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Archivio newsPNRR: un’opportunità per le imprese. Come vincere la sfida dell’innovazione
L’indebitamento post Covid-19 obbliga il nostro Paese, per il prossimo futuro, ad accrescere la produttività. Come? La prima strada è ridurre l’inefficienza della spesa, contingentando ogni investimento ad un possibile ritorno economico. La seconda è aumentare il rendimento dei fattori di produttività attraverso l’innovazione e la ricerca, aspetti per i quali le imprese italiane sono stabilmente sotto la media europea. Il PNRR - Piano Nazionale di Ricerca e Resilienza e i finanziamenti che ne deriveranno costituiscono un’opportunità per le imprese. Ma su cosa occorre vigilare?
L’indebitamento necessario per l’uscita dalla pandemia pone il Paese (e in fondo anche famiglie e imprese) davanti ad un obbligo per il prossimo futuro: far crescere la propria produttività. Senza un adeguato salto in avanti della produttività, la crescita economica che servirà per finanziare il debito (e auspicabilmente ripagarlo) è sostanzialmente impossibile. L’alternativa è la riduzione della spesa, non solo pubblica, con quello che ne consegue: impoverimento, necessità di liquidare i propri asset, riduzione del personale, contenimento di ogni spesa. Si tratterebbe di un circolo vizioso che dobbiamo evitare. Ma come si fa crescere la produttività? La prima strada è ridurre l’inefficienza della spesa, contingentando ogni investimento alle previsioni di un possibile ritorno economico. Questo richiede ad esempio da parte della Pubblica Amministrazione di rivedere profondamente il funzionamento di ambiti vitali come l’istruzione, i servizi a famiglie e imprese, la giustizia. Per le imprese significa sottoporre ogni decisione di spesa ad una valutazione attenta e uscire dall’idea di budget rolling anno su anno. Si tratterà di uno sforzo non banale che richiederà a tutti di comprendere la necessità di un sacrificio orientato alla ripresa. La seconda alternativa è aumentare il rendimento dei fattori attraverso l’innovazione e la ricerca. Innovare vuole dire creare uno spazio di originalità nel mercato grazie al quale ottenere ritorni superiori (aumentando il valore dei nostri beni e servizi o riducendo il costo di produzione ed erogazione degli stessi). L’Italia secondo l’European Innovation Scoreboard 2020 (EIS2020 ) è stabilmente sotto la media europea su tutti gli indicatori. Ad esempio, è al 56,0% della media europea nel numero di collaborazioni tra imprese innovatrici e al 67,0% nella intensità di cofinanziamento dell’attività di ricerca universitaria sviluppo da parte del settore privato (67,0%). Si tratta di uno scenario sconfortante a cui contribuiscono diversi fattori: - uno scarso orientamento all’investimento di lungo periodo nelle PMI; - una focalizzazione puramente commerciale di gran parte delle imprese globali presenti nel Paese; - un sistema di regolazione dei rapporti tra università e in generale sistema pubblico della ricerca e imprese ispirato a quella che io chiamo la “cultura del sospetto” (che peraltro non evita in alcun modo a chi vuole frodare di farlo, pensiamoci…); - una cultura ideologica dominante nell’università pubblica che vede nell’impresa e nel mercato un nemico; - l’assoluta mancanza di una comprensione del rapporto tra investimento, rischio e rendimento nella struttura di spesa della PA, favorita dalla sostanziale de-responsabilizzazione individuale di molte delle arcaiche procedure burocratiche. Il Piano Nazionale di Ricerca e Resilienza (PNRR) prevede per l’obiettivo “M4C2. Dalla ricerca all’impresa” un finanziamento di 11,44 miliardi di euro che corrispondono circa al 5% del totale. Si tratta di un’opportunità anche se la gran parte delle risorse sono destinate al rafforzamento dell’investimento della ricerca di base con minore attenzione al tema centrale del rapporto tra ricerca e trasferimento tecnologico. Su quest’ultimo aspetto si prevede al punto “Investimento 2.3: Potenziamento ed estensione tematica e territoriale dei centri di trasferimento tecnologico per segmenti di industria” un investimento su 60 “centri (Centri di Competenza, Digital Innovation Hub, Punti di Innovazione Digitale) incaricati dello sviluppo progettualità, dell’erogazione alle imprese di servizi tecnologici avanzati e servizi innovativi e qualificanti di trasferimento tecnologico”. Se il target è apprezzabile vi sono due aspetti sui quali vigilare. Il primo è il vezzo italiano dell’investimento a pioggia. Non sfugge il fatto che ci sono 67 università pubbliche e 60 centri corrispondono quasi ad un rapporto 1 a 1. Ma su quale base è corretto ipotizzare che in una fase come questa ogni università debba avere la sua fetta dell’investimento? Non sarebbe meglio focalizzare l’investimento? Conosciamo bene le difficoltà che hanno investito l’Istituto Italiano di Tecnologia contro il quale si sono organizzati interessi importanti svuotando in parte il valore dell’istituzione e riportando gran parte delle risorse sotto il controllo del sistema universitario. Ma oggi dobbiamo scegliere e scegliere significa che non si deve per forza accontentare ogni attore. Il secondo aspetto riguarda la carenza in tutto il PNRR di qualsiasi riferimento alle modalità, alla governance, all’organizzazione se non sporadici accenni (come quando si fa riferimento ad una “fantomatica” figura di research manager!). Su questi punti due riflessioni vanno fatte. La prima è che ogni impresa come attore di questo cambiamento epocale deve far sentire la sua voce all’interno delle forme di rappresentanza per spingere il Governo fuori dalle secche del consociativismo tradizionale. La seconda è interna e riguarda l’evitare di subire internamente gli stessi limiti, dato che sono connaturati alla nostra cultura. Dobbiamo focalizzarci non su sogni e progetti ma sulla loro realizzabilità e sulla necessità di dedicare una parte delle risorse all’investimento in innovazione. In quanto Presidente di Fondazione Unimi, la fondazione universitaria dell’Università degli Studi di Milano dedicata a “supportare la valorizzazione del dealflow dell’innovazione basata sulla ricerca scientifica e frutto della convergenza di obiettivi tra comunità accademica e mondo corporate” (fonte: Mission) sono consapevole della nostra responsabilità, ma è evidente che qui serve un salto quantico di sistema e spero che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sappia realizzare quanto promette così come auguro ad ognuno di voi, nelle vostre attività e imprese di saper fare altrettanto! Copyright © - Riproduzione riservata