News
Archivio newsRiforme del mercato del lavoro. Si riparte (anche) dall’assegno di ricollocazione
Il mercato del lavoro sta attraversando una traiettoria influenzata da una varietà di forze. Condizione del tessuto produttivo attuale, impatto della pandemia, obiettivo di neutralità ambientale, piano Next Generation Europe e destino del Pepp - il Pandemic Emergency Purchase Programme: sono gli elementi di cui si dovrà tener conto per prendere le decisioni più opportune. Un’attenzione particolare dovrà essere riservata alle riforme degli ammortizzatori sociali, delle politiche attive e passive per il lavoro, degli strumenti di contrasto alla povertà. E, in quest’ottica complessiva, centrale sarà il ruolo dell’assegno di ricollocazione che andrà riformato. Secondo quali direttrici?
Il mercato del lavoro, in Italia, sta attraversando una traiettoria influenzata da una varietà di forze delle quali si dovrà tener conto per prendere le decisioni più opportune.
In primo luogo, occorre considerare la condizione del tessuto produttivo che era sofferente per diverse cause già prima della pandemia. Tra tali cause è da ricordare la sospensione, avvenuta nel 2018, degli strumenti di politica industriale legati a Industria 4.0 che avevano dato buoni risultati negli anni precedenti e che sono stati di recente ripristinati. Tale stato delle cose è reso evidente dalla crescita della cassa integrazione guadagni registrata già nel 2019.
In secondo luogo, c’è l’impatto della pandemia che ha, di fatto, fermato le attività in molti settori produttivi. Questo ha costretto l’Italia - così come molti altri Paesi - ad adottare provvedimenti di emergenza nel campo degli ammortizzatori sociali, con la nascita della cassa Covid e il blocco dei licenziamenti; misure tutt’ora vigenti.
Il terzo elemento è l’obiettivo della neutralità ambientale al 2050 dell’Unione Europea. È una forza trasformativa che dovrà condurre a una vastissima evoluzione della politica economica, industriale e sociale trasversale a tutti i Paesi aderenti. E che interessa in modo particolare un Paese trasformatore e industriale come il nostro.
Ad essa è strettamente collegata una quarta “forza” alla quale siamo - positivamente - esposti: il piano Next Generation Europe. Il Governo Draghi è, per questo, impegnato a chiudere, in brevissimo tempo, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza da consegnare a Bruxelles. Esso prevede la realizzazione, nei sei anni di orizzonte del Piano, di riforme strutturali di vastissima portata, indirizzate a far crescere la competitività del Paese innovando settori come la Pubblica Amministrazione, la giustizia e la formazione.
Da non trascurare un quinto, plausibile, elemento: quale sarà il destino del Pepp - il Pandemic Emergency Purchase Programme, Programma di acquisti di emergenza per la pandemia -, lo strumento temporaneo di acquisto di titoli di Stato pensato dalla Banca Centrale Europea per far fronte al collasso economico determinato dal coronavirus. Quanto durerà ancora? E con quali effetti? Quel che è certo è che la sua durata sarà, naturalmente, limitata nel tempo e nelle risorse. Ciascun Paese, senza dubbio il nostro, deve, perciò, porsi seriamente il problema della sostenibilità del proprio debito. Debito che, per quanto ci riguarda, è cresciuto al 134,6% del Pil nel 2019, al 157,5% nel 2020, per toccare, nella previsione per il 2021, il 159,7%.
Quindi, la prima considerazione da fare è che, in materia di riforme degli ammortizzatori sociali, politiche attive e passive per il lavoro, strumenti di contrasto alla povertà, il legislatore non potrà evitare - se vuole mettere a punto dispositivi efficaci - di tenere conto di uno scenario nel quale vari elementi interagiscono a un alto livello di complessità. Né potrà, ovviamente, non concentrarsi sull’evitare un tracollo sociale dovuto a una perdita massiccia di imprese, soffocate dalla pandemia e, di conseguenza, di posti di lavoro.
È perciò di tutta evidenza che concentrarsi sulle sole politiche attive non è sufficiente. Esse dovranno interagire razionalmente con uno scenario nel quale gli strumenti passivi di emergenza come Cassa Integrazione Covid - ricordiamo, pagata con la fiscalità generale - e divieto di licenziamento verranno, prima o poi, a cessare.
A metà settimana, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha chiarito che il Governo prorogherà fino al prossimo giugno il blocco dei licenziamenti per quei lavoratori che dispongono di ammortizzatori sociali ordinari, mentre per tutti gli altri si andrà fino a ottobre. Scelta che ha il doppio obiettivo di salvaguardare il reddito dei lavoratori interessati e di guadagnare il tempo per varare una riforma degli ammortizzatori sociali. Si può, perciò, auspicare che la strada della rimodulazione di tali strumenti possa essere interconnessa con l’avvio della funzionalità del Piano di Ripresa e Resilienza e con i ragionamenti di politica industriale che si potranno ad esso collegare con l’obiettivo 2050.
In quest’ottica complessiva è argomento di particolare interesse quello della riforma dell’assegno di ricollocazione. Il quale può assumere un nuovo senso in una visione di scenario ben articolata. Ricordiamo che l’assegno di ricollocazione è uno strumento, erogato dall'Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (Anpal), indirizzato a chi deve ricollocarsi nel mercato del lavoro. Si tratta di un importo da utilizzare presso i fornitori di servizi di assistenza per la ricerca di occupazione come i Centri per l’impiego e gli Enti accreditati presso i servizi per il lavoro.
Esistono, in proposito, alcune proposte tese a renderlo obbligatorio per tutti i disoccupati e condizione imprescindibile per il riconoscimento di qualsiasi altro sostegno al reddito come la NASpI, la CIG straordinaria, il reddito di cittadinanza. Lo strumento, a nostro avviso, andrebbe differenziato in relazione ai suoi beneficiari; come diversificata in base ai beneficiari dovrebbe essere la remunerazione per gli operatori che svolgono l’attività di accompagnamento.
Ciò che è certo è che, oggi, si ha l’opportunità di esprimere una nuova valutazione del capitale umano. Esso deve essere valorizzato come mai lo è stato. Perché - sia pur nella tempesta pandemica - ci affacciamo su una nuova epoca. L’epoca di un’Europa che tenta l’impresa umanistica di essere neutrale sul piano ambientale, innovativa su quello produttivo, coesa su quello sociale e ampia nello sguardo. Ed è in questo modo che dobbiamo concepire ogni azione sul mercato del lavoro: legandola, cioè, a un processo vasto e razionale.