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Archivio newsBlocco dei licenziamenti: quanto è stato efficace per salvare l’occupazione?
Dopo ripetute proroghe, la stagione dei blocchi del licenziamento può dirsi definitivamente conclusa. E’ quindi possibile fare le prime valutazioni sull’efficacia della misura nel tutelare l’occupazione, calmierando gli effetti della crisi. Il nostro Paese è stato l’unico, in Europa, ad attivare un divieto generalizzato ai licenziamenti, con una normativa rivelatrice di un approccio consolidato al problema occupazionale del legislatore italiano più emergenziale che strutturale. Cosa si auspica che possa cambiare nel prossimo futuro (anche) in vista del PNRR?
Il Legislatore ha ritenuto che possa dirsi in via di conclusione la stagione dei blocchi del licenziamento. Oggi è il momento di formulare le prime valutazioni su questa vicenda e sul contesto normativo che ci accompagnerà verso una c.d. nuova normalità. La ratio che ha presieduto al blocco dei licenziamenti, sin dalla sua origine, è stata quella di tutelare l’occupazione a fronte della situazione emergenziale venutasi a creare nel contesto pandemico supportando il peso dell’inibizione alle prerogative dell’impresa con l’accesso pressoché generalizzato agli strumenti di sostegno al reddito con causale Covid. Dal punto di vista della tecnica legislativa e, quindi, della chiarezza delle norme che si sono succedute nel corso del tempo non può che essere evidenziata la loro tendenza a generare dubbi interpretativi via via dissipati in tutto in parte da interpretazioni autentiche, nella migliore delle ipotesi. A prescindere dal dato normativo, forti sono anche i dubbi relativi alla efficacia del blocco dei licenziamenti rispetto all’effettiva salvaguardia dei livelli occupazionali. La domanda sottesa a tutto l’impianto normativo è quella di definire se l’inibizione al potere di licenziare per un periodo limitato di tempo sia sufficiente a ricreare le condizioni pre pandemiche che consentono il mantenimento dell’occupazione. In altre parole, il decorso del tempo in cui si sono bloccati i licenziamenti e si è attinto agli ammortizzatori è stato o no in grado di consentire alle aziende di evitare o calmierare gli effetti della crisi? La risposta a questa domanda non poteva che essere negativa per molti fattori che imporrebbero una trattazione parecchio diffusa involgendo ragioni economiche e sociali, ad ogni buon conto la valutazione negativa è largamente condivisa dalla stessa Commissione Europea, come è ormai noto, si è espressa in maniera estremamente critica; evidenziando come, in realtà, le scelte del Legislatore italiano non siano state effettivamente premianti in termini occupazionali dal momento che la misura in commento «ostacola il necessario adeguamento della forza lavoro alle esigenze aziendali». Il riscontro alle critiche legate a questa scelta legislativa lo ritroviamo nella circostanza per cui, nonostante il divieto di licenziamento generalizzato, l’Italia non abbia ottenuto risultati migliori dal punto di vista della tutela dell’occupazione rispetto agli altri Paesi europei che hanno adottato misure meno restrittive e ciò al netto evidentemente di condizioni economiche di partenza pre crisi certamente non uguali. Al contrario il c.d. blocco ha sortito effetti deleteri sull’occupazione giovanile e femminile, privilegiando i c.d. insiders, ossia quei soggetti che sono già inseriti nel mercato del lavoro a tempo indeterminato e che quindi, rispetto ad altre categorie ai margini dello stesso, godono già di un sistema di tutele. Volgendo solo per un attimo lo sguardo fuori dai confini nazionali l’approccio adottato dal legislatore nazionale rappresenta un unicum nello scenario europeo essendo stato l’unico paese ad attivare un divieto generalizzato ai licenziamenti. Gli interventi negli altri Paesi europei sono stati, in linea di massima, volti all’introduzione di misure a sostegno delle imprese simili alla nostra cassa integrazione, mentre soltanto Spagna e Grecia hanno previsto in aggiunta a tali misure una sospensione dei licenziamenti per ragioni economiche che, tuttavia, non si configurano come un divieto assoluto al pari di quanto previsto in Italia. In Spagna, infatti, il divieto riguarda solo i licenziamenti economici per ragioni legate alle contingenze pandemiche. In Grecia il divieto di licenziamento è contemplato, invece, solo per le aziende la cui attività è stata oggetto di sospensione da parte del Governo. In altri Paesi ancora, il legislatore ha rafforzato le protezioni in favore di determinate categorie di lavoratori. È il caso, ad esempio, della legislazione lussemburghese che limita i licenziamenti dei lavoratori in congedo per malattia o della legislazione francese che ha inasprito i controlli sulla medesima tipologia di licenziamento. Ferma restando la differenza di approccio e le criticità congenite ad una scelta di politica legislativa, è necessario, comunque, dare conto dell’evoluzione normativa del blocco e delle previsioni attualmente in vigore. Dopo un lungo periodo in cui il blocco dei licenziamenti si configurava come un divieto di fatto generalizzato e incondizionato, con arresti interpretativi a volte anche difficilmente conciliabili con il dato testuale delle norme, con il decreto Sostegni del 22 marzo 2021, viene introdotto un sistema “misto”. In particolare, viene previsto il termine del blocco al 30 giugno 2021 per le aziende rientranti nel campo di applicazione della CIGO, e al 31 ottobre 2021 per quelle che rientrano del campo di applicazione di CIGS e FIS, dei Fondi bilaterali alternativi, della CISOA, della Cassa Integrazione operai agricoli. Rispetto a questa seconda categoria di datori di lavoro, vista la scarsità di chiarezza del testo normativo accompagnata da altrettante ondivaghe interpretazioni di fonte governativa, si è posto il tema della portata del divieto, nel senso se questo debba essere riferito ai datori di lavoro che rientrino nel campo di applicazione dei predetti strumenti di sostegno al reddito ovvero se il blocco debba riferirsi alle aziende che effettivamente ne fruiscano. Sotto questo profilo una prima lettura prudenziale del complesso delle indicazioni offerte lascia propendere per la prima ipotesi ovvero quella per cui il divieto sarebbe esteso al 31 ottobre al di là dell’effettivo utilizzo degli strumenti di sostegno al reddito. Il successivo decreto Sostegni bis del 25 maggio 2021, n. 73, ha modificato ulteriormente la normativa, prevedendo che il divieto trovi ancora applicazione dal 1° luglio al 31 dicembre 2021 per datori di lavoro che hanno fruito della CIG-COVID, prevista dal decreto Sostegni, o che si avvalgano della CIGO o della CIGS con esonero dal pagamento del contributo addizionale. Analogamente il divieto deve ritenersi operante, per tutta la durata della misura, per i datori di lavoro che fanno ricorso al contratto di solidarietà difensivo previsto in favore delle imprese che nel primo semestre del 2021 abbiano subito un calo del fatturato del 50% rispetto al primo semestre del 2019 (c.d. mini – solidarietà); nonché, fino al 31 dicembre 2021, per le imprese dei settori del turismo, degli stabilimenti termali e del commercio che si avvalgano dell’esonero contributivo previsto dallo stesso Decreto. Infine, il D.L. 30 giugno 2021, n 99 proroga la CIGO con causale COVID per le aziende dei settori tessile, abbigliamento e pelletteria (individuate coi codici ATECO 13, 14 e 15), estendendo nei confronti delle stesse il blocco, sino al 31 ottobre 2021, a prescindere dall’uso degli ammortizzatori. Viene inoltre prevista la possibilità di accesso ad ulteriori 13 settimane di trattamento straordinario, sino al 31 dicembre 2021, per aziende in situazione di difficoltà economica, con domanda da presentarsi al MISE. In questi casi, vige il blocco dei licenziamenti per un periodo pari a quello di fruizione dei trattamenti in questione. Rimangono invece invariate le eccezioni di cui al «Decreto Sostegni» (cessazione attività di impresa, fallimento, accordo sindacale). Sebbene la normativa relativa al divieto dei licenziamenti si collochi in un contesto contingente, è tuttavia rivelatrice delle criticità che caratterizzano l’approccio alla materia e più in generale al problema occupazionale del Legislatore italiano. Oltre alle ormai ricorrenti frammentarietà e difficoltà interpretative (soprattutto relative all’ambito di applicazione soggettivo del divieto), la sensazione generale è che il Legislatore italiano continui ad affrontare i temi del lavoro contemporaneo con un approccio emergenziale e non strutturale. In particolare, si tende a cristallizzare/bloccare una situazione con il blocco ed anche attraverso l’uso, per certi versi, distorto degli ammortizzatori sociali, sull’errato presupposto che il tempo possa lenire le conseguenze economiche della crisi. Tale approccio omette di considerare che, in larga misura, le ragioni della crisi non risiedono soltanto dal blocco pandemico ma si innestano su un tessuto economico già fortemente provato. In conclusione, il blocco dei licenziamenti non può essere, come non è stato, una risposta ma ha rappresentato solo l’ennesimo approccio miope rispetto alla necessità di un rilancio complessivo del sistema Paese che è auspicabile avvenga con una migliore gestione dei fondi connessi al PNRR. Copyright © - Riproduzione riservata