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Archivio newsGli ammortizzatori sociali che verranno, anche dal PNRR. Cosa deve cambiare
A cosa devono servire gli ammortizzatori sociali? A permettere al lavoratore di trovare un nuovo lavoro o di potersi ricollocare nel mondo della selezione e dell’outplacement in maniera concorrenziale. I periodi di utilizzo degli ammortizzatori non dovrebbero dare sussidi, ma dignità lavorativa. Quindi, gli ammortizzatori sociali devono essere ripensati completamente, cercando di trasformare uno strumento di crisi in uno strumento di opportunità. In questo contesto dovrà essere fondamentale il ruolo dei centri dell’impiego, a cui è richiesto un cambio culturale: devono diventare un motore potente per l’economia e un terreno di coltura delle competenze; perché le persone si ricollocano soprattutto se hanno competenze che vanno a sovrapporsi alle richieste delle aziende. E il PNRR in questo può essere un potente driver!
Siamo ancora in un momento di crisi, in cui tutti gli strumenti di welfare, delle politiche sociali e del supporto ai lavoratori dovranno rinnovarsi. Lo abbiamo già affermato negli editoriali dei mesi scorsi quando abbiamo parlato del welfare e delle politiche attive del lavoro. Per completare il quadro, che si presenta come un trittico, è necessario affrontare il tema del supporto ai lavoratori nei momenti di crisi, ovvero quello degli ammortizzatori sociali. Il trittico comporta una scelta o, meglio, ci pone un dilemma: preoccuparci delle nuove generazioni e del loro inserimento nel mondo del lavoro, ovvero preoccuparci di coloro che vengono espulsi dal mondo del lavoro o attraversano un momento di crisi aziendale irreversibile. Dilemma legato al fatto che non abbiamo risorse infinite. Il mix tra i due lati della scelta deve essere trovato perché se le risorse che abbiamo, PNRR compreso, non sono illimitate, per garantire la pace sociale dobbiamo assicurare un bilanciamento tra le esigenze di chi è disoccupato e quelle di chi è inoccupato. E’ chiaro ed evidente che le nostre politiche sociali dovranno far quadrare il cerchio tra dare l’opportunità ai giovani di lavorare per la prima volta (il problema degli inoccupati) e dare la possibilità ai lavoratori che hanno perso il lavoro di occuparsi (disoccupati). Ora ci occupiamo di coloro che utilizzano gli ammortizzatori sociali che, lo si ricorda, possono essere distinti in tre specie: gli aiuti per le crisi momentanee e risolvibili, gli aiuti per le crisi non a lieto fine ed, infine, la disoccupazione (oggi Naspi). Sono tre strumenti che hanno finalità diverse, ma che risultano accumunati da un dato: la loro fonte economica è quella del pagamento dei contributi da parte delle aziende, a cui si aggiunge il cosiddetto ticket di licenziamento, pagato sempre dalle aziende. Unica esclusione, a parte gli ammortizzatori Covid, è la cassa integrazione in deroga. In soldoni, per la maggior parte dei casi non vi è l’intervento dello Stato, almeno dal punto di vista teorico. Quindi, le risorse da introdurre all’interno del cambiamento non sono illimitate, ma sono funzione del premio pagato, magari, con una piccola aggiunta di welfare (fiscalità generale). Preso atto di questo, e volendo affrontare il tema della loro evoluzione, una domanda sorge spontanea: quale è la loro vera natura? La loro natura è indicata dal nome attuale della disoccupazione, ovvero Naspi acronimo che, esploso, riporta Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego. In realtà sono assicurazioni: un’azienda paga un premio e, in base al premio versato, l’assicurato (lavoratore) riceverà un indennizzo. Entrando poi nello specifico le caratteristiche (in estrema sintesi) dei tre strumenti sono queste: la cassa integrazione ordinaria e l’assegno di solidarietà aiutano le aziende ad ammortizzare le crisi transitorie, mentre la cassa straordinaria e gli assegni straordinari aiutano ad ammorbidire l’impatto della cessazione dell’attività. La disoccupazione, invece, da’ un supporto economico per un massimo di 24 mesi ai lavoratori che sono stati licenziati o che si sono dimessi per giusta causa. E qui dobbiamo porci un’ulteriore domanda: a cosa debbono servire gli ammortizzatori sociali?, o, ancora meglio, a cosa debbono servire gli ammortizzatori sociali prossimi o post cessazione del rapporto di lavoro? Partiamo da una considerazione, frutto del lavoro e dell’osservazione di tante crisi, ossia che oggi l’utilizzo degli ammortizzatori di questo tipo (cassa integrazione straordinaria, disoccupazione e strumenti simili) sono “senza una visione”. Certamente una considerazione forte, ma lo spiego. Sono senza visione perché si occupano solo della parte economica e non della dignità del lavoro. Gli ammortizzatori sociali di questo tipo dovrebbero permettere al lavoratore di trovare un nuovo lavoro o di potersi ricollocare nel mondo della selezione e dell’outplacement in maniera concorrenziale. I periodi di utilizzo degli ammortizzatori non dovrebbero dare un sussidio, ma dovrebbero dare una speranza e puntare a ridare la dignità lavorativa, costruendo la sua utilità sociale dal punto di vista dell’impiego. Come si può realizzare tutto questo? Ragionando su un “mantra” che abbiamo già utilizzato anche per le politiche attive del lavoro: le competenze. A questa deve però aggiungersi, quale ulteriore elemento, il valore sociale che può assumere il periodo in ammortizzatore sociale, ne parleremo da ultimo. Un lavoratore dovrebbe essere aiutato a costruire nuove competenze od aiutato a scoprire le sue, e il periodo di cassa integrazione straordinaria, o simili, dovrebbe rappresentare un periodo di costruzione di una nuova o rinnovata professionalità, non un periodo in cui il tempo deve passare nella speranza che si trovi un lavoro. Gli ammortizzatori sociali devono diventare un’opportunità. Ricordiamoci che le persone si ricollocano soprattutto se hanno competenze che vanno a sovrapporsi alle richieste delle aziende. Se mettiamo al centro l’aggiornamento delle competenze, anzi l’aggiornamento reale delle competenze, intendendo con ciò quello allineato alle richieste dal mercato, possiamo sperare di ricollocare le persone. Questo si può e si deve fare attraverso percorsi mirati che, mappando le necessità del territorio o dei territori limitrofi, arrivino a formare o riformare le persone che già hanno esperienza lavorativa. In questo caso i servizi per l’impiego debbono divenire un motore potente per l’economia. E’ ora che l’investimento che la collettività fa nei centri per l’impiego inizi a produrre un significativo valore aggiunto. Il PNRR in questo può essere un potente driver. Potemmo, quindi, avere anche formazione on the job, ossia una sorta di apprendistato in cui queste persone aggiornano le competenze, lavorando nelle aziende e senza che le aziende che li ospitano abbiano un costo godendo del regime degli ammortizzatori. Ciò realizza un win to win, le aziende ospitanti avrebbero manodopera per sviluppare il business ed i lavoratori imparerebbero. Cosa si può immaginare? Semplicemente che, mappati i bisogni del territorio attraverso percorsi di formazione mirati, le persone vengano formate in base alla loro esperienza lavorativa per altri od ulteriori profili professionali, non solo in aula, ma, come abbiamo detto, on the job. Il ruolo dei centri per l’impiego in questo campo deve incentrarsi, dapprima, sul bilancio delle competenze delle persone che usano gli ammortizzatori sociali e, successivamente, sul ruolo dei formatori e degli aggiornatori delle competenze teoriche e pratiche, coordinando magari aula ed esperienza sul campo. E se le persone non riescono a reimpiegarsi durante la formazione? Questo, in realtà, è un problema che genera un’altra opportunità, visto che tali persone potrebbero continuare a maturare e consolidare la loro professionalità, utilizzando le loro competenze per la collettività. Cerchiamo di capire meglio: coloro che sono stati inseriti nel percorso di aggiornamento e che non si sono reimpiegati dovrebbero essere utilizzati nell’attività pubblica secondo le loro competenze a supporto della collettività. Non sto parlando di lavori socialmente utili, ma di attività che supportino lo Stato e i cittadini, come se fossero dei tempi determinati. Lo Stato dovrebbe, solo e per etica, integrare economicamente le somme (portando le retribuzioni al livello minimo previsto dal CCNL) di cui sono percettori ed utilizzarli per la collettività. Immaginate un addetto alle vendite che viene utilizzato negli uffici di relazione con il pubblico, o un metalmeccanico o un edile utilizzati nella manutenzione delle scuole. Un plus che si potrebbe ipotizzare, per la persona inserita in questo contesto, è quello di aggiungere la possibilità di ottenere una precedenza/priorità nelle assunzioni pubbliche del settore dove hanno operato. In tal modo si andrebbero ad assumere persone che hanno un’esperienza nel campo e, di conseguenza, possono diventare produttive. Questa idea nasce pensando a ciò che è successo, in parte, nell’ultima immissione di cancellieri esperti nei Tribunali e nelle Procure italiane. In moltissimi erano iscritti agli Ordini degli Avvocati. L’immissione delle loro competenze produrrà sicuramente un aumento significativo della qualità dei servizi nel comparto giustizia. Dobbiamo imparare ad utilizzare al meglio le risorse che abbiamo: è una questione di sostenibilità e di sviluppo, ancorché etica e sociale. Utilizzare al meglio il capitale umano dovrebbe essere un carattere distintivo di ogni collettività e a questo ci chiamano i 17 goal dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile! Copyright © - Riproduzione riservata