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Il tirocinio illuminato dalla legge di Bilancio 2022: tra paure e speranze

Il tirocinio per migliorare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro e soprattutto per permettere di trovare una professione che porti benessere. Ma anche per acquisire consapevolezza del matching tra le proprie aspirazioni e il mondo del lavoro. Dovrebbe essere questo il futuro sviluppo dell’istituto che, tuttavia, non sembra trovare una prima risposta nella legge di Bilancio 2022, che propone una rivisitazione più orientata all’eliminazione del rischio relativo ai possibili abusi che a una vera riqualificazione del tirocinio. Serve una visione nuova e diversa del tirocinio, alla luce del percorso di avvicinamento tra scuola e lavoro, proponendolo quale strumento di esperienza per gli inoccupati.

La legge di Bilancio 2022 (l. n. 234/2021) si occupa, tra le tantissime cose, della rivisitazione dei tirocini. Un tema che sembra essere poco coerente con il tipo di legge di cui ci occupiamo: se ne parla nei commi da 720 a 726. Dal tenore del testo normativo si percepisce che, oltre al timore per le possibili patologie dell’istituto, la preoccupazione principale del legislatore è quella di far diventare quest’ultimo una porta di ingresso per il lavoro. Si cerca di evitare gli abusi, anziché caratterizzarlo e dargli un senso ed un significato tali da renderlo uno strumento utile ai fini dell’esperienza verso il mondo del lavoro. In sostanza, dalla legge appena emanata promanano, da un lato, la paura che lo strumento venga utilizzato in maniera patologica e, dall’altro, la consapevolezza di non poterlo controllare. Questi sono due mali che purtroppo attanagliano tutta la nostra legislazione, e direi non solo. La norma, per come è scritta, porterà probabilmente a far scomparire il tirocinio, per il semplice fatto che, facendolo diventare uno strumento diverso che va a duplicare cose già esistenti (gli apprendistati), non avrà ragione di esistere, soprattutto se, successivamente, lo caricheremo di burocrazia e di regole stringenti. Pertanto, il rischio di questo ennesimo intervento legislativo è, ancora una volta, quello di continuare a duplicare o rendere simili gli strumenti ad oggi già esistenti, non preoccupandosi di valorizzare le differenze e, soprattutto, senza immaginare un contesto e un percorso. Invece, il tirocinio in sé, ad avviso di chi scrive, rappresenta uno strumento estremamente utile. Ragion per cui, vorremmo aiutare il legislatore a superare le paure. A tal fine gli proporremo alcune riflessioni sul valore del percorso formativo di alternanza tra studio e lavoro, finalizzato all'orientamento e alla formazione professionale, anche per migliorare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Il primo passo da fare, dunque, è quello di cercare di mappare gli istituti che abbiamo a disposizione oggi nel campo del percorso formativo, che parte dalla scuola e arriva al lavoro: nella nostra “cassetta degli attrezzi” abbiamo alternanza scuola lavoro, tirocinio curriculare, tirocinio extra curriculare e apprendistato. Un set di strumenti che, se correttamente valorizzati e armonizzati, potrebbero dare un forte impulso alla formazione, divenendo una cerniera tra scuola ed azienda o, addirittura, un cammino capace di trasformare le competenze in esperienze. Detto questo, però, andiamo al concreto per offrire degli spunti, degli stimoli che aiutino il legislatore e la Conferenza Stato Regioni a dare un’impostazione diversa al tirocinio, senza snaturarne il significato e lo scopo. Per questo particolare istituto, le chiavi di volta sono due: la sua natura di percorso formativo all’interno del cammino che dagli studi porta al lavoro, e il suo essere strumento atto ad agevolare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. La sua natura di percorso formativo. Qui una piccola rivoluzione, perché dovrebbe diventare non solo un momento formativo, ma anche uno step all’interno di un percorso che partirebbe dall’alternanza scuola lavoro, e, passando attraverso il tirocinio curriculare, finirebbe per approdare all’apprendistato. Se lo utilizzassimo in questo contesto, riusciremmo a creare un set di regole che permetterebbero di limitare gli abusi. Sicuramente, un elemento essenziale di questa costruzione è che il tirocinio sia uno strumento che venga posto dopo il termine degli studi, lasciando all’alternanza scuola lavoro e al tirocinio curriculare il compito di fornire esperienze all’interno dell’iter scolastico. In quest’ottica al tirocinio curriculare si potrebbe dare un nome diverso, per caratterizzarlo in maniera esplicita. Dovremmo poi distinguere, anche verbalmente, il tirocinio curriculare da quello che è oggi il tirocinio extracurriculare, dando al primo il nome di addestramento. Abbiamo scelto questo termine ricordando che il tirocinio curriculare è un periodo strettamente interrelato con il percorso scolastico, mentre il tirocinio extra curriculare attiene ad una esperienza più vicina al lavoro. In questa visione, l’addestramento si preoccupa di far vedere a chi studia i riflessi pratici delle nozioni che impara, o ne aiuta la visione sistemica in funzione delle conoscenze che si stanno apprendendo. Il tirocinante invece è colui che inizia a sperimentare le proprie conoscenze alla luce dell’organizzazione, cercando di capire se l’organizzazione in cui si vive è quella che corrisponde alle proprie peculiarità e scelte. Così, terminata l’università, la scuola superiore od un ITS, il tirocinio (ora extracurriculare) deve essere un’esperienza formativa che ti permetta di conoscere il mondo del lavoro. Qui un altro piccolo inciso. Noi pensiamo al lavoro come ad un’attività che si fa indipendentemente dalle proprie caratteristiche e vocazioni, che fa parte delle necessità e non del benessere. Niente di più sbagliato. Il tirocinio è importante perché deve aiutare non solo a trovare un lavoro per sopravvivere, ma anche e soprattutto a far trovare una professione che porti benessere. Deve, in sostanza, permettere di prendere consapevolezza del matching tra le proprie aspirazioni (sostenute dal proprio cv) e il mondo del lavoro che un’organizzazione propone. E’ il momento in cui l’ex studente inizia a rapportarsi con la “produzione” e, al contempo, verifica se le proprie competenze (hard e soft) siano in linea con i bisogni dell’organizzazione in cui è inserito, appurando altresì se il proprio cv e le proprie potenzialità siano conformi alla job description richiesta e le caratteristiche etiche (oseremmo dire deontologiche) dell’organizzazione in cui ha scelto di inserirsi. Ed ecco, dunque, un primo elemento pratico importante: il tirocinio dovrebbe essere svolto solo dagli inoccupati (chi non ha mai avuto un’occupazione). In tal modo, difatti, mentre, da un lato, si comprimerebbero gli abusi, dall’altro, invece, tale strumento verrebbe posto a giusto completamento della formazione ricevuta nella scuola, facendo fare un altro passo avanti al percorso partito con l’alternanza scuola lavoro (scuole superiori e professionali) e, poi, proseguito con l’addestramento (ora tirocinio curriculare) all’interno degli ITS o dei percorsi universitari di primo e secondo livello. Tuttavia, nel tirocinio vi dovrebbe essere, quale elemento distintivo rispetto all’addestramento e all’alternanza, proprio la formazione, come richiesto dalla legge di Bilancio 2022. Infatti, si dovrebbe giungere ad una definizione di livelli essenziali della formazione, che prevedano, da una parte, un bilancio delle competenze all'inizio del tirocinio e una certificazione delle competenze alla sua conclusione, e, dall’altra, un compenso correlato agli effetti della formazione (qui non entriamo nel quantum). In definitiva, si tratterebbe di creare un percorso tale da permettere, attraverso esperienze “adiacenti”, un cammino che rappresenti un continuum senza rotture o salti quantici. Questo percorso potrebbe portare anche alla fusione tra l’addestramento (ora tirocinio curriculare) e l’apprendistato di primo livello e terzo livello, costruendo un’esperienza finalizzata alla conclusione del proprio percorso scolastico. Il termine apprendistato dovrebbe, quindi, identificare un solo tipo e una sola esperienza, andando ad essere successivo al tirocinio. La differenza sarà nello scopo di ciascuno: il tirocinio sarà caratterizzato dalla reciproca conoscenza, mentre l’apprendistato sarà frutto di una scelta e finalizzato alla formazione delle hard e delle soft skill necessarie all’esperienza lavorativa. Potremmo spingerci a dire che un tirocinante che proseguirà il suo iter formativo con un contratto di apprendistato andrà a proseguire quello del tirocinio. Creeremmo così un continuum formativo di significato importante. La prospettiva che qui si va a delineare, infatti, è quella della formazione e del poter creare una expertise, frutto di un percorso che ha il proprio fulcro nella trasformazione di conoscenze in competenze. A tal proposito si rammenta che, se una azienda trova le competenze che cerca, difficilmente se le farà sfuggire, soprattutto se ha speso tempo e denaro per formarle. Riassumendo: alternanza e addestramento nel periodo scolastico, tirocinio per gli inoccupati e apprendistato fino a 29 anni (compiuti) per coloro che hanno terminato le superiori, frequentato un Its o hanno conseguito una laurea triennale, oppure 32 anni (compiuti) per coloro che hanno ottenuto una laurea magistrale. Speriamo di aver proposto stimoli idonei a dare una nuova vita al tirocinio, una vita che sia, però, uguale in tutte le regioni d’Italia. Infatti, è assurdo che un ragazzo o una ragazza del Piemonte possano essere tirocinanti diversi da quelli della Basilicata, perché le leggi sono diverse. Ma di quest’ulteriore aspetto si potrà parlare in una prossima occasione. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2022/01/15/tirocinio-illuminato-legge-bilancio-2022-paure-speranze

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