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Archivio newsIl caporalato è ancora presente. Ma è da contrastare
Nella Relazione del 20 aprile 2022 la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, pur dipingendo efficacemente a fosche tinte il caporalato, per quanto riguarda le “forme di schiavitù e di servitù”, si limitava ad evocare un asserito “gigantismo penale” dell’art. 600 c.p. che punisce il reato di “riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù”, quasi si trattasse di fenomeni ormai improponibili nell’attuale mondo del lavoro. E, invece, pochi giorni (e mesi) dopo la Cassazione fu impietosa: insegnò che l'art. 600 c.p. configura un delitto integrato alternativamente dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario o dalla condotta di colui che riduce o mantiene una persona in stato di sfruttamento. Situazioni che, purtroppo, contrastano anche con la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Non fu dunque un episodio più unico che raro quella sentenza della Cassazione. Avevo appena terminato di leggere la Relazione approvata il 20 aprile 2022 dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati. Pur dipingendo efficacemente a fosche tinte il caporalato, per quanto riguarda le “forme di schiavitù e di servitù” la Commissione Parlamentare si limitava ad evocare un asserito “gigantismo penale” di quell’articolo 600 del codice penale che punisce il reato di “riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù”, quasi che si trattasse di fenomeni ormai improponibili nell’attuale mondo del lavoro. E invece pochi giorni dopo in una sentenza del 2 maggio 2022 n. 17095, la Cassazione fu impietosa. Annullò con rinvio l’assoluzione pronunciata in appello dopo una condanna in primo grado di più imputati per due reati come questi: - associazione per delinquere ai sensi dell'art. 416 c.p. finalizzata al reclutamento di cittadini extracomunitari per la maggior parte tunisini e ghanesi introdotti clandestinamente in Italia oppure presenti irregolarmente sul territorio nazionale, da destinare allo sfruttamento lavorativo nella raccolta di angurie e di pomodori ed a tal fine mantenuti in condizione di soggezione continuativa; associazione, pertanto, diretta alla commissione di più delitti tra cui quelli di riduzione in schiavitù; - e appunto riduzione in schiavitù prevista dall’articolo 600 c.p., perché riducevano e mantenevano numerosi cittadini extracomunitari, di nazionalità prevalentemente tunisina, ghanese e sudanese, in stato di soggezione continuativa, costringendoli a prestazioni lavorative nei campi in condizioni di assoluto sfruttamento; una volta reclutati dai caporali, in diretto contatto con le aziende richiedenti manodopera in agricoltura, i lavoratori, suddivisi in squadre, venivano sottoposti a ritmi ‘sfiancanti’ per 10/12 ore al giorno, senza riposo settimanale, nella maggior parte dei casi in nero, percependo compensi di gran lunga inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali e comunque, inadeguati ed erano ospitati in casolari abbandonati e fatiscenti, privi di servizi igienici ed arredi, e costretti a corrispondere prezzi eccessivi e spropositati per la fornitura di alimenti e bevande e per il trasporto sui campi, trattenuti sulla "paga"; sfruttamento attuato mediante; approfittamento della vulnerabilità legata alla condizione di cittadini extracomunitari irregolari delle vittime e mossi dal bisogno; minaccia di perdere il posto di lavoro in caso di ‘ribellione’ e sottraendo loro i documenti. In 51 pagine ricche di analisi, la Sez. V giunse ad insegnare che l'art. 600 c.p. configura un delitto integrato alternativamente dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario o dalla condotta di colui che riduce o mantiene una persona in stato di soggezione continuativa costringendola a prestazioni lavorative o sessuali, ovvero all'accattonaggio o, comunque, a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento. E tuttavia, lo ammetto, pensai che si trattasse comunque di un evento isolato, irripetibile. Anche se mi allarmò la duplice accusa allora mossa dalla Cassazione: ai magistrati di appello l’addebito di “un paradigmatico caso di miopia giudiziaria”, e alle istituzioni l’addebito di “una situazione di stratificato degrado ambientale ben nota anche alle istituzioni, che, verosimilmente, poco o nulla avevano fatto per porvi rimedio”. Non pensavo, però, che a stretto giro di posta la Cassazione dovesse tornare su un tema tanto doloroso. E, invece, l’ha fatto in una nuova sentenza dell’8 luglio 2022 n. 26429, confermando la condanna dell’imputato di due reati - 600 e 582-585 c.p.- in danno di un giovane ridotto in schiavitù, per averlo tenuto segregato e costretto a lavorare in campagna e presso la propria abitazione e per avergli cagionato, in più occasioni, lesioni personali di varia entità, percuotendolo anche con una forbice e con un coltello. Quanto al delitto di riduzione in schiavitù, in pieno 2018, le forze dell’ordine accertarono la totale soggezione del giovane ai voleri dell'imputato, soggezione ottenuta anche attraverso le plurime aggressioni fisiche (il giovane aveva mostrato agli operanti le ferite che ancora recava sul corpo) e finalizzata a costringerlo a svolgere sia i lavori domestici presso l'abitazione familiare dell'imputato, sia l'attività di bracciante in campagna a cui il medesimo l'aveva avviato. Il giovane era alloggiato in modo così precario da dormire direttamente sul pavimento, riceveva un'alimentazione povera e, comunque, inadeguata, e l’imputato si appropriava di tutti i compensi corrispostigli per i lavori di campagna, lasciandogliene solo una minima parte. Dunque, situazioni che purtroppo contrastano anche con la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Celebre la sentenza del 30 marzo 2017 sul caso Chowdury c. Grecia, riguardante lo sfruttamento lavorativo di immigrati senza permesso di soggiorno. Pur avendo introdotto un quadro normativo volto a contrastare la tratta di essere umani, e nonostante fossero a conoscenza della grave situazione presente nelle campagne, anche alla luce delle denunce internazionali, le autorità greche non avevano adottato misure preventive volte a evitare lo sfruttamento, con la conseguente violazione degli obblighi imposti dall'art. 4 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: “Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù e di servitù. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio”. Copyright © - Riproduzione riservata
Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/09/03/caporalato-presente-contrastare