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Archivio newsCosto del lavoro: quali sono gli elementi della retribuzione che possono essere ridotti
La diminuzione del costo fisso del lavoro, attraverso la riduzione di alcuni elementi variabili della retribuzione, può essere una soluzione per le aziende alle prese con il caro energia dovuto alle crisi internazionali. Ma a quali condizioni e con quali limiti? Partendo dal dettato costituzionale della irriducibilità della retribuzione l’accordo con il lavoratore può consentire al datore del lavoro di ridurre il trattamento economico con particolare riferimento ad alcune voci retributive riconosciute. Il superminimo individuale, ad esempio, è nella piena disponibilità delle parti, non riguardando l’applicazione di disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi, con la conseguenza che lo stesso in accordo tra le parti può essere successivamente eliminato o ridotto. Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali è possibile intervenire sui fringe benefit e sull’accordo per lo straordinario forfetizzato?
Molte volte le aziende si domandano se è possibile ridurre la retribuzione dei propri collaboratori come strumento per ridurre il costo fisso del lavoro. L’elemento retributivo, infatti, rappresenta una delle principali variabili del costo del lavoro, a cui si devono poi aggiungere tutti gli oneri aggiuntivi (contributi INPS, contributi INAIL, Assistenza sanitaria integrativa, oneri maturati e non goduti..). Ma la retribuzione rappresenta anche il corrispettivo che spetta al lavoratore per lo svolgimento delle proprie mansioni nell’ambito della subordinazione. Proviamo qui di seguito ad analizzare se e come è possibile modificare la retribuzione concordata con il lavoratore all’atto dell’assunzione o in un momento successivo, partendo dall’analisi della retribuzione minima spettante al lavoratore ai sensi dell’art. 36 della Costituzione e passando attraverso il principio della irriducibilità della stessa. La retribuzione rappresenta il principale obbligo che grava in capo al datore di lavoro a fronte della prestazione lavorativa che riceve dai propri collaboratori. Nella definizione della retribuzione spettante al lavoratore, il datore di lavoro è vincolato al rispetto dell’art. 36 della Costituzione che stabilisce un valore di retribuzione che deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. In attesa di capire se e quando entrerà in vigore il salario minimo, ad oggi il principio di retribuzione minima ai sensi della Costituzione viene rispettato stabilendo che la retribuzione minima non può essere mai al di sotto degli importi previsti dalle tabelle salariali dei contratti collettivi nazionali. Tralasciando la questione, ancora irrisolta, di quali contratti collettivi e che requisiti devono avere tali contratti per rispettare il dettato costituzionale, la contrattazione collettiva ha il compito, pertanto, di definire per ogni settore e per ogni contratto, la retribuzione minima di riferimento in base ai livelli di professionalità. Le Parti però, all’atto della assunzione o in un momento successivo, hanno la possibilità di concordare una retribuzione più elevata, mediante determinate voci retributive che assumono finalità diverse. Principio di irriduciblità L’art. 36 della Costituzione e l’art. 2103 c.c. stabiliscono un principio fondamentale, ovvero quello della irriducibilità della retribuzione. In particolare, il datore di lavoro non può ridurre unilateralmente la retribuzione del proprio collaboratore (fermo restando alcune eccezioni che analizzeremo in seguito) e l’eventuale riduzione può avvenire solo in accordo tra le Parti, fermo restando la disponibilità dell’elemento retributivo a cui rinuncia il lavoratore. L’accordo con il lavoratore, pertanto, consente al datore del lavoro di ridurre il trattamento economico con particolare riferimento ad alcune voci retributive riconosciute. Superminimo individuale Il superminimo individuale costituisce una voce aggiuntiva della retribuzione rispetto ai minimi tabellari previsti dalla contrattazione collettiva. La regola fondamentale di tale istituto consiste nel fatto che esso è normalmente soggetto al principio generale dell’assorbimento nei miglioramenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva. Quindi, gli aumenti retributivi che vengono stabiliti, a qualunque titolo, dal contratto collettivo, non si sommano al superminimo goduto dal lavoratore ma lo “assorbono”, cioè lo riducono in parte o in tutto a meno che: 1) le parti non abbiano stabilito che lo stesso non è assorbibile; 2) la contrattazione collettiva non stabilisca che l’aumento non assorbe i superminimi individuali goduti dai lavoratori; 3) le parti del rapporto di lavoro hanno attribuito al superminimo la natura di compenso speciale strettamente collegato a particolari meriti o alla speciale qualità o maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente. Il superminimo individuale è nella piena disponibilità delle parti, non riguardando l’applicazione di disposizioni inderogabili della legge o dei contratti collettivi, con la conseguenza che lo stesso in accordo tra le parti può essere successivamente eliminato o ridotto. In tal caso: - non trova infatti applicazione l’art. 2103 c.c. in quanto il lavoratore con la rinuncia o la riduzione non dispone di diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore ma regola semplicemente il rapporto di lavoro per il futuro; - seppure la normativa non lo preveda espressamente ed è valido e non impugnabile il semplice accordo tra le Parti, è preferibile un accordo in sede protetta (ex. art. 411/410 c.p.c.) onde evitare un contenzioso con il lavoratore in merito alla effettiva volontà delle parti, e in particolare, del lavoratore) ovvero alla natura degli emolumenti oggetto di riduzione. Retribuzione in natura - fringe benefit Ai sensi dell’art. 2099 c.c. il lavoratore può essere retribuito in tutto o in parte anche con prestazioni in natura e l’erogazione in natura può avvenire anche mediante il riconoscimento o la concessione di determinati beni e servizi che danno una certa utilità per il lavoratore beneficiario e che vengono definiti fringe benefit. Assumendo natura retributiva, anche ai fringe benefit trova applicazione il principio di irriducibilità della retribuzione con la conseguenza che il bene può essere revocato solo in accordo tra le Parti e con rinuncia dello stesso da parte del lavoratore. In alcuni casi, la giurisprudenza ha riconosciuto la possibilità di revoca unilaterale del bene fermo restando il diritto dei lavoratori a mantenere il livello retributivo conseguito attraverso il beneficio dell’uso dell’auto; è il caso, per esempio, dell’autovettura concessa ad uso promiscuo dove, in assenza di criteri certi, la determinazione del controvalore in denaro spettante a titolo “risarcitorio” per la revoca unilaterale dell’auto viene determinato in conformità̀ con la previsione dell’art. 51 TUIR (valore fringe ACI). Straordinario forfetizzato Si tratta di un accordo sottoscritto tra le Parti, al momento dell’assunzione o in un momento successivo, con il quale si stabilisce di riconoscere “in ogni caso” al lavoratore una quota massima di lavoro straordinario indipendentemente dalla reale prestazione dello stesso. La giurisprudenza, sulla validità di tale accordo, ha più volte stabilito che è illecita e quindi nulla: - la clausola che prevede la retribuzione di una quota a forfait indipendentemente dalle ore svolte; - la clausola che non stabilisce quante sono le ore di lavoro straordinario forfetizzato su base mensile/annuale. Essendo la forfetizzazione una indennità sostitutiva del lavoro straordinario ordinario previsto dalla legge e dalla contrattazione collettiva, il venir meno delle condizioni che ne avevano giustificato il riconoscimento consente al datore di lavoro di revocarne l’importo e dalla revoca non si andrebbe a violare il principio di irriducibilità della retribuzione in quanto il lavoratore, qualora dovesse svolgere in seguito ore di lavoro straordinario, avrebbe diritto ali compensi e alle maggiorazioni previste dal contratto collettivo.
Attenzione però: la giurisprudenza, sul tema ha stabilito che il compenso forfetario della prestazione resa oltre l’orario normale di lavoro accordato al lavoratore per lungo tempo, qualora non sia correlato all’entità presumibile della prestazione straordinaria resa, costituisce attribuzione patrimoniale che, con il tempo, assume funzione diversa da quella originaria , diviene un superminimo che fa parte della retribuzione ordinaria e non e riducibile unilateralmente dal datore di lavoro (Cassazione 12.1.2011, n. 542). |