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Archivio newsVaccinazione Covid e sicurezza sul lavoro: serve realmente uno scudo penale?
Scudo penale per le imprese, per i medici e per il personale addetto alla vaccinazione. E’ l’esigenza da più parti invocata e fortemente sentita soprattutto oggi, ai tempi del Coronavirus. Peccato che finiscano per sfuggire all’attenzione gli scudi già previsti dalla legge, come quello garantito dal rispetto del modello 231. Sorprendono allora quelle imprese che trascurano di adottare ed efficacemente attuare il MOG, perché omettono di erigere un vero e proprio scudo contro una responsabilità insidiosa come quella amministrativa. Anzi, di più, omettono di erigere un ulteriore scudo contro un profilo importante della responsabilità penale dello stesso datore di lavoro.
Mai come in quest’epoca abbiamo sentito tanto invocare lo scudo penale. Sin dai primissimi mesi del coronavirus, si tentò da subito di sgombrare il terreno da quell’”ingombrante” TUSL, da quel decreto 81 che dal 2008 governa la sicurezza nei luoghi di lavoro con norme la cui violazione è addirittura un reato.
Molto meglio - ecco la scoperta di alcuni - non spaventare le imprese, e accontentarsi di quel diluvio di prescrizioni emergenziali che prescindono dagli adempimenti più fastidiosi e che ricorrono all’accomodante armamentario di evanescenti ammende puramente amministrative.
E vi fu chi denunciò un atteggiamento formalistico da azzeccagarbugli fuori luogo in questa fase emergenziale.
Ed ecco la sorte riservata dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro all’obbligo più impegnativo di tutti: in quel mal sopportato documento di valutazione dei rischi imposto dal TUSL, gli imprenditori non sono tenuti ad analizzare il rischio coronavirus nell’ambito delle loro aziende, e ancor meno a indicare le misure adottate contro quel rischio, salvo che negli ambienti sanitari.
Ha fatto seguito nella prassi un’abitudine: quella di far credere alle imprese e ai dipendenti che lo smart working sfugga agli obblighi di sicurezza. Sotto sotto s’immagina lo smart working come scudo penale.
Solo per miracolo poi non è riuscito il tentativo di trasformare il celebre art. 29-bis del D.L. 23/2020 in uno scudo totale contro la responsabilità penale per le infezioni da Covid-19 causate da una condotta colposa del datore di lavoro (156.766 i casi d’infortunio sul lavoro da Covid-19 segnalati all’Inail al 28 febbraio 2021: ma quanti doverosamente denunciati all’autorità giudiziaria quali possibili delitti di omicidio o lesione personale colposi?).
In questo clima, ha rischiato di andarci di mezzo persino quella legge n. 283 del 1962 che ci ha permesso di processare le mozzarelle blu, i frutti di bosco congelati positivi al virus dell’epatite A, l’olio vergine fatto passare per extravergine, il pesce avariato ritornato fresco grazie a sostanze chimiche. Perché il decreto legislativo n. 27 del 2 febbraio 2021 aveva a sorpresa abrogato la legge del 1962. Per fortuna questa abrogazione non sfuggì a tutti, e grazie alla preziosa iniziativa della Ministra Cartabia il decreto-legge 22 marzo 2021 n. 42 è valso ad abrogare l’abrogazione.
Ma intanto una vicenda quale quella del vaccino AstraZeneca ha indotto alcuni a sollecitare uno scudo globale che “immunizzi” il personale addetto alla vaccinazione, pur palesemente non coinvolto nel problema relativo alla sicurezza del vaccino, da qualsiasi responsabilità penale. Salvo poi trovarsi la strada sbarrata dall’art. 3 del D.L. 1° aprile 2021 n. 44 ogniqualvolta l'uso del vaccino non sia conforme “alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”. E salvo per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario vedersi profilare all’orizzonte - in caso di “sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni” per omessa vaccinazione - oltre alle conseguenti misure imposte al datore di lavoro dall’art. 4 del predetto decreto legge, le implicazioni della norma per cui “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione”.
Peccato, ma non sorprendente, che in tanto smarrimento finiscano invece per sfuggire all’attenzione gli scudi già previsti dalla legge.
Per gli infortuni sul lavoro, a fianco della responsabilità penale delle persone fisiche, si applica con sempre maggior frequenza la responsabilità c.d. amministrativa delle stesse imprese prevista dal decreto 231. Una responsabilità che comporta sanzioni temibili, e che non patisce alcune criticità che frenano la responsabilità penale, a partire dalla prescrizione (come ci ha chiarito Cass. 25 marzo 2021 n. 11452). Perché sussista la responsabilità amministrativa dell’impresa, occorre che l’impresa versi in colpa, la c.d. colpa di organizzazione. E questa colpa di organizzazione consiste nel non aver adottato ed efficacemente attuato il modello di organizzazione e gestione, il c.d. MOG, la cui adozione non è obbligatoria, e tuttavia vale ad escludere la responsabilità amministrativa dell’impresa.
Ecco perché mi sorprendono quelle imprese che trascurano di adottare ed efficacemente attuare il MOG. Perché trascurando il MOG omettono di erigere un vero e proprio scudo contro una responsabilità tanto insidiosa quale quella amministrativa. Anzi, dico di più, trascurando il MOG, le imprese omettono di erigere un ulteriore scudo: addirittura uno scudo contro un profilo allarmante della responsabilità penale dello stesso datore di lavoro, e, dunque, del vertice dell’impresa.
Leggiamo l’art. 16 del TUSL. Nei primi due commi attribuisce al datore di lavoro la facoltà di delegare ad altri le funzioni antinfortunistiche, escluse le due funzioni indelegabili di cui all’art. 17, comma 1, dello stesso TUSL. Ma nel comma 3, primo periodo, quell’art. 16 dispone che “la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite”. In questa cornice non sfugga la preziosa opportunità data dall’art. 16, nel comma 3, là dove al secondo periodo aggiunge che l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro sul delegato si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello organizzativo.
Dunque, quel MOG la cui adozione ed efficace attuazione esime l’impresa dalla colpa di organizzazione, vale ad escludere anche la responsabilità del datore di lavoro delegante, beninteso sotto il profilo inerente alla omessa o insufficiente vigilanza sull’operato del delegato. Tanto è vero che, ad esempio, Cass. 12 giugno 2019 n. 25977 annulla la condanna inflitta al consigliere delegato di una grande s.p.a. per omessa vigilanza sul delegato.
E l’annulla perché non era stata valutata l’adeguatezza ed efficacia del MOG predisposto dalla s.p.a.