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Archivio newsVaccinazione e scudo penale per Covid-19: a che punto siamo
Una vicenda come quella del vaccino AstraZeneca ha indotto a sollecitare uno scudo globale che “immunizzi” il personale addetto alla vaccinazione da qualsiasi responsabilità penale. La legge n. 76/2021, all’art. 3-bis, allarga lo scudo penale, rendendo “punibili solo nei casi di colpa grave” l’omicidio colposo e le lesioni personali colpose commessi “nell'esercizio di una professione sanitaria” (e non “dagli esercenti la professione sanitaria”) e durante lo stato di emergenza da Covid-19. Una disciplina transitoria che non si applica comunque ai reati per violazione degli obblighi del TUSL, come l’obbligo di valutazione del rischio Covid-19 per tutte le imprese. E, su questo fronte, non ci vuol molto a intravedere una “tentazione”.
Fu facile prevedere che, dopo gli iniziali entusiasmi, l’ormai celebre 29-bis non sarebbe bastato a tranquillizzare gli animi. Certo, i datori di lavoro che adottano le misure prescritte nei protocolli, nelle linee guida, negli accordi, con ciò stesso adempiono a quel generico articolo 2087 del codice civile che già dagli anni quaranta del secolo scorso obbliga qualsiasi imprenditore a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori mediante le misure consigliate da tecnica, esperienza, particolarità del lavoro. Ma il 29-bis, oltre a confermare la responsabilità penale del datore di lavoro che violi protocolli o linee guida o accordi, si guarda bene dall’escludere la responsabilità penale del datore di lavoro che, pur rispettando protocolli o linee guida o accordi, non adempia ai distinti obblighi previsti da leggi specifiche quale il decreto 81. Con l’avvertenza che una responsabilità penale è configurabile anche per un’affezione da Covid-19 occorsa a un terzo (come il paziente di una struttura ospedaliera o un ospite di una causa di riposo), e può gravare non necessariamente sul datore di lavoro (magari committente), bensì anche o soltanto su altri soggetti: un dirigente, l’RSPP, il medico competente, e non escluso lo stesso lavoratore inadempiente agli obblighi contemplati dall’art. 20, D.Lgs. n. 81/2008. Se ne sono resi conto anche i dirigenti scolastici preoccupatissimi per le responsabilità penali incombenti in caso di contagio tra il personale o tra gli allievi. Il Ministero dell’Istruzione in una nota del 20 agosto 2020 aveva tentato di rassicurarli: per evitare la responsabilità, questo il proclama, basta applicare quanto previsto dagli specifici protocolli siglati contro il coronavirus. Ma appena a giugno 2021 si è paventata l’incriminazione del dirigente scolastico per il decesso di un insegnante colpito dal Covid-19, subito è ripartita la richiesta di uno scudo penale, ovviamente più ampio di quello imbastito dal 29-bis. A sua volta, una vicenda quale quella del vaccino AstraZeneca ha indotto alcuni a sollecitare uno scudo globale che “immunizzi” il personale addetto alla vaccinazione da qualsiasi responsabilità penale. Salvo poi trovarsi la strada sbarrata dall’art. 3 del D.L. 1° aprile 2021 n. 44 ogniqualvolta l'uso del vaccino non sia conforme “alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”: purché “pubblicate nel sito internet istituzionale” soggiunge in sede di conversione la legge 28 maggio 2021 n. 76. Ma è proprio la legge n. 76/2021 che in un art. 3-bis aggiunto dal Senato allarga lo scudo penale. Nel senso che rende “punibili solo nei casi di colpa grave” i fatti: -di cui agli artt. 589 e 590 c.p. -che trovano causa nella situazione di emergenza-commessi, alla lettera, “nell'esercizio di una professione sanitaria”, e non “dagli esercenti la professione sanitaria” -durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19. Dunque, una disciplina transitoria che non si estende a reati diversi dall’omicidio o dalla lesione personale colposi, e che, in particolare, non si applica a reati quali le violazioni degli obblighi previsti nel TUSL (dalla valutazione dei rischi alla sorveglianza sanitaria e alle vaccinazioni), o l’omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. E che per giunta -è il caso di notarlo, facendo tesoro degli insegnamenti giurisprudenziali sulla “abolitio criminis parziale” degli artt. 589 e 590 c,p. commessi dagli “esercenti la professione sanitaria” alla stregua dell’art. 3 del D.L. Balduzzi poi abrogato dall’art. 6 della legge Gelli-Bianco- non si applica agli stessi reati di omicidio o lesione personale colposi che non risultino commessi “nell’esercizio della professione sanitaria”. Su questo fronte, non ci vuol molto a intravedere una tentazione: quella di far beneficiare dello scudo protettivo perlomeno a titolo di concorso in reato commesso nell’esercizio di una professione sanitaria anche il soggetto che tale reato abbia commesso, ma non nell’esercizio della professione sanitaria (ad es., come datore di lavoro o come RSPP). In guardia mise già il Dossier n. 375/1 del maggio 2021 predisposto in edizione provvisoria dal Servizio Studi del Senato con gli emendamenti approvati in sede referente dalla I Commissione in prima lettura, ivi incluso l'emendamento che inserì il nuovo art. 3-bis. Ove, anzitutto, utilmente si ricorda che l’ambito delle professioni sanitarie comprende i soggetti iscritti agli albi professionali degli ordini: dei medici-chirurghi e degli odontoiatri; dei veterinari; dei farmacisti; dei biologi; dei fisici e dei chimici; delle professioni infermieristiche; della professione di ostetrica; dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione; degli psicologi (di particolare interesse in proposito l’ipotesi -esaminata da Cass. 2 luglio 2020 n. 19856- del medico competente incriminato per il delitto di omicidio colposo commesso nell’esercizio della professione sanitaria di cui all’art. 590-sexies c.p. “per inosservanza delle regole che presiedono l'arte medica”). Ma ove soprattutto si invitano (i parlamentari) a considerare “nella presente sede legislativa” alcune esigenze, e, in particolare, due. La prima è “di valutare se sussista l'esigenza di un'indicazione, nella presente sede legislativa, dei parametri di cui il giudice debba tener conto ai fini della verifica della presenza, nel caso concreto, della concausa costituita dalla ‘situazione di emergenza’, considerato anche che sul carattere specifico di quest'ultima si fonda”. E poi una seconda esigenza: “si valuti l’opportunità di chiarire se la limitazione della punibilità concerna anche gli operatori (negli ambiti sanitari o socio-sanitari) che concorrano nel delitto e che non rientrino nelle summenzionate categorie delle professioni sanitarie”. Opportunità di un chiarimento poi ribadita alla Camera dopo l’approvazione da parte del Senato nel Dossier n. 375/2 del 18 maggio 2021. Significativo è che una estensione di tal fatta non sia stata invece prevista. Da notare che la disciplina dettata dall’art. 3-bis non si applica nemmeno al reato di epidemia colposa. Ed è qui il caso di avvertire che, contrariamente a quanto asserito da taluno, Cass. 24 maggio 2021 n. 20416 individua una possibile condotta omissiva del datore di lavoro nella mancata valutazione del rischio Covid-19 ex art. 271 D.Lgs. n. 81/2008, e si limita ad escludere la ravvisabilità del delitto di epidemia colposa in presenza di una condotta meramente omissiva, ovvero in subordine a sottolineare la necessità di accertare con alto grado di credibilità logica o credibilità razionale la connessione tra tale condotta omissiva e la diffusione del virus. Più che mai, dunque, rimane fermo quell’obbligo di valutazione del rischio Covid-19 che continua a ricevere conferme in rapporto a qualsiasi ambiente di lavoro. Basti por mente che, a sostegno delle stesse medie, piccole e microimprese (escluso proprio “l'ambiente sanitario per il quale è disponibile una consulenza specifica”), l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ha appena aggiornato alle misure anti COVID-19 il proprio strumento per la valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro: quell’OiRA evocato dall’art. 29, comma 6-quater, D.Lgs. n. 81/2008 ed eloquentemente oggetto del D.M. 23 maggio 2018 n. 61, dedicato alle attività di ufficio dei settori privati e pubblici ed illustrato nella circolare 23 marzo 2020 dell’INAIL e del Ministero del Lavoro. Copyright © - Riproduzione riservata