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Archivio newsStock option ai manager: quale tassazione applicare in caso di mobilità internazionale
Di sovente le società assegnano stock option ai propri manager conferendogli il diritto ad acquistare un dato numero delle proprie azioni, o di altra controllata, ad un prezzo predeterminato. I piani di stock option sono scanditi da tre fasi: il conferimento del diritto di opzione (granting), il periodo di maturazione del diritto di acquisto (vesting period) e la data in cui viene effettivamente esercitato il diritto di opzione (exercising). Può però succedere che le tre fasi dei piani di stock option si svolgano in Paesi diversi. Quali sole le regole di tassazione da seguire nei casi di mobilità internazionale del lavoratore?
All’interno dell’ampia categoria dei fringe benefit vi sono i piani di stock option.
E’ utile approfondirne le principali caratteristiche e le relative regole di tassazione, avendo riguardo non solo alla fiscalità interna, ma anche ai casi di mobilità internazionale e analizzando, in particolare, la posizione dell’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 316 del 2020.
Con l’assegnazione di stock option le società riconoscono, di solito alle risorse di vertice, il diritto ad acquistare un dato numero delle proprie azioni, o di altra controllata, ad un prezzo predeterminato (strike price o prezzo di esercizio), normalmente consistente nel valore dei titoli alla data di attribuzione.
Si tratta di una pratica preordinata alla fidelizzazione del lavoratore, una sorta di incentivo volto a garantire che l’attività del beneficiario contribuisca alla valorizzazione del titolo stesso.
Come ricordato nella risposta AdE n. 23/2020, i piani di stock option sono scanditi da 3 fasi:
· il conferimento del diritto di opzione (granting), in genere, non immediatamente esercitabile;
· il periodo di maturazione del diritto di acquisto (vesting period), comunemente condizionato alla scadenza di un termine o al raggiungimento di una serie di obiettivi, e in certi casi, a entrambe le ipotesi;
· la data in cui viene effettivamente esercitato il diritto di opzione (exercising).
Dal punto di vista del trattamento impositivo, appare dirimente la questione della qualificazione dei valori derivanti dall’acquisto dei titoli azionari assegnati; in base a un orientamento ormai consolidato dell’Amministrazione finanziaria, e confermato nella risoluzione n. 103 del 2012, la concessione di stock option ai soggetti titolari di redditi di lavoro dipendente deve essere considerata alla stregua di compensi in natura, in tutto e per tutto equiparati, dall’art. 51 del TUIR e dal principio di omnicomprensività che ne discende, agli emolumenti in denaro.
Il comma 1 della norma richiamata considera redditi di lavoro dipendente tutte le somme e i valori in genere percepiti in relazione al rapporto di lavoro; i bonus così concessi vanno, dunque, ricondotti all’ampia categoria dei fringe benefits e risultano imponibili secondo i criteri di valorizzazione dettati dall’art. 9 del TUIR.
Lo stesso può dirsi anche in relazione ai compensi in natura, quindi alle stock option, destinati ai soggetti che “percepiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, tra cui i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, come ad esempio gli amministratori di società”. In definitiva, le azioni attribuite ai manager dipendenti di società sono, ai sensi dell’art. 51 del TUIR, reddito di lavoro dipendente, mentre quelle concesse ai manager amministratori di società si configurano come redditi assimilati ex art. 50, comma 1, lettera c-bis), del TUIR.
Tale ricostruzione vale soltanto per le assegnazioni strettamente connesse allo status di lavoratore dipendente e quindi solo se il beneficiario ha potuto avere accesso ai titoli azionari, a condizioni generalmente di favore, in ragione del rapporto di lavoro che lo lega alla società.
Va precisato che quanto detto fin qui vale unicamente per l’offerta delle stock option, “la successiva fase non attiene in alcun modo al rapporto di lavoro subordinato intrattenuto dall’azionista con l’emittente”. Gli eventuali utili prodotti dai titoli, percepiti in qualità di azionisti della società presso cui si lavora, dovranno, di contro, essere inquadrati come redditi di capitale, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera e), del TUIR, mentre i proventi ottenuti dalla cessione delle partecipazioni potranno rilevare ai fini della determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria (capital gain) di cui all’art. 67, comma 1, lettere c) e c-bis), del TUIR. In questo caso la percezione degli utili discende dalla partecipazione al capitale e al patrimonio sociale e non è in alcun modo condizionata allo status di lavoratore dipendente.
Come si è già avuto modo di dire, l’art. 51, comma 3, del TUIR si occupa della concreta stima dei compensi in natura, il criterio generale di riferimento è quello del “valore normale”, la cui individuazione effettiva è demandata all’art. 9. Quest’ultima disposizione, al comma 4, lettera a), prevede che il “valore normale”, per le azioni, obbligazioni e gli altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, consista nella media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo mese.
Sotto il profilo temporale, qualora il diritto di acquisto non sia immediatamente cedibile, il momento rilevante ai fini impositivi è quello dell’esercizio del diritto di opzione (exercising), mentre, nei casi di cedibilità immediata, tale forma di retribuzione accessoria va tassata già all’assegnazione (risposta AdE n. 23/2020).
Costituisce, pertanto, reddito imponibile la differenza tra il prezzo di acquisto accordato al beneficiario, in qualità di dipendente o collaboratore della società, e il “valore normale” del titolo, avendo chiaro, per i casi diversi dalla concessione a titolo gratuito, che si ha convenienza a esercitare le stock option quando il prezzo di esercizio è inferiore al valore corrente dell’azione sottostante (risposta AdE n. 23/2020).
L’art. 51, comma 2, lettera g), del TUIR, stabilisce, inoltre, un beneficio fiscale che sottopone a tassazione il valore delle azioni che supera una soglia pari a 2.065,83 euro e solo a patto che le stesse “non siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione”. La norma lega espressamente l’agevolazione ai piani destinati alla generalità dei dipendenti, ma, come specificato dalla risoluzione n. 103 del 2012, riguarda anche le offerte rivolte a singole categorie di lavoratori, lasciando fuori le attribuzioni a soggetti specifici. Si tratta di una soglia avente valenza generale per tutti i titoli acquisiti in un dato anno d’imposta e da non riferire, dunque, a ciascun conferimento.
Può succedere che le tre fasi dei piani di stock option non si svolgano tutte nello stesso Paese. Può capitare, infatti, che, a fronte di opzioni assegnate e parzialmente maturate all’estero, il restante periodo di vesting, assieme al momento dell’esercizio, avvenga in Italia.
Le relative regole di tassazione sono ricavabili dalla circolare AdE n. 17/E/2017, parte III, par. 2.1 (su cui converge, per l’ipotesi opposta, anche la recente risposta n. 316/2020); il provvedimento si riferisce, in realtà, all’applicazione dell’imposta sostitutiva di cui all’art. 24-bis del TUIR ai redditi derivanti dall’assegnazione di restricted stock units (acquisibili a titolo gratuito dopo un periodo di vesting) nell’ambito di un rapporto di lavoro presso una società estera di un gruppo multinazionale, a cui fa seguito l’assunzione da parte di una controllata italiana. In questo caso l’Amministrazione finanziaria opta per ripartire il periodo di vesting tra quanto maturato all’estero e quanto in Italia, dovendosi considerare imponibile, secondo le modalità viste sopra, solo i valori derivanti dalla maturazione di competenza nel nostro Paese, mentre quelli riferibili al lavoro prestato all’estero saranno oggetto di applicazione del regime sostitutivo di cui all’art. 24-bis del TUIR (se esercitato).
Quest’ultimo imponibile si ricava attraverso il “rapporto tra i giorni di lavoro prestati nel Paese estero e il numero totale dei giorni necessari ad acquisire il diritto a ricevere le azioni”. Il numero dei giorni al numeratore e al denominatore deve essere determinato con criteri omogenei, il primo si considera al netto di ferie, malattie e festività, mentre il secondo è pari a 365 giorni per ogni anno necessario alla maturazione (ogni anno del periodo di vesting), anch’esso escluse ferie, malattie e festività.
Preme in questa sede analizzare la risposta AdE n. 316 del 2020, relativa alla diversa ipotesi di un manager (dipendente presso la sede italiana di una multinazionale) che, dopo molti anni dalla scadenza del periodo di vesting (avvenuta in Italia), trasferisce la propria residenza fiscale in Svizzera ed esercita il proprio diritto di acquisto a distanza di un ulteriore lasso di tempo, dopo aver cessato ogni rapporto con il gruppo internazionale per cui lavorava.
In linea con quanto affermato nella circolare del 2017 e continuando a dare preminenza al periodo di maturazione del diritto, l’Agenzia delle Entrate nega la possibilità che i valori connessi alle stock option vengano tassati in un Paese estero per il solo fatto che nello stesso sia stata esercitata l’opzione di acquisto (exercising), ciò cui bisogna guardare è il vesting period pattuito per l’acquisizione delle azioni della società. In sostanza, il luogo di maturazione delle stock option costituisce il criterio di collegamento per stabilire lo stato di imposizione.
Una tale impostazione sembra, infatti, confermata sia dall’art. 23, comma 1, lettera c) del TUIR, suscettibile di considerare, come prodotti in Italia, i redditi derivanti dal lavoro dipendente (e assimilato) prestato nel territorio dello Stato (discorso che riguarda anche i fringe benefit), sia dalla preordinata convenzione sulle doppie imposizioni tra Italia e Svizzera, che all’articolo 15, relativo proprio ai redditi di lavoro dipendente, lega la potestà impositiva sui compensi in natura allo Stato di svolgimento dell’attività di lavoro cui sono connessi, “non rilevando l’eventuale diverso momento in cui il reddito è corrisposto e la circostanza che la tassazione avvenga in un periodo d’imposta successivo, in cui il dipendente non si trova più in detto Stato”.