto all’architettura organizzativa del sistema implementato dalla legge e dal D.M. in esame, essa è incentrata sull’ANPAL, struttura dell’amministrazione centrale nata con compiti di coordinamento e promozione delle politiche attive del lavoro e, dunque, non avvezza alla gestione amministrativa. E’ difficile quindi nascondere lo stupore di fronte alla progressiva moltiplicazione dei soggetti chiamati a gestire risorse destinate alla formazione continua (Stato, Regioni, Fondi paritetici interprofessionali).
Gli interventi descritti in precedenza ben avrebbero potuto essere finanziati, come suggerito da Confindustria, dai Fondi paritetici interprofessionali (eventualmente riformati); oppure la legge avrebbe potuto fare perno sulle Regioni. Sarebbe bastato destinare a questi soggetti le risorse stanziate ed investirli dei relativi compiti gestionali. A discapito dell’efficienza e della razionalità organizzativa, il disegno di neo-centralizzazione delle politiche attive del lavoro (da tempo coltivato) aggiunge invece un altro tassello a suo favore.