News
Archivio newsCodice della crisi d’impresa e c.p.p.: per le riforme diventa centrale il ruolo del professionista
Il 2022 vedrà l’entrata in vigore di importanti riforme d’interesse economico-imprenditoriale e sociale, tra cui il codice della crisi d’impresa e la riforma del codice di procedura penale. Un aspetto non marginale delle due riforme è rappresentato dai punti di intersezione tra i due complessi normativi che si stanno delineando. E il ruolo dei professionisti si conferma delicato e insostituibile, anche perchè l’emergenza Covid ha posto in luce nuove esigenze ed esasperato antichi problemi. Si attende una risolutiva presa di posizione da parte del legislatore.
Il codice della crisi dell’impresa e la riforma del codice di procedura penale dovrebbero entrare in vigore nel corrente anno. Il primo deve tener conto delle indicazioni provenienti dalla Direttiva comunitaria 2019/1023, il cui obiettivo è massimizzare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione e il miglioramento delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza (anche in funzione di contenere le ricadute economiche e sociali, in primis sui lavoratori e i creditori). La riforma, anch’essa settoriale, delle regole che disciplinano il rito penale mira a coniugare i tempi del processo con l’efficacia dell’accertamento (e dell’esclusione) della responsabilità: in questo caso, non vi è una specifica Direttiva UE cui dare attuazione, ma una pluralità di inputs comunitari (es., in tema di tutela delle vittime, in tema di presunzione di innocenza, in tema di contrasto a reati particolarmente odiosi o di forte ricaduta sociale, in tema di criminalità d’impresa o transnazionale) che esigono non solo un intervento settoriale, ma un coordinamento con l’esistente, tenendo conto che ogni profilo di novità va armoniosamente inserito nel vigente codice di rito penale che ha superato il trentennio e che arranca nel fornire le giuste risposte a quanti sono coinvolti, loro malgrado, in un processo penale e attendono una pronta ed adeguata risposta alla loro domanda di giustizia. In questa direzione importanti sollecitazioni giungono periodicamente dalla Corte costituzionale o da circoscritti interventi legislativi (si pensi al riconoscimento di un contributo statale a rifusione delle spese legali sostenute dall’imputato poi assolto, una forma di solidarietà economica a chi è stato vittima del processo che sottolinea, a ben vedere, la distanza - a volte siderale - tra il giusto processo voluto dall’art. 111 Cost. e dalla convenzione EDU e quello attualmente assicurato dalla struttura giudiziaria). Un aspetto, certo non marginale, delle due riforme in gestazione è rappresentato dai punti di necessaria intersezione tra i due complessi normativi che si stanno delineando: il codice della crisi dell’impresa ha anche - come logico - una precisa rilevanza penale e, quindi, non è indifferente ai meccanismi processuali che dovranno accertare condotte illecite e consentire di sanzionare i responsabili; da parte sua, la disciplina processuale penale si è già posta il problema delle crisi aziendali causate da procedimenti penali e ha ritenuto di assicurarsi la continuità produttiva pur in presenza di provvedimenti di cautela reale (si pensi all’art. 104 bis disp. att. c.p.p. pluriemendato e all’art. 53 del D.Lgs. n. 231/2001 - specificamente adattato al procedimento per la responsabilità degli enti - nonché all’art. 3 della legge n. 199/2016, che supera la logica del sequestro dell’azienda come atto giudiziario “impeditivo” della prosecuzione dell’attività imprenditoriale in presenza di procedimenti per caporalato). In altra occasione, su queste pagine, si è sottolineato che la riforma Cartabia (dal nome del Guardasigilli in carica) avrà ricadute inevitabili, tra l’altro, sulla normativa “fallimentare” in quanto l’art. 1, comma 3, della legge delega legittima il delegato a tutte le modifiche “non direttamente investite dai principi e criteri direttivi di delega”, rese necessarie dall’esigenza di conformare l’esistente alla nuova disciplina “operando le necessarie abrogazioni e adottando le opportune disposizioni transitorie”, ma - al contempo - non precisa le linee di sviluppo che dovranno essere seguite (cfr., dello scrivente, Processo penale al restyling: prospettive e rischi della riforma Cartabia) e non consente di capire se qualche intervento verrà a restringere spazi oggi dominio incontrastato della giurisprudenza anche “creativa”. Ad esempio, vi è l’eterno problema della bancarotta preferenziale che, nella pratica giudiziaria, viene a coinvolgere regolarmente l’extraneus nonostante il tenore letterale della norma (oggi art. 216, comma 3, L.F., domani art. 322 codice della crisi dell’impresa) configuri come soggetto attivo del reato il solo imprenditore “fallito” che viola la par condicio creditorum; vi è il non meno delicato problema dei rapporti tra compensazione volontaria (art. 1252 c.c.) e compensazione di cui all’art. 56 L.F., la cui peculiarità tende a scomparire nel momento in cui si ravvisa nella compensazione “fallimentare” quella violazione della parità di trattamento tra i creditori che il legislatore evidentemente esclude laddove la parte sia - al contempo - debitore e creditore verso l’altra (da ultimo, cfr. Proc. Gen. presso la C. Appello di Trieste, 12 ottobre 2021, B. e C.). Un ultimo profilo concerne il ruolo dei professionisti nelle procedure generate dalla crisi o dall’insolvenza delle imprese: da un canto, sono chiamati a svolgere un ruolo essenziale di “esperti” (D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito in legge con modifiche); dall’altro, agendo nella consapevolezza di una crisi che può degenerare (o è già degenerata) in insolvenza, si sentono opporre - in casi per fortuna non frequentissimi - che anche i loro onorari devono soggiacere alla regola della parità di trattamento propria dei creditori (ma sul punto potrebbe incidere positivamente l’art. 324 del codice della crisi dell’impresa); infine - in un caso nel quale un lodo arbitrale ha riconosciuto il diritto agli onorari in una determinata quantificazione - il professionista, pagato dall’imprenditore, si è visto condannare per bancarotta per distrazione sul presupposto di essere stato pagato “troppo” (Cass., Sez, I pen., sentenza n. 538/2022). In questa prospettiva, è certamente corretto che l’accertamento di ogni credito vantato nei confronti del soggetto fallito avvenga nell’ambito della procedura concorsuale e, quindi, nel rispetto della par condicio (da ultimo, cfr. GUP Milano, dott.ssa Scudieri, 20 dicembre 2021) e che il processo penale a carico della persona fisica fallita non diventi l’escamotage per ottenere dal fallimento, citato in veste di responsabile civile, quanto non consentito dall’art. 52 L.F. e cioè il pagamento di singoli debiti al di fuori della procedura concorsuale. La doppia riforma in itinere si presta alla necessaria riflessione e ad una risolutiva presa di posizione da parte del legislatore. Copyright © - Riproduzione riservata