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Archivio newsStato di emergenza: per le imprese il traguardo dall’uscita va oltre il 1° aprile
Quest’anno il primo aprile, tecnicamente, sarà il giorno nel quale ci libereremo dalla condizione emergenziale della pandemia e dalle relative limitazioni, per ritrovare la normalità perduta (ammesso che lo sia). Ma come giunge il nostro tessuto produttivo a questo traguardo? Nei luoghi di lavoro viene superata la fase della maggiore rigidità, come l’uso delle mascherine all’interno e all’esterno dei locali o la necessità del green pass rinforzato, e viene prorogato il regime semplificato per l’attivazione dello smart working. Dobbiamo fare i conti con un’incidenza maggiore di infortuni, morti e malattie professionali e con una brusca, violenta, scossa economica causata dalla guerra Russia-Ucraina, che impone un ridimensionamento delle prospettive di crescita. Il Governo è sempre al lavoro e già nuove misure sono allo studio…
Aprile è, nel nostro immaginario, il mese che porta con sé le promesse della primavera. Ma, da un paio d’anni, non è più così. Nel 2020, in aprile, entravamo nel terzo mese di stato d’emergenza provocato dalla pandemia. Quest’anno, il 1° aprile avrebbe dovuto essere - e, tecnicamente, sarà - il giorno nel quale ci liberiamo dalla condizione emergenziale della pandemia - e dalle relative limitazioni - per ritrovare la normalità perduta. Questo, dopo un anno di ripresa con il PIL cresciuto, nel 2021, di oltre il 6% e con una promessa di crescita continua, anche se più contenuta, per il 2022. Ma il 24 febbraio la realtà ci ha imposto ancora una brusca, violenta, scossa con la guerra Russia-Ucraina. Certo, la crisi non è esplosa all’improvviso. È montata per un periodo di tempo con la scalata del costo dell’energia. E, d’altronde, già da tempo, altri elementi critici come la penuria di materie prime e il lievitare dei contagi delle varianti del Covid manifestatosi in dicembre, avevano indotto un ridimensionamento delle prospettive di crescita. Eravamo consapevoli che l’Eurozona - così come gli Stati Uniti e la Cina - erano in frenata. Mentre, a sua volta, l’inflazione montante iniziava a erodere le prospettive delle imprese così come quelle delle famiglie. Tant’è che il Governo era dovuto intervenire, già in gennaio, con un nuovo decreto Sostegni. Ma la prima, vera e propria, invasione a danno di un Paese sovrano nel continente europeo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ci ha proiettati in una prospettiva assai più concretamente allarmante della stessa pandemia. Come giunge, perciò, il nostro tessuto produttivo al traguardo del 1° aprile? Nei luoghi di lavoro viene superata la fase della maggiore rigidità, come l’uso delle mascherine all’interno e all’esterno dei locali o la necessità del green pass rinforzato. È prorogato, invece, fino al 30 giugno, il regime semplificato per l’attivazione dello smart working. Soltanto dal 1° luglio diverrà obbligatoria la stipula di un accordo individuale tra impresa e lavoratore dipendente. Da quel momento tornerà ad essere una scelta autonoma del lavoratore. Al tempo stesso, vorrei sottolineare un dato molto preoccupante, ascrivibile al rimbalzo dell’economia nel corso del 2021: la significativa lievitazione degli incidenti sul lavoro. A gennaio del 2022, a fronte del medesimo mese del 2021, la crescita è stata addirittura del 47%. L’incremento delle morti sul lavoro, nello stesso mese a fronte dell’anno precedente, è del 12%. Le malattie professionali registrano un più 7%. È evidente quindi che, quando parliamo di post-pandemia o di situazione relativamente normalizzata, ammesso che lo sia, dobbiamo fare i conti con una incidenza di condizioni di lavoro peggiorate, che causano infortuni, morti e malattie professionali che vanno tenute in seria considerazione. Per fare un esempio, nel settore dell’edilizia si è manifestato un combinato disposto di crescita economica in generale e l’utilizzo del bonus del 110%, che ha dato ulteriore impulso, a volte non proprio trasparente, alla produzione. Non molto trasparente perché, come ha denunciato la stessa Associazione Nazionale dei Costruttori dell’Edilizia - l’Ance -, negli ultimi mesi sono cresciute dal nulla migliaia di imprese che non hanno una storia nel settore. Imprese che non hanno competenza né esperienza. Alle volte si tratta di ditte individuali che non hanno dipendenti né attrezzature, dedite, purtroppo, più all’intermediazione di manodopera che non a un’attività industriale vera e propria. Tutto questo è causa di lavoro nero e di minori protezioni e, perciò, di più incidenti. E, in primo luogo, di elusione delle regole di base che tutelano la sicurezza in un settore come quello dell’edilizia che è maggiormente esposto agli incidenti. Il Governo ha, perciò, preso provvedimenti. Come l’adozione, nel D.L. n. 146/2021, di soluzioni per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Ad esempio, il nuovo obbligo per il datore di lavoro di far formare i preposti e i datori di lavoro su questa materia. Ancora, l’introduzione di una norma che prevede la sospensione dell’attività - penalizzazione che io avevo già introdotto da ministro del Lavoro del secondo Governo Prodi. A quel tempo, la penalità scattava in seguito alla scoperta di almeno il 20% dei lavoratori al nero nell’ambito dell’azienda. Ora, è sufficiente il 10%. Altra novità, l’istituzione di un coordinamento per quanto riguarda gli ispettori del lavoro, collocato in capo all’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Nel D.L. n. 13/2022 è stato inserito - per gli appalti di lavoro nel settore edile di valore superiore ai 70mila euro - l’obbligo dell’adozione del contratto nazionale del settore dell’edilizia, in modo da portare ordine nella situazione. Questo per evitare una sorta di dumping salariale e sociale con l’adozione di contratti che non hanno niente a che fare con quell’attività: come quelli di settori quali i florivivaisti, il multiservizio o il commercio. Ma l’aggressione russa, portata non solo all’Ucraina sul piano militare, ma, attraverso l’arma energetica, al sistema economico europeo nel suo complesso, ci ha messo di fronte a un altro aspetto inquietante della contemporaneità. I numeri sono stati esposti in un tweet lapidario dal politologo americano, presidente dell’Eurasia Group, Ian Bremmer: la Russia rappresenta il 2% del PIL globale, produce il 12% del petrolio, il 17% del gas naturale, il 20% del grano (cui sommare un altro 9% prodotto dall’Ucraina). Le risorse sono armi potentissime e la Russia le può usare contro di noi. Questo perché, con scarsa lungimiranza, non abbiamo differenziato a sufficienza le nostre fonti di approvvigionamento. Il che, se ci si pensa, poiché avviene proprio nella globalizzazione che ci pone più che mai alla mercé degli eventi, è quanto mai paradossale. Le risorse che ci sono necessarie sono asset strategici la cui origine non è differenziata al punto da mantenerci al sicuro. Vasta questione che richiede di essere affrontata seriamente e rapidamente, sapendo che le soluzioni non potranno essere implementate a breve scadenza. Nel frattempo, alla fine della settimana passata, il Governo ha approvato il decreto Ucraina (D.L. n. 21/2022) che agisce su accise sui carburanti, crediti d’imposta sulla bolletta energetica per le imprese e ammortizzatori sociali. Il dibattito come sempre è acceso e già nuove misure sono allo studio perché la velocità della contemporaneità è estenuante. Di sicuro, il traguardo dell’uscita dall’emergenza è spostato - per le imprese, il lavoro, noi tutti - ben al di là del 1° aprile. Copyright © - Riproduzione riservata