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Inflazione e salari: perchè è importante il ruolo della contrattazione collettiva

Aumentano i prezzi, sale l’inflazione e cala il potere di acquisto dei salari. Oltre alle politiche economiche di sostegno alle famiglie la contrattazione collettiva può intervenire in aiuto dei lavoratori? La risposta è positiva, in quanto è previsto dai CCNL l’utilizzo di meccanismi diretti ad assicurare il controllo delle tendenze inflattive: in questo senso si prevede da più di un decennio che l’inflazione da prendere a riferimento sia depurata dall’incremento del costo dei beni energetici, ma soprattutto che il recupero dell’inflazione avvenga a posteriori, mediante il riconoscimento di un elemento una tantum da attribuire a tutti i lavoratori, all’esito di una sessione di contrattazione collettiva. Un primo passo è stato compiuto a giugno dalle organizzazioni sindacali dei metalmeccanici. Stiamo andando nella giusta direzione?

Dai dati che l’ISTAT ha reso noti pochi giorni fa, nel corso di un’udienza pubblica alla Camera, presentando il “Rapporto annuale 2022 sulla situazione del Paese”, emerge un quadro che, pur a fronte di valori che testimoniano una sicura ripresa dell’economia nazionale, non manca di elementi che determinano l’insorgere di sicura preoccupazione. Ed invero, nel primo senso, si deve ricordare come il numero complessivo degli occupati fatto registrare al giugno 2022 sia di poco superiore ai 23 milioni, venendosi così a sfiorare i picchi raggiunti nel giugno 2019 (poco prima della pandemia) e nel lontano aprile del 2008 (prima della crisi dei mutui subprime): da questo punto di vista sembra di poter dire che il ciclo economico ha oramai ampiamente recuperato il triennio della crisi pandemica. Diversa è invece la situazione per quanto riguarda l’andamento dell’inflazione, perché mentre era dal 2013 che non si registravano valori superiori all’1%, in poco più un anno il tasso è cresciuto sino ad arrivare all’8% su base annua nel giugno 2022. E se certo il riemergere di tendenze inflattive è conseguente al riavvio del ciclo economico dopo la stagnazione pandemica e alle inevitabili tendenze all’accaparramento che discendono, prima ancora che dalle vicende belliche russo-ucraine, da una politica di sostegno agli interventi di riqualificazione edilizia tutt’altro che equilibrata, non si deve mancare di rilevare come il tema richiami alla mente gli anni più tormentati delle relazioni sindacali italiane, quando l’aggancio delle retribuzioni all’andamento dell’inflazione ebbe a produrre, già nel breve periodo, un effetto di moltiplicazione dei tassi inflattivi. Si ricorderà come nei primi anni ’70 il libero fluttuare delle valute (conseguente al venir meno della parità aurea del dollaro) e l’improvviso incremento del prezzo del petrolio ebbero a determinare una crescita rapidissima dell’inflazione, che finì con l’incrementare enormemente quella parte di retribuzione che era agganciata proprio alla dinamica inflattiva (c.d. indennità di contingenza, o “scala mobile”). E fu solo grazie alle idee di Ezio Tarantelli (che da lì a poco ebbe a pagare il suo impegno, cadendo vittima in un attentato terroristico), che ci si rese conto che una parte dell’inflazione era frutto non già dell’effettivo incremento dei costi delle materie prime, ma delle aspettative dei singoli che, al fine di proteggersi preventivamente contro il crescere dei prezzi al consumo, finivano essi stessi per alimentare la tendenza al rialzo (la c.d. “spirale inflazionistica”). E fu proprio questa considerazione che condusse le parti sociali a dar vita all’accordo di “s. Valentino”, del febbraio 1984, diretto a dare attuazione ad una politica anticiclica di controllo dell’inflazione, modificando il sistema di calcolo dell’indennità di contingenza. Né mancò, in quell’occasione, l’impegno del Governo, che pose in essere una serie di misure dirette al calmieramento delle tariffe e al contenimento del costo della vita, attraverso il controllo di ticket e imposte indirette. In questo modo, anche al giorno d’oggi, una politica combinata che miri ad un contenimento dei costi correlati ai servizi di primaria necessità, ancora in mano pubblica (luce, riscaldamento, acqua), ad un sostegno economico a tutte le famiglie e al più generale miglioramento dei servizi pubblici, potrebbe tenere al riparo la dinamica retributiva dalle tendenze inflattive, proteggendo almeno i salari più bassi (e pure si deve ricordare, nello stesso senso, la recente legge n. 46/2021, che ha introdotto un “assegno unico e universale”, con lo scopo di rafforzare le misure di sostegno alla famiglia prima vigenti). Ma anche le previsioni collettive della contrattazione nazionale mantengono meccanismi diretti ad assicurare il controllo sulla dinamica inflattiva: in questo senso si prevede oramai da più di un decennio che l’inflazione da prendere a riferimento sia depurata dall’incremento del costo dei beni energetici (c.d. indice IPCA), ma soprattutto che il recupero dell’inflazione avvenga a posteriori, mediante il riconoscimento di un elemento una tantum da attribuire a tutti i lavoratori, all’esito di una sessione di contrattazione collettiva appositamente convocata nel mese di giugno. Ed è così che proprio all’inizio del giugno scorso le organizzazioni sindacali della categoria dei metalmeccanici si sono incontrate per fare applicazione delle previsioni del CCNL, adeguando le retribuzioni alla dinamica registratasi nei dodici mesi trascorsi. Ed anche nel giugno del 2023 si dovrà provvedere nello stesso senso, seppure a fronte di un incremento assai più elevato, come si è visto in premessa. Nulla, tuttavia, sembrerebbe autorizzare le parti a reclamare una soluzione diversa prima di quel momento, almeno fin tanto che si vogliano rispettare le previsioni del contratto collettivo sottoscritte congiuntamente dalle parti. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/07/16/inflazione-salari-importante-ruolo-contrattazione-collettiva

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