• Home
  • News
  • Perché anche i managers devono tornare a scuola, di sostenibilità

Perché anche i managers devono tornare a scuola, di sostenibilità

Negli ultimi anni si è registrata una grande attenzione delle istituzioni europee sui temi della sostenibilità delle imprese, anche attraverso la proposta di adozione di due direttive che attengono alla redazione del bilancio societario, ora arricchito dalle informazioni non finanziarie, e all’obbligo di vigilanza, che incombe sui vertici societari. Diventa, pertanto, necessario valutare sino in fondo se le attuali previsioni sulla rilevanza penale delle false comunicazioni sociali non possano essere estese anche alle dichiarazioni non finanziarie. Nello stesso tempo, non si deve dimenticare come si stia registrando una forte ripresa dell’attività di vigilanza amministrativa in tema di lavoro, in particolare nell’ambito della tutela della salute e sicurezza e del contrasto al lavoro sommerso. Ecco perché i managers devono andare a scuola di sostenibilità

Il lungo periodo di caldo torrido ha reso evidente a ciascuno come l’utilizzo indiscriminato delle risorse del pianeta non possa continuare e come sia indispensabile individuare un modello di sviluppo che garantisca una responsabile gestione del ciclo produttivo, rispettosa degli interessi di tutti i soggetti che vengono a contatto con gli attori economici e non più focalizzata solo sulla massimizzazione del profitto economico. Ci si sta finalmente rendendo conto che l’impresa non è una semplice proiezione di un diritto individuale di proprietà, ma un’entità che produce ricchezza e che coinvolge gli interessi non solo degli azionisti (shareholders), ma anche di tutti quei soggetti (stakeholders) che intrattengono rapporti economici con essa (in primis i lavoratori, ma anche i fornitori, i finanziatori, le istituzioni e le collettività locali). Grande è stata negli ultimi anni l’attenzione delle istituzioni europee su questi temi, sia attraverso interventi specifici mirati a garantire una sostenibilità innanzitutto delle risorse ambientali (come per una pesca limitata ai soli esemplari adulti, o per un uso intelligente delle risorse alimentari o la coltivazione del patrimonio forestale con la reintegrazione degli esemplari prelevati), sia mediante la recente proposta di adozione di due direttive che attengono alla redazione del bilancio societario, ora arricchito dalle informazioni non finanziarie, e all’obbligo di vigilanza, che incombe sui vertici societari.Leggi di Luca Failla Valore delle imprese, oggi = Sostenibilità Si tratta di una considerazione solo all’apparenza scontata, poiché, una volta che si abbia piena consapevolezza dell’insostituibile ruolo economico e sociale che l’impresa svolge, è fatale per le organizzazioni sindacali dismettere un ruolo antagonistico e accettare una condivisione di responsabilità secondo il modello partecipativo maturato in Germania nell’ultimo secolo e prossimo a diffondersi in tutto il continente, anche grazie alla legislazione dell’Unione europea. Ed è anche per questa via che possono venire in rilievo gli argomenti classici della partecipazione (come la condivisione dei risultati e l’attenzione alla tutela della salute dei lavoratori), ma anche i temi della sostenibilità, e cioè la preferenza per le energie rinnovabili, l’attenzione per materiali e processi produttivi che consentano il mantenimento dell’equilibrio ambientale, evitando un utilizzo predatorio di risorse non inesauribili. Si ritorna così a discutere di responsabilità sociale dell’impresa, quale rappresentazione dell’attività produttiva non limitata ai soli aspetti economici, ma aperta anche ad altri indicatori non finanziari del benessere, come la repressione delle discriminazioni, la tutela del benessere dei lavoratori, il rispetto dei diritti di tutti i soggetti che, anche nei paesi in via di sviluppo, partecipano alla filiera produttiva, procurando la materia prima o approntando semi-lavorati. Grande è stata negli ultimi anni l’attenzione delle istituzioni europee su questi temi, sia attraverso interventi specifici mirati a garantire una sostenibilità innanzitutto delle risorse ambientali (come per una pesca limitata ai soli esemplari adulti, o per un uso intelligente delle risorse alimentari o la coltivazione del patrimonio forestale con la reintegrazione degli esemplari prelevati), sia mediante la recente proposta di adozione di due direttive che attengono alla redazione del bilancio societario, ora arricchito dalle informazioni non finanziarie, e all’obbligo di vigilanza, che incombe sui vertici societari. Nel primo senso, sulla base di una proposta di direttiva europea, cd. Corporate Sustainability Directive (CSDR) 2021/0104 del 21 aprile 2021, dovrà essere aggiornata la regolamentazione in materia di bilancio, estendendo gli obblighi di comunicazione che gravano sulle imprese ad un’ampia gamma di aspetti ESG (e cioè: ambientali, sociali e di governance) riguardanti l’attività produttiva, il modello di business e strategico, i rischi a cui sono esposte le imprese stesse. Secondo invece la proposta di direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence del 23 febbraio 2022, COM(2022) 71 final, 2022/0051, gli obblighi di controllo vengono ad essere notevolmente ampliati per individuare gli effetti negativi reali o potenziali dell’attività societaria sui diritti umani e sull’ambiente. Si tratta di modifiche che coinvolgono anche gli aspetti di organizzazione stessa dell’attività delle imprese, integrando l’approccio nell’organizzazione delle risorse umane, istituendo e mantenendo una procedura interna di denuncia, nonché monitorando l’efficacia delle politiche e delle misure di due diligence adottate, anche attraverso dichiarazioni pubbliche. Entrambe le proposte, pensate per le imprese di maggiore rilievo economico, mirano quindi ad una robusta integrazione delle responsabilità dei vertici societari, chiamati ad un controllo sempre più esteso e approfondito sulla complessiva organizzazione delle catene di valore, che conducono al prodotto finale collocato sui mercati dei paesi più sviluppati. In questo modo si cerca di arginare il fenomeno, un tempo diffuso soprattutto nei contesti multinazionali (ma oramai adottato anche da tante realtà locali), che conduce ad una tendenziale irresponsabilità delle entità economiche per tutte le scelte che si collocano “a monte” e “a valle” del segmento produttivo da loro presidiato. Ovviamente l’aspetto più delicato di queste innovazioni è rappresentato dalla difficoltà di individuare procedure di enforcement (o di “effettività”) delle discipline anche volontariamente adottate, poiché appare evidente come l’antagonismo di interessi fra i soci può non essere sempre in grado di assicurare il rispetto di una normativa esterna, quale quella diretta a tutela di interessi per definizione estranei alla compagine sociale, quali quelli degli stakeholders. Il punto è in effetti centrale e richiede innanzitutto di valutare sino in fondo se le attuali previsioni in tema di rilevanza penale delle false comunicazioni sociali non possano essere estese anche alle dichiarazioni non finanziarie. Tuttavia, non si può neanche minimizzare l’impatto di queste novità, nella misura in cui l’ampliamento delle responsabilità dei vertici può condurre a rendere rilevante, nella forma di una condotta di omissione, il mancato monitoraggio ed intervento in relazione a situazioni che pure si è dichiarato di voler rispettare (cosicché, per fare un esempio, l’amministratore unico di una grande impresa tessile potrebbe essere chiamato a rispondere delle violazioni dei diritti dei lavoratori che si sono realizzate nel territorio indiano o bengalese). Nello stesso tempo, non si deve neanche dimenticare come negli ultimi anni si stia registrando, seppure in settori contigui a quelli sino a qui richiamati, una forte ripresa dell’attività di vigilanza amministrativa in tema di lavoro, in particolare nell’ambito della tutela della salute e sicurezza e del contrasto al lavoro sommerso, tanto che non solo l’organico e le competenze dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro sono state notevolmente incrementate, ma anche, in sede europea, si è dato vita ad una pionieristica “Autorità europea del lavoro”, con sede a Bratislava, per coordinare l’attività di vigilanza amministrativa sul lavoro, soprattutto al fine di controllare che le imprese che si avvantaggiano dei diritti di libera circolazione ne abbiano effettivo diritto, e non costituiscano, invece, organizzazioni solo fittiziamente basate in altri paesi dell’Unione europea. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/08/06/managers-devono-tornare-scuola-sostenibilita

Iscriviti alla Newsletter




È necessario aggiornare il browser

Il tuo browser non è supportato, esegui l'aggiornamento.

Di seguito i link ai browser supportati

Se persistono delle difficoltà, contatta l'Amministratore di questo sito.

digital agency greenbubble