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Congedo parentale: nuove regole per la maturazione di ferie e permessi

Il D.Lgs. n. 105 del 2022 prevede che i periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità, ad eccezione degli emolumenti accessori connessi all'effettiva presenza in servizio, salvo quanto diversamente previsto dalla contrattazione collettiva. La novità può però portare ad interrogarsi in merito a quale sia la contrattazione collettiva cui è rimessa la previsione derogatoria. Bisogna considerare quella vigente e precedente rispetto al 13 agosto 2022 o successiva all’entrata in vigore del decreto legislativo?

Il D.Lgs. n. 105/2022 è stato pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale n. 176 del 29 luglio 2022, per l’attuazione della direttiva (UE) 2019/1158 del Parlamento europeo, relativa all'equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza ed in abrogazione della precedente direttiva 2010/18/UE. Tra le diverse novità normative del D.Lgs. n. 151/2001 novellato dal provvedimento in esame, emerge la nuova previsione in tema di congedo parentale.Ascolta il podcast Genitorialità e work life balance: attenzione alle sanzioni per i datori di lavoro In particolare, è stato modificato il contenuto del quinto comma dell’art. 34 del D.Lgs. n. 151/2001 laddove vengono disciplinati gli effetti del congedo su istituti quali ferie, riposi e tredicesima mensilità. Congedo parentale e maturazione di ferie, riposi e tredicesima mensilità Il nuovo art. 34, comma 5, D.Lgs. n. 105/2022 dispone che: “I periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità o gratifica natalizia, ad eccezione degli emolumenti accessori connessi all'effettiva presenza in servizio, salvo quanto diversamente previsto dalla contrattazione collettiva”. Il disposto normativo risulta, pertanto, di segno radicalmente opposto rispetto al precedente (art. 34 comma 5, D.Lgs. n. 151/2001 - versione originale) il quale precisava: “I periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia”. La volontà dell’attuale Legislatore, evidentemente, risulta quella di attribuire la facoltà alla contrattazione collettiva di qualsiasi livello (sebbene non vi sia un richiamo specifico, appare presumibile che con il riferimento alla “contrattazione collettiva” debbano intendersi le previsioni di cui all’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015), di disciplinare gli istituti delle ferie, riposi e mensilità aggiuntiva quale tredicesima mensilità (non quattordicesima che, non essendo menzionata, non è stata rimessa alle scelte legislative) nell’ambito di quella autonomia contrattuale rimessa alla autonomia negoziale collettiva. Se non risulta contestabile la gerarchia delle fonti del diritto, laddove il contratto collettivo dovrà pacificamente soccombere rispetto alle disposizioni di legge o aventi forza legge, allorquando una norma rimette e consente una disciplina diversa a cura del contratto di diritto comune ossia il contratto collettivo, ne deriva la volontà normativa di rimettere al contraddittorio tra le parti sociali (datoriale e non). Né si può ritenere che non possa derivare una possibilità, da parte del contratto collettivo, di derogare in peius la legge, laddove è la stessa legge che consente una diversa disciplina. A rigore, si dovrebbe lessicalmente disporre, consci della previgente disciplina, una diversa lettura della norma ovvero: 1. i periodi di congedo parentale sono computati nell'anzianità di servizio (versione presente in ambedue i testi e che risulta non derogabile nemmeno dalla contrattazione collettiva); 2. e non comportano riduzione di ferie, riposi, tredicesima mensilità o gratifica natalizia, ad eccezione degli emolumenti accessori connessi all'effettiva presenza in servizio, salvo quanto diversamente previsto dalla contrattazione collettiva. In questo caso, per quanto a tre istituti citati (due dei quali di fonte normativa mentre i riposi, ricordiamolo, di fonte contrattuale) risultano disciplinabili dal contratto di diritto comune. Quale contrattazione collettiva: vigente o futura? Quanto detto potrebbe però portare ad interrogarsi in merito a quale sia la contrattazione collettiva cui è rimessa tale previsione derogatoria. Ci si chiede se la deroga ammessa dalla norma appena promulgata riguardi la contrattazione collettiva vigente e precedente rispetto al 13 agosto 2022 o se demandi a future negoziazioni sindacali, successive all’entrata in vigore del decreto delegato. Chiaramente l’effetto, a seconda dell’interpretazione della normativa in esame, sarà diverso: nel primo caso, potremo già considerare come pienamente operanti le eventuali disposizioni dei CCNL in tema di maturazione o meno delle ferie, permessi e tredicesima mensilità durante la fruizione del congedo parentale (vedasi ad esempio il contratto collettivo del commercio). Nell’altro caso, constatando l’assenza di contratti di diritto comune successivi alla data del 13 agosto 2022, gli istituiti differiti durante il godimento della maternità facoltativa dovranno maturare pienamente. Nel merito vi sono diverse interpretazioni, anche tra le associazioni di categoria. Una visione maggiormente prudenziale porta a ritenere applicabile la maturazione degli istituti differiti considerando derogata tale norma solo alla presenza di futuri precetti contrattuali. Le argomentazioni a sostegno di tale tesi sono le seguenti: - secondo una prima argomentazione, nel caso in cui un determinato istituto dovesse essere nuovamente regolato da una legge che, contestualmente, rimette al contratto collettivo la facoltà di disciplinare tale istituto, l’eventuale previsione derogatoria della contrattazione collettiva potrà avere efficacia solo futura rispetto all’entrata in vigore della nuova legge; - una seconda visione farebbe invece leva sulla “comune intenzione delle parti”, elemento rilevante nell’interpretazione dei contratti di diritto comune. Secondo tale tesi, infatti, nel momento in cui le parti sociali disciplinano un certo istituto, lo fanno sulla base di precetti vigenti al tempo (nel caso di specie la previgente disciplina dell’art. 34 comma 5); Seppur condivisibili, tali argomentazioni posso dirsi censurabili in quanto: - per quanto alla prima argomentazione, la stessa potrebbe non risultare propriamente corretta né dal punto di vista meramente fattuale (ad esempio la circolare del Ministero del Lavoro del 30 novembre 2018, in tema di applicazione delle modifiche apportate dal decreto Dignità ha ribadito come le previsioni vigenti della contrattazione collettiva potessero trovare applicazione nonostante la novella normativa, peraltro in totale contrasto con il previgente testo del D.Lgs. n. 81/2015) né da un punto di vista giuridico. Invero, appare utile precisare come la norma in trattazione non abbia identificato il termine “futura” rispetto alla contrattazione collettiva, nonostante avesse la possibilità di farlo; - nel riferirsi alla “comune intenzione delle parti” nell’ambito di applicabilità del diritto comune si può cadere in un errore. È evidente come il previgente art. 34, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001 possa aver influenzato le parti contraenti del contratto, ma è altresì vero che l’accordo collettivo ben avrebbe potuto comunque disciplinare in modo differente l’istituto del congedo parentale nei suoi riflessi economici o contrattuali. Peraltro, non bisognerebbe considerare prioritariamente la “volontà comune” del contratto ma la scelta del Legislatore di farne salvi gli effetti al di là di cosa l’accordo collettivo possa aver previsto e del perché possa averlo previsto. Per quanto sembri maggiormente conferente la seconda tesi, si ritiene comunque necessario attendere dei chiarimenti, al fine di consentire un corretto calcolo degli istituti in parola. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2022/10/20/congedo-parentale-nuove-regole-maturazione-ferie-permessi

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