• Home
  • News
  • Blocco dei licenziamenti. I rischi per le imprese dopo un anno (e più) di proroghe

Blocco dei licenziamenti. I rischi per le imprese dopo un anno (e più) di proroghe

E’ passato più di un anno dall’inizio della pandemia e siamo ancora al punto di partenza. In un contesto caratterizzato da un’economia in stallo in moltissimi settori e da dati preoccupanti sui livelli di occupazione soprattutto femminile e sulle chiusure delle partite IVA, si continua a vedere nel divieto di licenziamento, individuale e collettivo, l’unico strumento per evitare la deriva sociale (solo) aggravata dal Coronavirus. Con il blocco dei licenziamenti, in contrasto con le disposizioni comunitarie, il legislatore ha avocato a sè la scelta insindacabile di adottare decisioni che competono unicamente all’imprenditore. Cui prodest?

Nonostante il cambio di passo governativo e gli auspici che ciò lasciava sperare, con il nuovo decreto Sostegni (il D.L. n. 41/2021) è arrivata l’ennesima proroga del blocco dei licenziamenti individuali per motivi economici e collettivi fino al 30 giugno 2021. Per le aziende, poi, che fruiranno dei trattamenti di integrazione salariale a far data dal 1° aprile, lo stop è ulteriormente spostato fino al 31 ottobre 2021.

Restano confermate, come già visto in questi mesi a partire dal decreto Agosto e confermate dal decreto Ristori e dalla legge di Bilancio per il 2021, le deroghe al divieto di licenziamento sia collettivo che individuale collegate a) ai cambi di appalto – quando cioè il personale sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore e b) quelle collegate con la cessazione definitiva dell’attività dell’impresa conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, nemmeno parziale, dell’attività stessa, nonché c) nei casi di fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la sua cessazione.

Resta invece confermata la possibilità di procedere alle risoluzioni (consensuali) per effetto degli accordi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, che prevedano forme di incentivazione alla risoluzione del rapporto di lavoro. In questo caso i lavoratori hanno diritto alla NASpI, questione più volte affrontata dall’INPS in questo ultimo anno. Diritto comunque ammesso fin dall’inizio da parte dell’Istituto nei casi di non contestazione del licenziamento (con obbligo, in caso positivo, di restituzione della NASpI) e poi via via oggetto di ulteriori chiarimenti da parte dello stesso istituto in presenza, ad esempio, di accordi di risoluzione con incentivo all’esodo nei casi in cui, in ipotesi, l’accordo non fosse stato sottoscritto da parte di tutte le organizzazioni sindacali (cfr. INPS circolare n. 111/2020 e messaggio n. 689/2021).

Insomma a distanza di più di un anno dall’inizio della pandemia, in Italia (unico paese europeo ad aver introdotto un blocco assoluto dei licenziamenti…) siamo ancora al punto di partenza, con una economia in stallo in moltissimi settori, con dati sconcertanti sui livelli di abbandono volontario del lavoro (soprattutto da parte della popolazione femminile) e sulle chiusure di partite IVA, ma il nostro legislatore vede ancora nel divieto di licenziamento (anche individuale) l’unico strumento per evitare la deriva sociale che di fatto è già cominciata un anno fa sia per il rapporto di lavoro subordinato (per i contratti di lavoro a tempo determinato e per il lavoro stagionale) sia, in modo forse ancor più significativo, per il lavoro autonomo. Basti pensare solo ai dati relativi all’occupazione femminile diffusi dai Consulenti del lavoro a marzo 2021: nel periodo aprile-settembre 2020 l’Italia ha registrato una perdita di lavoratrici doppia rispetto alla media Europea. A fronte di un calo del 4,1% delle lavoratrici italiane tra i 15 e 64 anni (402 mila in meno), in Europa il numero delle occupate nella stessa fascia d’età è diminuito del 2,1%. Mediamente, su 100 posti di lavoro persi in Europa quelli femminili sono 46, mentre in Italia 56. Il che la dice lunga sull’impegno che la pandemia ha richiesto alla popolazione femminile in termini di conciliazione vita-lavoro, in un contesto peraltro in cui il lavoro da remoto (di tipo obbligatoriamente domiciliare) ha dovuto fare i conti anche con la chiusura delle scuole e la didattica a distanza.

Da questo punto di vista, nel panorama della legislazione emergenziale, viene ancora da chiedersi la ragione di un blocco generalizzato dei licenziamenti, soprattutto di quelli individuali che ben potevano invece essere consentiti, visto il loro ridotto impatto sociale anche alla luce del supporto ai lavoratori garantito dalla NASpI. Sotto tale profilo, bene avrebbe fatto il legislatore a cancellare il divieto quanto meno per quelli individuali (peraltro nella misura massima di quattro per ciascuna impresa), lanciando da questo punto di vista un gesto di distensione verso le imprese e, al tempo stesso consentendo alla pesante macchina burocratica delle procedure di conciliazione preventiva ex art. 7 l. 604/66 di rimettersi gradualmente in moto dopo un anno di inattività.

Ma anche questa volontà è mancata.

Mentre, riveste un senso maggiore la previsione di una normativa specifica dedicata alla posizione dei genitori (nelle ipotesi di necessità di astensione dal lavoro senza retribuzione connessa alla sospensione dei servizi didattici con conseguente impossibilità di svolgere la prestazione nella modalità agile) da ultimo rinnovata con il D.L. n. 30/2021. Ma a quanto pare, seppure in un contesto in cui il lavoro (insieme alla salute) costituisce un fattore di sopravvivenza, tale tutela non ha scongiurato l’abbandono del lavoro che si registra con costanza nel nostro paese alla nascita del primo figlio, cui fa da contraltare un vertiginoso calo delle nascite (- 3,8% rispetto al 2019) reso ancora più preoccupante dall’aumento dei decessi che la pandemia ha portato in questo ultimo anno. Segno che il nostro è un Paese che invecchia, senza sufficiente ricambio generazionale.

In questo contesto quale è allora la risposta del nostro legislatore? Anziché intervenire in modo strutturale per sostenere la ripresa economica sia con una compiuta riforma degli ammortizzatori sociali sia, soprattutto, con interventi fiscali che accompagnino l’attività di molte delle categorie che hanno registrato le maggiori perdite (garantendo la concreta capacità di queste imprese di mantenere l’occupazione), reitera i sostegni (davvero esigui), induce le aziende a proseguire con gli ammortizzatori sociali emergenziali, con grave rischio di sostenibilità nel tempo di questo “congelamento” dei conti economici e sposta sempre più in avanti un problema inevitabile che con il giusto bilanciamento degli equilibri in gioco avrebbe potuto essere già affrontato dopo i primi mesi, anche in vista dell’accesso agli aiuti previsti dal Piano europeo.

Mi spiego meglio: con il blocco annuale dei licenziamenti il legislatore ha di fatto attribuito a sé la valutazione dell’opportunità o meno di continuare una determinata attività economica e, quindi, ha avocato a sè la scelta insindacabile di adottare o meno specifiche decisioni (ad es. di cessare una attività e/o di ridurre il personale etc.) che competono invece unicamente all’imprenditore. La giurisprudenza in materia di licenziamento per motivi economici lo afferma da anni, almeno sulla scorta di un necessario aggiornamento dei principali orientamenti in materia, a prescindere, peraltro, dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli (v. da ultimo Cass. Civ. n. 1514/2021). Non sono sindacabili dal giudice i profili di congruità e di opportunità di una determinata decisione datoriale. E, peraltro, è questo lo spirito della previsione normativa del licenziamento per motivi economici (art. 3 L. n. 604/1966). Ma attribuirsi decisioni che spettano all’impresa e che “sviliscono” se non addirittura comprimono un diritto costituzionalmente garantito quale quello delineato dall’art. 41 Cost. sulla libertà d’impresa, finisce per produrre le storture cui abbiamo recentemente assistito da parte del Tribunale di Roma (decisione del 26 febbraio 2021) che ha riconosciuto illegittimo il licenziamento intimato ad un dirigente durante la pandemia, sebbene la figura del dirigente non sia formalmente contemplato dal divieto.

Bene ha fatto, invece, a mio avviso il Tribunale spagnolo di Barcellona (decisione n. 283 del 15 dicembre 2020) a disapplicare la legislazione emergenziale spagnola – ricalcata per certi versi su quella italiana - e così riconoscere la legittimità di un recesso intimato nella vigenza dell’analogo divieto introdotto in Spagna, quando ha riconosciuto la contrarietà del divieto di licenziamento alle disposizioni comunitarie in materia di libertà di iniziativa economica. Si afferma, infatti, che la continua reiterazione del divieto è segno di una insufficienza della misura rispetto all’obiettivo, con la conseguenza di rendere il divieto non solo contrario al principio di libertà d’impresa sancito nell’ordinamento costituzionale spagnolo in forma analoga al nostro, ma anche allo stesso diritto dell’Unione (art. 16 della Carta di Nizza).

Nel nostro ordinamento, invece di tenere conto dell’importanza dei diritti costituzionalmente garantiti (fra tutti l’art. 41 Cost.) si afferma la nullità di ogni licenziamento per contrarietà a norme imperative – quelle emergenziali - senza tenere conto delle potenzialità di ripresa insite nelle operazioni di riorganizzazione e di razionalizzazione dell’impresa (i cui obiettivi strategici sono e restano in capo alla responsabilità dell’imprenditore che rimane colui che rischia il proprio capitale) ma se ne ammettono le conseguenze quando ormai non vi è più nulla da poter salvare, ossia quando l’attività è ormai cessata.

Ma come tutti sanno, i nodi prima o poi verranno al pettine.

È solo questione di tempo. Speriamo che questa ennesima proroga sia davvero l’ultima.

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2021/04/17/blocco-licenziamenti-rischi-imprese-e-piu-proroghe

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble