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Archivio newsBonus energia, detassazione e contrattazione aziendale. Ma a chi spetta contrastare l’inflazione?
Una norma, apparentemente innocua, del decreto Aiuti quater aumenta il tetto dei fringe benefit aziendali solo per il 2022, consentendo il rimborso del pagamento di bollette di luce, acqua e gas, anche avvenuto tardivamente, ma solo a condizione che sia relativo all’esercizio dell’anno oramai in chiusura. La norma sembra, però, ora passata in secondo piano, dopo che tra le misure previste dalla legge di Bilancio 2023 si è registrato sia un potenziamento dei bonus luce e gas, sia un rilancio della detassazione degli importi erogati a seguito di contrattazione aziendale. Ma, sulla base degli accordi adottati, sembra che spetti soprattutto alle misure messe in campo dal Governo contrastare la fiammata inflattiva (e speculativa) di questi ultimi mesi.
Sebbene il disegno di legge di Bilancio 2023 abbia da poco cominciato il suo iter parlamentare, non può restare senza un commento una vicenda che ha agitato non poco il mondo delle relazioni industriali durante la sua fase di preparazione: si tratta di una norma del decreto Aiuti quater (n. 176 del 18 novembre 2022) che aumenta il tetto per i fringe benefit aziendali da 600 a 3000 euro, ma solo per il 2022, consentendo così il rimborso del pagamento di bollette di luce, acqua e gas, anche avvenuto tardivamente, ma solo a condizione che sia relativo all’esercizio dell’anno oramai in chiusura (art. 3, Misure di sostegno per fronteggiare il caro bollette, comma 10).Ascolta il Podcast Fringe benefit fino a 3.000 euro: quali modalità per l’erogazione? Una norma apparentemente innocua, dunque, che si collocava nella scia di quanto già disposto dal Governo Draghi (tanto che ad essere aumentata è solo la soglia minima), prevedendo un bonus esentasse per i lavoratori e completamente deducibile per le imprese. Le critiche erano state congiunte e contrarie: da parte delle imprese, perché sembrava ancora una volta che si volesse utilizzare il sistema di predisposizione di paghe e contributi per raggiungere i lavoratori a reddito fisso e, da parte del sindacato, perché si temeva che volesse così introdurre una misura che, di fatto, rischiava di rimanere limitata ai soli lavoratori occupati alle dipendenze delle imprese più grandi. La questione sembra però ora passata in secondo piano, dopo che tra le misure previste dalla futura Manovra finanziaria si è potuto registrare, per un verso, un potenziamento dei bonus luce e gas riservato alle famiglie in difficoltà economica, e per un altro, un rilancio della detassazione degli importi erogati a seguito di contrattazione aziendale, con il dimezzamento (dal 10 al 5%) dell’aliquota fiscale sulle voci salariali, frutto di accordi integrativi. Per un verso, insomma, sembra che l’apparato pubblico sia in grado di individuare direttamente (per il tramite di una triangolazione fra l’INPS, l’Autorità per l’energia e i sistemi informatici pubblici) le famiglie che si trovano in difficoltà economica, senza dover coinvolgere le imprese, così da assicurare uno sconto direttamente sui costi esposti nella bolletta, sulla base del tetto ISEE dichiarato. Per un altro, il rilancio della detassazione del salario integrativo aziendale appare come un indice importante della volontà di puntare sui sistemi di retribuzione a incentivo per rilanciare la produttività delle imprese dell’Italia, che rimane ancora oggi uno dei punti che fanno registrare tutto l’affanno del sistema industriale italiano rispetto agli altri Paesi europei. Non si deve dimenticare, in questo senso, che la ripresa dell’inflazione è, per la gran parte, conseguente all’incremento dei prezzi dell’energia, di modo che essa sembrerebbe rimanere al di fuori del meccanismo di adeguamento dei salari pattuito a livello interconfederale dopo la ormai lontana (ma mai dimenticata) disdetta della scala mobile (e cioè di quel meccanismo di adeguamento automatico dei salari, su base trimestrale, che alla fine aveva finito per essere uno strumento di moltiplicazione del tasso d’inflazione effettiva, danneggiando i lavoratori e le stesse casse dello Stato). Già nell’accordo interconfederale sottoscritto da Confindustria e da CGIL, CISL e UIL nell’aprile 2009 si è stabilito, infatti, a correzione delle previsioni “del protocollo Ciampi” del 1993 (che mise fine in via definitiva alla “scala mobile”), che, al momento del rinnovo dei contratti di categoria, gli incrementi retributivi vengano determinati, non più in relazione all’inflazione programmata (così come fissata in precedenza dal Governo nel DPEF - documento di programmazione economica e finanziaria), ma sulla base di in un nuovo indice previsionale costruito in relazione all’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia, depurato - però - dalla “dinamica dei prezzi dei beni energetici importati”. L’indice in questione (denominato IPCA: “indice dei prezzi la consumo armonizzati”) è stato sviluppato dall’Istituto di Statistica, sulla scorta del Regolamento CEE n. 2494 del 23 ottobre 1995, per assicurare una misura dell’inflazione comparabile a livello europeo, suscettibile di essere registrata dall’Istituto europeo (Eurostat), anche ai fini dell’accesso e della permanenza dei singoli stati nell’Unione monetaria. Esso assume a riferimento per il calcolo delle variazioni l’intera popolazione nazionale, e non più solo i consumi “operai”. A differenza dei sistemi di rilevazione utilizzati in precedenza, però, il nuovo indice si riferisce al prezzo effettivamente pagato dal consumatore, tenendo conto dunque, sia di eventuali costi aggiuntivi, sia delle riduzioni temporanee di prezzo o di aumenti anomali. Insomma, le fibrillazioni del mondo sindacale sono tutt’altro che frutto di un fraintendimento o di un equivoco facile a chiarirsi, poiché, sottoscrivendo un accordo collettivo che non attribuisce rilievo ai prezzi dell’energia (e che rinvia ad appositi incontri a consuntivo per la revisione dei salari definiti a livello nazionale dalla contrattazione collettiva di categoria), il sindacato si è obbligato a rispettare nei prossimi anni una dinamica lontana dall’andamento effettivo dei prezzi, sicché è solo alle misure messe in campo dal Governo che spetta di contrastare la fiammata inflattiva (e speculativa) di questi ultimi mesi. Un impegno tutt’altro che modesto, quello delle organizzazioni dei lavoratori, ove si pensi che all’accettazione di questo sistema è collegata sia la ripresa di relazioni sindacali partecipate, anche a livello aziendale, sia la rinunzia a rivendicazioni slegate dagli indici concordati. Copyright © - Riproduzione riservata