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Archivio newsLavoro stagionale e lavoro a termine: cosa cambia dopo i chiarimenti dell’INL
Le deroghe alla disciplina del contratto a termine previste per le attività stagionali valgono anche per le ipotesi definite dalla contrattazione collettiva. Inoltre, le imprese del settore turistico che, nell’anno solare presentano un periodo di inattività non inferiore a 70 giorni continuativi o a 120 giorni non continuativi, possono procedere con assunzioni a tempo indeterminato. Sono le due risposte date dall’Ispettorato nazionale del lavoro con la nota n. 413 del 10 marzo 2021. Una questione su tutte è però giusto affrontare: i lavoratori a termine “stagionali” possono essere assunti anche con contratto a termine “normale” e viceversa?
I contratti a tempo determinato per attività stagionali hanno, da sempre, rappresentato un “corpus” a sé rispetto all’intero della disciplina sui contatti a termine: ne sono palese testimonianza tutte le normative che si sono succedute negli ultimi 60 anni, a partire dalla legge n. 230/1962 ed al conseguente D.P.R. n. 1525/1963, tuttora vigente.
Da materia di “nicchia”, grazie anche alle rigidità correlate alla entrata in vigore del decreto Dignità che, per effetto dell’introduzione delle causali legali come unica condizione correlata sia ai rinnovi dei contratti che alla prosecuzione degli stessi oltre i 12 mesi, è diventata sempre più centrale nella vita delle imprese le quali, sfruttando il rinvio alla contrattazione collettiva, anche aziendale, ai sensi di quanto previsto dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015, hanno definito come “stagionali” una serie di attività, ricorrenti nell’anno, che portano ad un incremento della produzione o della commercializzazione. Tutto questo è, ovviamente, avvenuto prima dello scoppio della pandemia, cosa che ha cambiato, totalmente, le prospettive di gran parte delle imprese.
Con la nota n. 413 del 10 marzo 2021, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, rispondendo ad alcune sollecitazioni pervenute dalle sedi territoriali, si è espresso fornendo alcune delucidazioni amministrative, rese note attraverso un parere “concertato” con l’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro, pervenuto lo scorso 30 marzo.
Ma, quali sono le questioni affrontate e risolte? Sono, sostanzialmente, due:
· La prima, con la quale si stabilisce che le deroghe alla disciplina del contratto a termine previste per le attività stagionali dal D.L.vo n. 81/2015, come riformato dal D.L. n. 87/2018, valgono anche per le ipotesi definite dalla contrattazione collettiva;
· La seconda, ove si dà atto che le imprese del settore turistico che, nell’anno solare (inteso come 365 giorni consecutivi), presentino un periodo di inattività non inferiore a 70 giorni continuativi o a 120 giorni non continuativi, secondo la previsione, indicata al n. 48, dal D.P.R. n. 1525/1963, possano procedere con assunzioni a tempo indeterminato.
In riferimento alla prima questione mi sembra opportuno sottolineare come le attività stagionali nel nostro Paese, siano, ancora, quelle contenute nel D.P.R. n. 1525/1963, in attuazione dell’art. 1, comma 2, lettera a) della legge n. 230/1962, abrogata nel 2001: esso, emendato qua e là negli anni successivi con alcune ipotesi ulteriori, contiene, prevalentemente, attività riferite al settore agricolo o industriale ad esso correlato, molte delle quali, oggi, desuete e che, figlie degli anni ‘60, sono uno “specchio”, sia pure parziale, dell’Italia che fu.
Per la verità, una via finalizzata a rendere più attuale le “attività stagionali”, previste dalla legge ci sarebbe: infatti, l’art. 21, comma 2, del D.L.vo n. 81/2015 chiede al Ministro del Lavoro un decreto finalizzato ad attualizzare le determinazioni del 1963, ma da allora sono passati quattro ministri e quasi cinque anni e nulla di nuovo è sorto all’orizzonte, sicché la materia continua ad essere disciplinata dal D.P.R. n. 1525/1963.
Se mi è consentito esprimere un pensiero, non posso non rimarcare come questo ritardo non sia il solo ad essersi registrato nel mondo del lavoro: gli operatori sanno bene che nel lavoro intermittente, ove le parti sociali, salvo alcune eccezioni, non hanno introdotto alcuna disciplina, esiste dal 2004 un D.M. provvisorio che richiama “ratione materiae” il R.D. n. 2657/1923 (quasi centenario ed abrogato nel 2008) per definire le attività saltuarie ed episodiche: forse, perdurando, la mancanza di determinazioni da parte della contrattazione collettiva, sarebbe il caso di aggiornarlo.
Fatta questa breve digressione, torno ai contratti stagionali ricordando che, nel corso degli anni, sono intervenute le parti sociali, a livello contrattuale, per i singoli settori, ed hanno individuato nuove attività definite “stagionali” rispetto alle quali è possibile giungere alla stipula di contratti che hanno, sotto l’aspetto normativo, una disciplina, sostanzialmente, parallela a quella dei “normali” contratti a termine.
La nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro mette in evidenza che:
a) Le norme sullo “stop and go”, 10 o 20 giorni (di calendario) a seconda che il precedente rapporto abbia avuto, rispettivamente, una durata fino a 6 mesi o superiore, non trovano applicazione nei rinnovi dei contratti a termine previsti sia in esecuzione del D.P.R. n. 1525/1963 e nelle ipotesi previste della contrattazione collettiva. L’art. 51 del D.L.vo n. 80/2015 considera quale fonte di diritto sul tema sia gli accordi nazionali, che quelli territoriali ed aziendali stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle “loro” rappresentanze sindacali aziendali o dalla rappresentanza sindacale unitaria. Di conseguenza, non si può ricondurre a tempo indeterminato un contratto per attività stagionale che sia stato rinnovato senza il rispetto dello “stacco”, come avviene per i “normali” contratti a tempo determinato;
b) Per quel che riguarda la durata massima di 24 mesi complessivi, non sussiste alcun limite di tal genere per i contratti correlati alle attività stagionali (anche in somministrazione), come si arguisce dalla lettura del comma 2 dell’art. 19, con la conseguenza, chiaramente visibile nel settore alimentare ove c’è una consolidata abitudine al ricorso a tali tipologie, di rapporti stagionali rinnovati per anni ed anni;
c) I contratti a tempo determinato per attività stagionali possono essere prorogati o rinnovati anche in assenza delle causali (art. 21, comma 01): c’è da dire che è rimasto impregiudicato il chiarimento sulle 4 proroghe in 24 mesi, norma scritta, sicuramente, per i normali contratti a tempo determinato ma che, senza una esclusione, si applica anche ai rapporti stagionali, per i quali, comunque, con un aggravio di burocrazia gestionale per i datori di lavoro, è sempre possibile attaccare un contratto all’altro senza soluzione di continuità, non essendo previsto lo “stop and go”;
d) L’art. 23, comma 2, esclude i contatti stagionali dal numero complessivo dei contratti a termine stipulabili nell’anno (20% rispetto ai dipendenti assunti con contratto a tempo indeterminato alla data del 1° gennaio dell’anno al quale si riferiscono le assunzioni, o percentuale diversa, stabilita dalla contrattazione collettiva);
e) I lavoratori delle fondazioni lirico sinfoniche ex D.L.vo n. 367/1996 ed ex lege n. 310/2003 assunti, in forma scritta, impiegati ed nelle attività stagionali individuate dal comma 3 bis dell’art. 29: per essi trova applicazione il concetto di stagionalità richiamato dall’art. 21, comma 2. L’art. 29, comma 3 -bis, distingue le attività stagionali dalle assunzioni di lavoratori a termine per esigenze contingenti le temporanee determinate dalla eterogeneità delle produzioni artistiche, per un massimo di 48 mesi, con una norma specifica seguita ad una sentenza di condanna nei confronti dell’Italia emessa dalla Corte di Giustizia Europea.
Costi contributivi light
Prima di procedere all’esame degli altri aspetti definiti nella nota dell’INL ritengo opportuno soffermarmi su un problema, a mio avviso, non secondario: quello dei costi contributivi correlati alla stipula dei contratti per “attività stagionali”. Se quest’ultimi riguardano una delle attività individuate dal D.P.R. n. 1525/1963, o dalla contrattazione collettiva antecedente il 1° gennaio 2012, non si paga l’1,40% mensile sulla retribuzione imponibile, previsto dal comma 28 dell’art. 2 della legge n. 92/2012, oltre al contributo progressivo dello 0,50% correlato ad ogni rinnovo, introdotto dal D.L. n. 87/2018.
La stessa esenzione riguarda:
· Dal 1° gennaio 2020 i contratti a termine per lo svolgimento nel territorio della provincia di Bolzano, di attività stagionali definite dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali stipulati entro il 31 dicembre 2019 dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative: questo afferma l’art. 1, comma 13, lettera b) della legge n. 160/2019. Un breve commento appare necessario, premettendo che quello che sto per scrivere non vuole essere, assolutamente, una critica: perché il Legislatore non ha previsto tale esenzione anche per le attività stagionali che si svolgono nel resto del Paese e che debbono, comunque, essere sostenute? Perch credo che nell’ampia decretazione di urgenza in corso nel nostro Paese, ci sarebbe modo e maniera per allargare tale disposizione a tutte le attività stagionali, nate, come quelle della provincia di Bolzano, della contrattazione collettiva;
· I rapporti per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a 3 giorni, nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, nei casi individuati dai contratti collettivi e quelli instaurati per la fornitura di lavoro portuale temporaneo ex art. 17 della legge n. 84/1994.
L’INL, in relazione alla stagionalità individuata dalla contrattazione collettiva, come aggiuntiva rispetto a quella definita dal D.P.R. n. 1525/1963, richiama gli orientamenti espressi in tal senso dal Ministero del Lavoro con gli interpelli n. 15/2016 e n. 6/2019.
Ma, a questo punto cosa si può intendere come “attività stagionale”?
Si tratta di un requisito essenziale ed imprescindibile che, in caso di contenzioso, potrà ben essere esaminato dal giudice il quale, qualora non lo riscontri, potrebbe procedere alla riconduzione dei rapporti a contratti a tempo indeterminato. Il compito dell’eventuale disconoscimento, in relazione alla congruità ed alla durata delle attività previste dalla contrattazione collettiva alla quale il Legislatore ha delegato la individuazione delle stagionalità, non può essere riconosciuto in capo agli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro che, però, potrebbero, ad esempio, non riconoscere la legittimità dell’accordo se i firmatari degli accordi collettivi non fossero espressione delle organizzazioni sindacali individuate dall’art. 51 del D.L.vo n. 81/2015.
La stagionalità non può che far riferimento ad attività che si ripetono annualmente e che, in determinati periodi, comportano un incremento delle stesse. Particolarmente significativi sono stati, nel tempo, il settore turistico-alberghiero, gli accordi nel settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali, nel commercio ove, secondo la previsione dell’art. 66-bis del CCNL, le parti, a livello territoriale, hanno definito come stagionali alcune attività ripetitive negli anni che comportano incrementi significativi, o anche nel settore della ristorazione. Ovviamente, si tratta di accordi raggiunti ben prima che scoppiasse la crisi pandemica.
Ciò che, a mio avviso, va tenuto in debita considerazione è la durata della “stagionalità”. Essa si giustifica, a mio avviso, se il periodo complessivo previsto non supera gli 8 mesi (come nel contratto del settore alimentare, con riferimento a picchi anche ripetuti nel corso dell’anno) o poco più (altrimenti, avremmo una stagionalità che si protrae quasi tutto l’anno, cosa che stride con la identificazione della stessa): non si giustifica se il periodo complessivo va oltre, tenuto conto anche del periodo di ferie che gli interessati maturano. C’è il rischio, fondato, che l’attività venga definita dal giudice come “normale”, con tutte le conseguenze del caso.
La seconda questione sollevata e risolta dalla nota dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro concerne le imprese turistiche stagionali con periodi di inattività alle quali fa riferimento la voce n. 48 del D.P.R. n. 1525/1963, come risulta modificata dall’art. 1 del D.P.R. n. 378/1995.
Essa riguarda la possibilità per i datori di lavoro interessati di sottoscrivere contratti a tempo indeterminato, senza che ciò possa inficiare la connotazione “stagionale”. La risposta è positiva, nel senso che non si ravvisano particolari criticità, atteso che tali aziende debbono, comunque, svolgere una attività preparatoria e programmatoria nei mesi di chiusura al pubblico.
Nulla si dice circa il computo del periodo di inattività (non inferiore, nell’anno solare, a 70 giorni continuativi o a 120 non continuativi) né, mi risulta, che, in passato, ci sia stata qualche indicazione amministrativa in proposito.
Infine, vorrei dedicare un pò di attenzione su alcune questioni che, spesso, i datori di lavoro, o i professionisti che li assistono, si trovano ad affrontare: mi riferisco al fatto che lavoratori a termine “stagionali” possano essere assunti anche con contratto a termine “normale” e viceversa.
Ciò è possibile ma occorre ponderare una serie di situazioni che discendono dal fatto che per i contratti a tempo determinato “normali” ci sono regole diverse:
Se un lavoratore già titolare di rapporti stagionali viene assunto con contratto a termine “normale”, occorre inserire una delle causali previste dall’art. 19 del D.L.vo n. 81/2015 (ad esempio, per “ragioni sostitutive”) perché è un ulteriore contratto a termine tra le parti: va, inoltre, rispettato lo “stacco” di 10 o 20 giorni, ed occorre tenere una “contabilità a parte” per il calcolo dei 24 mesi complessivi per mansioni riferibili allo stesso livello della categoria legale di inquadramento: tutto questo perché si applica la normativa sui contratti a tempo determinato “normale”;
Se un lavoratore già titolare di rapporti a termine “normali” viene assunto come stagionale per una delle ipotesi previste dal D.P.R. n. 1525/1963 o dalla contrattazione collettiva non occorre inserire alcuna causale, non sussiste alcun “stop and go”, ed il computo della durata dei rapporti stagionali avviene separatamente dagli altri. Anche il diritto di precedenza è diverso, nel senso che per un contratto stagionale va esercitato per iscritto entro 3 mesi dalla cessazione del rapporto e riguarda l’attivazione di un altro contratto stagionale, mentre per gli altri contratti a tempo determinato, esso va esercitato entro 6 mesi ed esplica i proprie effetti per una assunzione a tempo indeterminato per le mansioni già svolte, nel caso in cui il datore la programmare entro i 12 mesi successivi alla cessazione del rapporto (ma la trasformazione di un contratto a termine in corso, non è una nuova assunzione);
L’art. 44, comma 5, del D.L.vo n. 81/2015 consente alla contrattazione collettiva nazionale stipulata dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato per cicli stagionali: ciò, al momento, è possibile, unicamente, nel settore turistico alberghiero ove, da anni, è stata disciplinata la materia. In tale settore la stagionalità è possibile anche per il c.d. apprendistato di primo livello, disciplinato dall’art. 43 che, al comma 8, lo consente nelle Regioni e nelle Province autonome di Trento e Bolzano a condizione che sia stato definito un sistema di alternanza scuola-lavoro.
Da ultimo, voglio ricordare una disposizione che accomuna i contratti a termine “stagionali” con quelli a tempo determinato “normali”: ai fini del calcolo dell’aliquota per il collocamento obbligatorio prevista dall’art. 3 della legge n. 68/1999 in relazione ai limiti dimensionali dell’impresa, gli assunti a tempo determinato si computano se la durata del loro rapporto supera i 6 mesi. Ai fini della quantificazione di tale ipotesi, caso si sommano gli eventuali periodi lavorati in entrambe le fattispecie a termine.
Estremo