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Archivio newsPrevenzione anti-Covid: la responsabilità del datore di lavoro non è delegabile
La Corte di Cassazione, con la sentenza della terza sezione penale n. 9028 del 2022, ha fornito importanti indicazioni sull’individuazione delle responsabilità del datore di lavoro nell’ambito delle condotte riferite alla valutazione del rischio connesso alle malattie trasmissibili a causa del Covid-19. Per la Suprema Corte non è in discussione l'eventuale responsabilità in capo al datore di lavoro in caso di eventi dannosi successivi alla nomina del R.S.P.P., o alla validità ed efficacia del DVR. Inoltre, nel caso di specie, le condotte omesse costituiscono adempimenti previsti in materia di sicurezza, non delegabili.
Nel leggere la sentenza n. 9028 depositata dalla Cassazione Penale il 17 marzo 2022, è stato impossibile sfuggire al ricordo delle animate e tuttora istruttive discussioni esplose sin dagli inizi del periodo emergenziale circa la sussistenza dell’obbligo di inserire nel D.V.R. la valutazione del rischio Covid-19. Taluni - tra i primi la Regione del Veneto, Area Sanità e Sociale Direzione Prevenzione, Sicurezza alimentare, Veterinaria- hanno affermato che, in uno scenario in cui prevalgono esigenze di tutela della salute pubblica, non si ritiene giustificato l’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi in relazione al rischio associato all’infezione da SARS-CoV-2 (se non in ambienti di lavoro sanitario o socio-sanitario, o comunque qualora il rischio biologico sia un rischio di natura professionale, già presente nel contesto espositivo dell’azienda). Altri non hanno mancato di evocare -non so se tra le fonti del diritto- la “prudenza”. Ovvero di riporre ogni speranza in futuri Protocolli tra le parti sociali. Quasi che siffatti Protocolli -quelli di oggi, quelli di domani- fossero di per sé in grado di modificare o derogare il TUSL n. 81/2008. E senza tener presente che, correttamente, gli stessi Protocolli già adottati, nella premessa, stabiliscono che il protocollo contiene misure che seguono e attuano le prescrizioni del legislatore. Altri ancora hanno denunciato un pedante atteggiamento formalistico da azzeccagarbugli, del tutto fuori luogo in questa circoscritta fase emergenziale, per trovare soluzioni di buon senso e tecnicamente compatibili con le reali esigenze di imprese e lavoratori e messo in guardia contro chi in questo momento sottolinea il prioritario dovere del datore di lavoro di aggiornare il documento di valutazione del rischio di cui al testo unico sulla salute e sicurezza nel lavoro. A questo proposito, si è pure rilevato che nell’art. 29, comma 3, D.Lgs. n. 81/2008, le ipotesi che danno origine a un obbligo di aggiornamento sono quattro: - modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro che impattano sulla salute e sicurezza dei lavoratori; - evoluzione tecnologica che consenta una migliore prevenzione; - verificazione di infortuni significativi; - esiti della sorveglianza sanitaria che evidenzino la necessità di un aggiornamento del DVR, e che nelle causali per la rielaborazione del DVR non sono quindi indicate circostanze ambientali estranee ai rischi specifici aziendali come è l’ipotesi di una epidemia o potenziale pandemia. Il più imbarazzante è il tentativo operato da altri di sottrarre la tutela della sicurezza e salute durante l’emergenza coronavirus all’area di applicabilità del D.Lgs. n. 81/2008, e di ricondurla sotto il mantello delle norme emergenziali, senza accorgersi già allora, ma ancora ultimamente, che siffatte norme puniscono il mancato rispetto delle misure di contenimento, “salvo che il fatto costituisca reato”, ed è noto che per ora gli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 81/2008 sono generalmente presidiati da sanzioni penali. Emblematica in questa scia una nota dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche: “I controlli nei luoghi di lavoro finalizzati alla verifica della applicazione delle misure anti-contagio possono avvenire solo previo raccordo con la Prefettura del territorio di riferimento. Pertanto casistiche quali: 1. segnalazioni /esposti vari, con esclusivo riferimento alla scarsa o mancata adozione delle misure di sicurezza anti-contagio e pervenuti direttamente ai Servizi SPSAL; 2. riscontri di insufficiente o mancata adozione delle misure di sicurezza anti-contagio constatati durante sopralluoghi in vigilanza ordinaria di competenza diretta dei SPSAL; dovranno essere inoltrati e/o segnalati alla Prefettura stessa in attesa di un'eventuale richiesta da parte di quest'ultima di valutazione/approfondimento del SPSAL”. Fuorviante fu, soprattutto, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro di un tempo in una nota del 13 marzo 2020 n. 89: “sembra potersi condividere la posizione assunta dalla Regione Veneto nel senso di ‘non ritenere giustificato l’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi in relazione al rischio associato all’infezione’ (diverso è il caso degli ambienti di lavoro sanitario o socio-sanitario o qualora il rischio biologico sia un rischio di natura professionale, già presente nel contesto espositivo dell’azienda)”. E audace il successivo passaggio dal doveroso all’utile o consigliabile, sulla falsariga di una norma -l’art. 2087 c.c.- tutt’altro che propensa a fornire meri consigli all’imprenditore: “si ritiene utile, per esigenze di natura organizzativa/gestionale, redigere -in collaborazione con il Servizio di Prevenzione e Protezione e con il Medico Competente- un piano di intervento o una procedura per un approccio graduale nell’individuazione e nell’attuazione delle misure di prevenzione, basati sul contesto aziendale, sul profilo del lavoratore -o soggetto a questi equiparato - assicurando al personale anche adeguati DPI”. Responsabilità del datore di lavoro nella sentenza n. 9028 del 2022 Dobbiamo ormai prendere atto che la Sezione Terza è ormai la punta di diamante della Corte Suprema a tutela della salute e dell’ambiente a dispetto dei varchi aperti da altri settori giurisprudenziali diventati meno severi rispetto al passato su temi centrali quali i cantieri, gli appalti, le morti dei terzi come nel caso di Viareggio, i tumori (amianto in testa), i disastri dentro e fuori dell’azienda. E infatti proprio la Sezione Terza, nella sentenza n. 9028 del 17 marzo 2022, esamina un’ipotesi in cui il “consigliere delegato, CEO e capo azienda” di un istituto bancario -imputato dei reati di cui agli artt. 29, comma 1, e 19, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008 per “condotte riferite alla valutazione del rischio (DVR) connesso alle malattie trasmissibili pandemia Covid-19 oggetto del DVR e alla designazione del R.S.P.P.”- venne assolto dal GIP perché il fatto non sussiste. Su ricorso del P.M., la Sez. III, anzitutto, utilmente avverte che non è in discussione l'eventuale responsabilità in capo al datore di lavoro in caso di eventi dannosi successivi alla nomina del R.S.P.P., o alla validità ed efficacia del DVR. E precisa che le condotte omesse (riferite alla valutazione del rischio connesso alle malattie trasmissibili pandemia Covid-19 e alla designazione del R.S.P.P.) costituiscono “adempimenti previsti in materia di sicurezza, non delegabili ai sensi dell'art.17 D.Lgs. n. 81/2008”, e che si tratta “di adempimenti che l’imputato pacificamente non ha curato”. Giunge, pertanto, in accoglimento del ricorso presentato dal P.M., ad annullare con rinvio l’assoluzione dell’imputato, sul presupposto che “la valutazione di tale rischio è oggetto di un obbligo che fa capo al datore di lavoro”. Copyright © - Riproduzione riservata