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Archivio newsLicenziamento per giustificato motivo: quali sono i requisiti per accedere alla procedura conciliativa
A seguito della ripresa parziale dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito, ai propri uffici territoriali, alcuni chiarimenti in merito alla corretta ripresa della procedura obbligatoria di conciliazione, evidenziando, inoltre, i requisiti che i datori di lavoro devono avere per procedere all’iter conciliativo qualora non rientrino nei divieti ancora in vigore. Il datore di lavoro, una volta individuati i lavoratori da licenziare ed il motivo oggettivo, procede ad inviare una comunicazione scritta all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente ed al dipendente. Nell’istanza, dovrà indicare i motivi del licenziamento nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore.
Con lo sblocco parziale dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, si riattiva anche la procedura obbligatoria di conciliazione, prevista dall’art. 7 della l. n. 604/1966, anch’essa vietata nel periodo di interdizione dei licenziamenti collettivi e individuali per motivi oggettivi. Il blocco, dovuto all’emergenza epidemiologica in atto, si è succeduto, nell’ultimo anno e mezzo, in numerose norme: dal decreto Cura Italia del 17 marzo 2020 (D.L. n. 18/2020) sino al decreto Lavoro del 30 giugno 2021 (D.L. n. 99/2021). Nelle ultime disposizioni, però, il divieto di procedere al licenziamento dei lavoratori, laddove ve ne fossero i requisiti oggettivi, è stato subordinato all’assenza di godimento di particolari ed ulteriori ammortizzatori sociali che il legislatore ha messo a disposizione al fine di limitare proprio l’uscita involontaria dei lavoratori dalle aziende. Divieti di licenziamento ancora in vigore Come accennato, si tratta di un riavvio parziale, subordinato alle norme, tutt’oggi in vigore, che vietano per alcuni settori ovvero per taluni datori di lavoro l’avvio di procedure di licenziamento. In particolare, le disposizioni ancora in vigore che trattano la materia, sono presenti nelle seguenti norme: a) art. 8, della l. n. 69 del 21 maggio 2021, di conversione del D.L. n. 41/2021 (decreto Sostegni) - comma 2 - blocco dei licenziamenti fino al 31 ottobre 2021, a prescindere dall'uso dell'ammortizzatore, per le aziende che possono richiedere la FIS o la CIGD. - comma 8 - blocco dei licenziamenti fino al 31 ottobre 2021, a prescindere dall'uso dell'ammortizzatore, per le aziende che possono richiedere la CISOA. b) art. 40, del D.L. n. 73 del 25 maggio 2021 (decreto Sostegni bis) - comma 3 - blocco dei licenziamenti fino al 31 dicembre 2021, per le aziende che possono richiedere la CIGO, esclusivamente per il periodo di trattamento autorizzato e collocato entro tale data. c) art. 40-bis, del D.L. n. 73 del 25 maggio 2021 (decreto Sostegni bis) - blocco dei licenziamenti fino al 31 dicembre 2021, per le aziende che non possono richiedere i trattamenti di integrazione salariale, ai sensi del D.lgs. n. 148/2015, per il periodo di trattamento autorizzato. d) art. 43, del D.L. n. 73 del 25 maggio 2021 (decreto Sostegni bis) - blocco dei licenziamenti fino al 31 dicembre 2021, per le aziende dei settori del turismo, stabilimenti termali e commercio che richiedono lo sgravio contributivo. In alternativa, blocco sino al 31 ottobre 2021, così come previsto dall’art. 8, della l. n. 69 del 21 maggio 2021, di conversione del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (decreto Sostegni). e) art. 4, del D.L. n. 99 del 30 giugno 2021 (decreto Lavoro) - comma 2 - blocco dei licenziamenti fino al 31 ottobre 2021, per le aziende che possono richiedere la CIGO e che svolgono attività economiche ATECO2007, con i codici 13, 14 e 15, a prescindere dall'uso effettivo dell’ammortizzatore. In questa logica, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) è intervenuto - con la nota n. 5186 del 16 luglio - al fine di fornire, ai propri uffici territoriali, alcuni chiarimenti in merito alla corretta ripresa della procedura obbligatoria di conciliazione per i licenziamenti individuali per GMO (motivi economici), prevista proprio dall'art. 7 della l. n. 604/1966, evidenziando i requisiti che i datori di lavoro devono avere per procedere all’iter conciliativo qualora non rientranti nei divieti summenzionati. Ricordo che la procedura è obbligatoria esclusivamente nel caso in cui: 1. l’azienda abbia i requisiti dimensionali previsti dall’ex art. 18, della Legge 300/1970 (più di 15 dipendenti nella singola unità produttiva o nell’ambito comunale o più di 60 nell’ambito nazionale - datori di lavoro agricoli con più di 5 dipendenti), 2. il lavoratore sia in tutela reale e cioè assunto prima del 7 marzo 2015 (data di vigenza delle cd. Tutele crescenti – decreto legislativo n. 23/2015) e che non abbia subìto da questa data una delle seguenti variazioni contrattuali, previste dall’articolo 1, del decreto legislativo n. 23/2015: - l’assunzione sia avvenuta a tempo determinato e la trasformazione a tempo indeterminato sia stata effettuata dal 7 marzo 2015; - l’assunzione sia avvenuta con un contratto di apprendistato e la qualificazione sia stata effettuata dal 7 marzo 2015; - qualora l’azienda, alla data del 6 marzo 2015, sia stata in tutela obbligatoria e successivamente abbia superato tale soglia in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato. La procedura La procedura, che dovrà essere instaurata esclusivamente dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione presso l’Ispettorato territoriale del lavoro, è propedeutica al licenziamento stesso, in quanto costituisce condizione di procedibilità ai fini dell’intimazione del licenziamento. È appena il caso di evidenziare che qualora il licenziamento venga dichiarato inefficace per violazione della procedura di cui all’art. 7, il datore di lavoro si vedrà applicare un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione commessa, tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Questo l’iter procedimentale previsto dalla normativa. Il datore di lavoro, una volta individuati i lavoratori da licenziare ed il motivo oggettivo, procede ad inviare una comunicazione scritta all’Ispettorato del lavoro territorialmente competente (Commissione provinciale di conciliazione) ed al dipendente. Nella comunicazione, il datore di lavoro dovrà dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, indicando i motivi nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore. L'istanza dovrà essere presentata con il nuovo modello, denominato Modulo INL 20/bis, presente sul sito web dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro, in quanto sono presenti ulteriori informazioni che le parti dovranno fornire alla Commissione di conciliazione, al fine di verificare la possibilità di ricorrere alla procedura conciliativa durante l’anno 2021. Allo stesso modo, per le istanze riguardanti le procedure di conciliazione in corso al momento dell’entrata in vigore del decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020), i datori di lavoro interessati dovranno reiterare l’istanza utilizzando il medesimo modello. Una volta ricevuta la richiesta, la Commissione di conciliazione, dopo aver verificato la presenza dei requisiti minimi, convocherà le parti (datore di lavoro e lavoratore) nel termine perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta. Il termine di sette giorni viene rispettato se entro i sette giorni l’ITL spedisce le convocazioni (Cassazione, sentenza n. 22212/2020). La convocazione comprenderà i seguenti dati: 1. Oggetto: procedura di conciliazione obbligatoria per Licenziamento per motivi oggettivi, 2. Le parti in causa, 3. Data e orario di convocazione. Decorso inutilmente il termine dei sette giorni per la convocazione, il datore di lavoro potrà ritenersi libero di comunicare il licenziamento al lavoratore. La procedura si deve concludere entro venti giorni dal momento in cui l’Ispettorato territoriale del Lavoro ha trasmesso la convocazione per l'incontro (data di spedizione). Sarà, comunque, possibile, per le parti richiedere, di comune accordo, un rinvio che potrà andare a “sforare” il limite massimo consentito (venti giorni). Inoltre, in caso di impedimento del lavoratore, legittimo e documentato (anche autocertificabile), a presenziare all'incontro, la procedura potrà essere sospesa per un massimo di quindici giorni. La motivazione potrà consistere in uno stato di malattia o anche in un motivo diverso riferibile alla propria sfera familiare (ad esempio, per assistenza ex lege n. 104/1992). La validazione della sospensione è rimessa alla valutazione della Commissione di conciliazione. La procedura potrà concludersi con una mancata comparizione, un mancato accordo ovvero con un accordo conciliativo che, qualora preveda il recesso del lavoratore, questo potrà qualificarsi come risoluzione consensuale, con la quale il lavoratore potrà richiedere l’indennità di disoccupazione (NASpI). La verifica L’Ispettorato nazionale termina la nota con un invito agli uffici territoriali. Questi, durante la procedura conciliativa dovranno verificare, previa consultazione delle banche dati disponibili, quanto dichiarato dal datore di lavoro in merito alla fruizione degli strumenti di integrazione salariale. Qualora l’organo di vigilanza dovesse evidenziare eventuali incongruenze tra la definizione della procedura conciliativa e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, dovrà valutare una attività di vigilanza connessa propria con la fruizione dell’integrazione salariale e, al contempo, contestare la mancata applicazione dell’Avviso comune, sottoscritto dalle Associazioni datoriali (Confindustria, Confapi e Alleanza cooperative) e le OO.SS (CGIL, CISL e UIL), con il quale si raccomanda l’utilizzo degli ammortizzatori sociali previsti dalla normativa in alternativa proprio alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Copyright © - Riproduzione riservata