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Contratto di lavoro intermittente: quali informazioni obbligatorie vanno indicate in forma scritta?

Il decreto Trasparenza ha introdotto significative modifiche alla disciplina del contratto intermittente. In particolare, il legislatore dispone che il contratto deve contenere, in forma scritta, alcuni elementi di informazione espressamente elencati nel D.Lgs. n. 104/2022. Non si limita quindi a richiedere al datore di lavoro la produzione di una semplice informativa. Quella che per la generalità dei rapporti di lavoro costituisce una mera informativa da fornire al lavoratore (programmazione dell’orario normale di lavoro e modalità organizzative imprevedibili), nel contratto di lavoro intermittente costituisce, invece, uno degli elementi contrattuali specifici. Tra i requisiti essenziali da indicare, per la corretta applicazione del contratto, qualche criticità può nascere dalla descrizione dell’organizzazione variabile dell’azienda. Per quale ragione?

Il contratto di lavoro intermittente è uno strumento utile per risolvere particolari esigenze produttive e organizzative aziendali ma la sua genesi e la sua evoluzione legislativa è stata molto travagliata; anche il decreto Trasparenza (D.Lgs. n. 104/2022) non fa eccezione pone nuovi interrogativi sulla sua applicazione pratica.Ascolta il podcast Richiesta di rapporto di lavoro stabile: quali sono gli obblighi delle imprese? Evoluzione normativa Introdotto dall’art. 33 del D.Lgs. n. 276/2003 “Riforma Biagi” e disciplinato dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 4 del 2 febbraio 2005, il contratto a chiamata resta sostanzialmente inapplicato nel suo primo periodo di vigenza a causa dell’inerzia delle parti sociali che, salvo rarissimi casi, non avendo recepito con favore la novità, non affrontarono nei contratti collettivi il tema della individuazione delle mansioni “discontinue”. Il Ministero del Lavoro scelse di adottare una politica molto prudente fino a quando, con l’art. 1, comma 1 del D.M. del 22 ottobre 2004, decise di sopperire alla assenza di iniziativa da parte delle organizzazioni sindacali indicando nella tabella allegata al R.D. 6 dicembre 1923, n. 2657 lo strumento più opportuno per definire le attività caratterizzate dalla discontinuità o dalla semplice attesa o custodia. L’evidente atteggiamento “ostile” si concretizzò con la legge n. 247/2007 che operò una completa abrogazione della normativa sul lavoro intermittente, poi totalmente e prontamente ripristinata pochissimi mesi dopo dal D.L. n. 112/2008. Da allora il contratto a chiamata ha fornito il suo onesto contributo nella regolamentazione dei rapporti di lavoro subordinato, anche se resta regolarmente escluso da ogni tipologia di incentivo, esonero o agevolazione a causa della sua natura che, oggettivamente, non gli consente di essere inserito nell’elenco delle tipologie di lavoro “stabile”. In questo quadro dobbiamo valutare il recente decreto Trasparenza (D.Lgs. n. 104/2022) “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'Unione europea” in vigore dal 13 agosto 2022 il quale, nonostante si sia distinto per la complessità che richiede alle nuove lettere di assunzione, dovrebbe essere attentamente valutato da tutti gli operatori per le significative modifiche introdotte alla disciplina del contratto a chiamata, con particolare riferimento all’art. 15 del D.Lgs n. 81/2015. Non è un contratto di lavoro subordinato? L’art. 1 del decreto Trasparenza afferma che lo stesso trova applicazione in relazione ai seguenti rapporti e contratti di lavoro: a) contratto di lavoro subordinato, ivi compreso quello di lavoro agricolo, a tempo indeterminato e determinato, anche a tempo parziale; b) contratto di lavoro somministrato; c) contratto di lavoro intermittente; d) rapporto di collaborazione con prestazione prevalentemente personale e continuativa organizzata dal committente di cui all'articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81; e) contratto di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409, n. 3, del codice di procedura civile; f) contratto di prestazione occasionale di cui all'art. 54-bis del D.L. n. 50/2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 96/2017. Da una veloce lettura dell’art. 1 si può notare che il Legislatore ha inteso evidenziare in maniera separata, rispetto alla generica categoria dei contratti di lavoro dipendente, due contratti di lavoro di chiarissima natura subordinata: il somministrato e l’intermittente. La questione non ha conseguenze pratiche né influenza nuove interpretazioni giuridiche, ma conferma l’impressione che l’intermittente sia ancora oggi considerato come “il figlio di un dio minore”: nessuno dubita che le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro a chiamata siano particolari, ma è certamente vero che questo rientra a pieno titolo fra i rapporti caratterizzati dalla subordinazione; non si comprende quindi il motivo per cui sia necessario specificare in maniera particolare l’applicazione della nuova disciplina sulla informativa anche ai contratti a chiamata seguita, tra l’altro, dalla inclusione nell’elenco dei co.co.co e del lavoro occasionale (questi sì notevolmente diversi dal lavoro subordinato). Le nuove disposizioni riguardando gli elementi del contratto (e non dell’informativa) L’attenzione di tutti i Consulenti è oggi certamente rivolta alle problematiche legate alla redazione dell’informativa, ma forse è necessario porre l’attenzione anche su un aspetto formale che ha conseguenze sostanziali: il contratto di lavoro intermittente è stipulato in forma scritta ai fini della prova e, oltre alle informazioni di cui all'art. 1, comma 1, del D.Lgs n. 152/1997, deve contenere alcuni elementi espressamente elencati dal decreto Trasparenza. Il legislatore, dunque, è chiaro nel disporre che gli elementi di informazione destinati al neo-assunto siano inseriti nel contratto e non si limita quindi a richiedere al datore di lavoro la produzione di una semplice informativa. La nuova formulazione dell’art. 15 (comma 1, lettera a)) richiedere, infatti, l’indicazione nel contratto di lavoro intermittente di: - durata del contratto; - ipotesi oggettive e soggettive che consentono la stipula del contratto a norma dell’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015; - natura variabile della programmazione del lavoro. Quest’ultimo punto in particolare desta qualche perplessità: se da un lato è naturale considerare il contratto a chiamata come ovvia soluzione per una organizzazione del lavoro molto variabile o flessibile, può essere ragionevole domandarsi se esso può continuare ad essere adottabile anche in realtà aziendali nelle quali la programmazione del lavoro non può essere definita in tal modo. Quella che per la generalità dei rapporti di lavoro costituisce dunque una mera informativa da fornire ai sensi del nuovo art. 1, comma 1, lettere o) e p) del D.Lgs. n. 152/1997 (programmazione dell’orario normale di lavoro e modalità organizzative imprevedibili), nel contratto di lavoro intermittente costituisce invece uno degli elementi contrattuali specifici. Qui nascono i dubbi. Il decreto Trasparenza pare, infatti, richiedere al datore di lavoro la descrizione della organizzazione variabile dell’azienda come un requisito essenziale per la corretta applicazione del contratto. Secondo questa interpretazione, la richiamata esigenza di esplicitare la natura variabile dell’organizzazione, intendendola come un requisito essenziale, comporterebbe una oggettiva limitazione che prevale anche su eventuali condizioni soggettive. Quest’ultima non pare essere una interpretazione condivisibile: l’art. 13 del decreto 81 prevede espressamente che “Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età purchè le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”. Il punto è stato ampiamente chiarito in passato ed il contratto a chiamata può dunque essere stipulato da lavoratori “giovani” e “anziani” a prescindere (… in ogni caso..) dalla variabilità della programmazione del lavoro. In altri termini, l’obbligo di indicare la natura variabile dell’organizzazione nei contratti di lavoro con “giovani” e “anziani” si tradurrebbe in una semplice informazione riguardante l’organizzazione del lavoro che, al limite, potrebbe essere definita non variabile (assenza di variabilità della programmazione del lavoro) senza determinare l’inapplicabilità del contratto. Una diversa soluzione sarebbe anche di ostacolo alla realizzazione della finalità che ha portato alla definizione delle due ipotesi soggettive: l’inserimento (o il reinserimento) nel mercato del lavoro di due fasce di popolazione che potrebbero accogliere con particolare favore anche un contratto di lavoro non stabile. Si pensi ad esempio alla necessità dei giovani di disporre del tempo necessario agli studi oppure alle esigenze di cura della famiglia da parte di soggetti più maturi. Sul punto sarebbe opportuna una presa di posizione interpretativa del Ministero perché si tratta di comprendere se il contratto a chiamata può continuare a svolgere la sua consueta funzione semplicemente tenendo conto di una particolarità amministrativa in più. Considerata la genesi tormentata di questa tipologia contrattuale, come visto in precedenza, il sospetto è che per mezzo della complessità normativa e nella difficoltà interpretativa si sia tentato di rendere ancora una volta inapplicabile il contratto intermittente. Come uscire dall’impasse? Una risposta utile è contenuta anch’essa nel testo della “riforma Biagi” la quale, all’art. 75 e seguenti del D.Lgs. n. 276/2003, disciplina l’istituto della certificazione dei contratti di lavoro, dotati come ormai è noto di una particolare “forza giuridica”: la qualificazione certificata resiste infatti alla contestazione delle parti e dei terzi (organi di vigilanza compresi) conservando efficacia fino ad una eventuale sentenza che la disconosca. L’istituto è oltremodo utile in quanto, secondo la cosiddetta “Direttiva Sacconi” del 18 settembre 2008, la certificazione “inibisce” l’azione ispettiva e la rende “inoffensiva” (fatte salve un paio di ipotesi molto particolari) eliminando la potestà punitiva. In presenza di particolari incertezze, appare dunque una buona soluzione sottoporre a certificazione il contratto di lavoro intermittente: l’esito positivo dell’analisi giuridica e dell’accertamento della reale volontà delle parti effettuate della commissione certificatrice consentirebbe un sereno svolgimento del rapporto di lavoro. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/10/14/contratto-lavoro-intermittente-informazioni-obbligatorie-vanno-indicate-forma-scritta

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