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Archivio newsGreen pass nelle aziende. È necessario rispondere ai tanti dubbi
Green pass. Il decreto legge n. 127 del 2021 ha reso obbligatorio, dal prossimo 15 ottobre, il possesso (e l’esibizione) della certificazione verde per l’accesso nei luoghi di lavoro, per i dipendenti pubblici e privati e per gli esterni che svolgono attività lavorativa, formativa o di volontariato nell’ente pubblico e/o azienda. Il provvedimento segna un deciso “cambio di passo” del Legislatore, forse dettato dalla necessità di dare impulso alla campagna vaccinale o forse più pragmaticamente legato alla volontà di cavalcare la ripresa economica in atto. Ma l’applicazione delle norme pone una serie di interrogativi.
Da alcune settimane l’argomento maggiormente dibattuto, a ragione o a torto, fra gli organi d’informazione e fra i commentatori è quello del green pass. Si è discusso per tutto il periodo estivo sulla possibilità di introdurre l’obbligo di green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro. Nelle scorse settimane abbiamo assistito a “fughe in avanti” ed interpretazioni estensive tese ad andare anche oltre il contenuto delle norme per giustificare l’introduzione di un obbligo generalizzato al green pass. Così come sono corsi fiumi di inchiostro con analisi più o meno approfondite sulla copertura costituzionale dell’obbligo della vaccinazione e sulla compatibilità con le libertà individuali, analisi sulla compatibilità delle disposizioni comunitarie sul green pass, sul rapporto con la normativa a tutela dei dati sensibili. Come sempre avviene su temi divisivi sono state sostenute con vigore sia le tesi più restrittive così come quelle opposte. Sotto questo profilo le pulsioni verso delle aree covid free o in un certo senso tali – sebbene condivisibili dal punto di vista della prevenzione sia del contagio che degli effetti di un eventuale contagio – non avevano un preciso riscontro nel dato normativo. Con l’emanazione del nuovo decreto sul green pass sui luoghi di lavoro (decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127), la prospettiva cambia radicalmente. Non si tratta più di confrontarsi con interpretazioni più o meno sostenibili od illuminate ma con un testo normativo che, sebbene come sempre accade, segnato da criticità e potenziali distonie, fissa alcuni punti fermi e consente al mondo del lavoro di avere delle prime coordinate entro cui muoversi. In primo luogo, non può non essere rilevato un deciso “cambio di passo” del Legislatore, forse dettato dalla necessità di dare nuovo impulso alla campagna vaccinale o forse più pragmaticamente legato alla volontà di cavalcare il momento congiunturale favorevole che vede l’Italia protagonista di una ripresa economica oltre le attese o per entrambe le cose, ciò che in ogni caso appare evidente è il mutamento della prospettiva. Con il susseguirsi dei provvedimenti normativi si è assistito ad un cambio di prospettiva. Infatti, mentre nella prima fase della decretazione sul punto il focus era individuato nei fruitori dei servizi che necessitavano del Green pass dimenticando quelli che lo rendevano possibile oggi il punto di osservazione è proprio rivolto ai lavoratori ed alle aziende. Dal punto di vista sistematico ci troviamo di fronte ad un decreto che integra, modificandolo, il decreto Riaperture (decreto-legge n. 52/2021 convertito con la Legge 17 giugno 2021 e successive modifiche ed integrazioni) e, in particolare, introduce gli articoli 9 quinquies, sexies e septies che disciplinano l’obbligo di green pass, nell’ordine, per il lavoro nel settore pubblico, negli uffici giudiziari e nel settore privato. Anche dal punto di vista dell’obbligazione richiesta al lavoratore le norme appaiono chiare laddove sia ai lavoratori pubblici che a quelli privati «è fatto obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19». Così come è definito l’orizzonte temporale delle norme dal 15 ottobre 2021 al 31 dicembre 2021. L’ambito applicativo della norma appare, anch’esso definito nella misura in cui il decreto così come avveniva per il mondo della scuola è esteso, oltre che ai dipendenti, a tutti i soggetti che svolgono a qualsiasi titolo attività di “lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di lavoro … anche sulla base di contratti esterni.” In ultima analisi il legislatore non tiene conto soltanto dei lavoratori diretti ma di tutta la popolazione che svolge a vario titolo la propria attività ed accede ai locali aziendali. In ultima analisi, se alle classiche domande su “chi”, “cosa” e “per quanto tempo”, il testo normativo pare sufficientemente chiaro le maggiori criticità deriveranno dal “come” e con quali conseguenze le verifiche del green pass andranno implementate. In questo quadro senza alcuna pretesa di definitività – anche in considerazione della circostanza che l’entrata in vigore dell’obbligo è fissata al 15 ottobre e che auspicabilmente potranno essere emanate ulteriori norme esplicative – si pongono una serie di interrogativi che proverò ad illustrare. Le norme – a prescindere che si riferiscano al pubblico od al privato – prevedono che il controllo possa essere effettuato anche a campione ma, evidentemente, questo è un dato non definito, allora il quesito da porsi è: quando questo campione può ritenersi satisfattivo dell’obbligazione prevista dalla norma il cui mancato rispetto determina delle sanzioni? La risposta all’interrogativo potrebbe essere data da una percentuale della popolazione che ha accesso al luogo di lavoro ma sul punto non ci sono indicazioni. Probabilmente maggiori indicazioni potranno provenire dalle linee guida annunciate dal Governo per il pubblico impiego ammesso e non concesso che queste siano esportabili nel settore privato. Ancora, è immaginabile che le verifiche da effettuare potranno determinare delle disfunzioni nell’accesso ai luoghi di lavoro dovendo verificare anche il green pass con conseguenze organizzative e sul tema dell’orario di lavoro? Su questo punto probabilmente la tecnologia sarà in grado di fornire delle valide soluzioni per accelerare i processi ma, occorre sempre avere a mente che il DPCM del 17 giugno 2021, operante sul punto attraverso una serie di richiami, pone dei limiti affermando che la verifica dovrà avvenire utilizzando l’applicazione “Verifica C19” ed in ogni caso che il datore di lavoro non potrà al momento della verifica acquisire alcun dato. Sempre in tema di verifica, verrebbe da chiedersi in caso di avaria del sistema, questa potrà essere cartacea? E se sì, il tema da porsi è che il datore di lavoro acquisirà dei dati presenti sul certificato che l’applicazione non gli avrebbe consentito di conoscere. Sempre dal punto di vista organizzativo, da qui al 15 ottobre, data dell’entrata in vigore del dell’obbligo, i datori di lavoro dovranno implementare dei sistemi organizzativi per la verifica, sebbene non previsto, il coinvolgimento sindacale può essere un valore? Anche in questo caso la risposta mi pare possa essere affermativa o potrebbe essere opportuno coinvolgere il Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole contenute nel “Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro” (cui partecipano le RSA e il RLS). Si è scritto molto sui media che il mancato possesso del green pass o la sua mancata esibizione non determina conseguenze disciplinari. Ebbene, se questo è sostenibile innanzi all’ipotesi della carenza verificata all’ingresso del luogo di lavoro, non pare condivisibile nell’ipotesi in cui il dipendente si trovi all’interno del luogo di lavoro e venga verificato privo di green pass. Sotto questo profilo, sono le stesse norme a far salva l’eventuale applicazione di un procedimento disciplinare. Ancora, l’assenza ingiustificata del lavoratore per inosservanza dell’obbligo con conseguente interruzione dell’obbligazione retributiva è una conseguenza necessaria o è possibile utilizzare lo smart working? Anche in questo caso nel silenzio della norma è sostenibile che – fermo restando la compatibilità fra la mansione e lo strumento oltre che con le esigenze organizzative dell’impresa – la prestazione possa essere resa da remoto evitando quindi gli effetti previsti dalla norma. Il tutto evidenziando che non si tratta di un diritto del lavoratore. Questi sono soltanto alcuni dei molti interrogativi che suggerisce la prima lettura del decreto, che va certamente salutato con favore rispetto agli obiettivi ma che pone una serie di interrogativi sulle modalità applicative che da qui al 15 ottobre dovranno essere al centro del dibattito all’interno dei luoghi di lavoro, fra gli esperti e le istituzioni. Copyright © - Riproduzione riservata