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Archivio newsGreen pass: perché vanno semplificati gli adempimenti in azienda
L’introduzione dell’obbligo generalizzato di green pass nei luoghi di lavoro ha comportato per le aziende il dover organizzare, in poco tempo e in mancanza di una normativa chiara e univoca, nuove procedure di controllo sui lavoratori (e non solo) all’ingresso o all’interno dell’azienda. Pur partendo dalla consapevolezza che le soluzioni per alleggerire il carico aziendale si potessero trovare, ora resta fondamentale, in questi tempi complessi, che la nuova normativa ed i controlli vengano applicati con flessibilità, come le stesse FAQ governative e il buon senso, peraltro, suggeriscono. Come, ad esempio?
A partire dal 15 ottobre e fino al 31 dicembre 2021, in coincidenza con la fine – al momento – dello stato di emergenza, è divenuta obbligatoria per tutti i datori di lavoro pubblici e privati e per i lavoratori ivi addetti la certificazione verde COVID-19 (Green Pass). L’obbligo, annunciato da mesi, anche nel quadro della legislazione che ha portato a garantire una progressiva riapertura di molte attività – da quelle di ristorazione a quelle educative, a quelle sportive, agli eventi culturali e ricreativi solo per fare alcuni esempi – ancora mancava con modalità così estese e generalizzate nell’ambito degli ambienti di lavoro, al punto che l’Italia è oggi l’unico paese del mondo occidentale ad averlo introdotto. Pur trattandosi di un obbligo annunciato da tempo, non sono mancate le manifestazioni e le proteste alla vigilia della scadenza così come le molte voci a favore e a sfavore di una misura che andrebbe vista nella sua complessità amministrativa, prima che per le sue implicazioni giuridico-costituzionali di non poco conto. Infatti, le aziende (e gli enti) del settore pubblico e le aziende del settore privato hanno dovuto adottare una serie di procedure e di adempimentidiretti a gestire l’organizzazione delle verifiche degli accessi al luogo di lavoro così come imposto dal D.L. n. 127/2021, oggi in fase di conversione in Parlamento. Come se non bastassero già le difficoltà legate alla gestione della ripresa economica – certo in parte agganciata alla campagna vaccinale, ma non solo – le aziende si sono trovate quindi costrette a definire in poco tempo una serie di nuove attività. Molto si è detto in vista della scadenza del 15 ottobre, ma forse se ne è valutata troppo poco la sua portata in termini amministrativi. Tra i cori di coloro che si sono dichiarati favorevoli si sono enfatizzati gli aspetti più evidenti, ossia la necessità di mantenere le riaperture in sicurezza; per i detrattori, invece, la necessità di guardare in primo luogo al diritto al lavoro, “compromesso” dall’obbligo. Poco ci si è soffermati, invece, sull’aspetto procedurale impattante sulle aziende, che forse poteva anche essere attenuato. Come? Ad esempio, allungando la validità del green pass a 72 ore (come peraltro avviene in Francia) oppure consentendo l’utilizzo dei tamponi salivari rapidi direttamente presso le imprese, come avviene in Germania e come opportunamente richiesto anche da talune organizzazioni imprenditoriali (ad esempio Confindustria Emilia – Romagna). Certamente sarebbe stato più semplice introdurre l’obbligo vaccinale per legge, come è stato fatto per il settore medico-ospedaliero con il DL. 44/2021, ma troppi sarebbero stati i dubbi di costituzionalità, come sollevati da diversi giuristi, in relazione all’utilizzo di un farmaco ancora in via di sperimentazione, di cui non si conoscono gli effetti a medio e lungo termine e che comunque ha già provocato effetti collaterali - anche mortali - seppure limitati. Elemento questo che, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, impedisce l’attuazione generalizzata dell’obbligo vaccinale, proprio per effetto del possibile sbilanciamento dell’interesse collettivo a danno dell’interesse del singolo, il quale non può mai soffrire un danno permanente (come il decesso) seppure in nome dell’interesse della collettività. Il legislatore invece ha introdotto l’obbligo generalizzato di Green pass nei luoghi di lavoro e una procedura di controllo che ha tenuto impegnati aziende, consulenti e operatori per quasi un mese, in vista della scadenza del 15 ottobre, data di entrata in vigore dell’obbligo. Il tutto, peraltro, senza una gran chiarezza in termini di cosa effettivamente dovesse essere fatto, tanto che da ogni parte si sono moltiplicati – anche sulla scorta delle FAQ diramate a più riprese dal Governo e dal Garante della Privacy – vademecum, linee guida, promemoria, pillole, approfondimenti etc. che danno il segno di una normativa ancora in fase di definizione e assestamento. Se infatti facciamo un passo indietro e partiamo ad esempio da giugno 2021, dai primi provvedimenti legati al Green Pass, le scelte effettuate hanno visto di fatto allargare sempre di più la platea dei destinatari dell’obbligo di Certificazione Verde COVID-19 (e questo è certamente legato alle valutazioni connesse alla curva epidemiologica), ma con la necessità di volta in volta di prevedere e definire “aggiustamenti” in corsa. L’ultimo di questi provvedimenti - il DPCM approvato il 12 ottobre - identifica una serie di linee guida per la gestione dei controlli all’ingresso consentendo, ad esempio per il settore privato, di procedere ad integrare il sistema di lettura e verifica del QR code del certificato verde nei sistemi di controllo agli accessi fisici, inclusi quelli di rilevazione delle presenze, o della temperatura. In sede, poi, di emanazione del decreto legge dedicato agli accessi alle attività culturali, sportive e ricreative (D.L. n. 139/2021) - il cui scopo è la revisione della capienza dei luoghi di intrattenimento sportivo, culturale e ricreativo - si è dovuti intervenire precisando che il datore di lavoro può richiedere anche in anticipo le informazioni relative al possesso della certificazione verde, al fine di garantire una efficace programmazione del lavoro (nuovo art. 9octies D.L. n. 52/2021 convertito in Legge n. 87/2021). E questa non è che la punta dell’iceberg di una normativa (forse nemmeno più emergenziale) in cui le imprecisioni, le lacune, le difficoltà interpretative sulle quali ci si è dovuti impegnare strenuamente a valle di questi 18 mesi così complicati, pesanti e difficili, si contano ormai a decine, con ricadute per aziende e lavoratori. Fondamentale in questi tempi complessi è che le aziende applichino la nuova normativa ed i controlli che la stessa impone con intelligenza e flessibilità, come le stesse FAQ governative e il buon senso peraltro suggeriscono. Ad esempio, consentendo l’ingresso anche ai lavoratori il cui green pass scada nel corso della giornata, senza alcun impatto sanzionatorio, ovvero effettuando il controllo a campione nella misura del 20% anche a rotazione sul periodo o concedendo le ferie arretrate ai lavoratori che le richiedano, così evitando atteggiamenti inutilmente repressivi. E prima mettiamo a punto nuove logiche e strategie organizzative di inclusione - come ad esempio il vero lavoro da remoto, reso oggi possibile da una serie di interventi infrastrutturali divenuti fondamentali -, meglio saremo in grado di resistere a nuovi più o meno prevedibili scossoni che si dovessero nuovamente verificare in futuro, così da trovarci meno impreparati. Copyright © - Riproduzione riservata