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Archivio newsPensioni: come funzionerà il nuovo meccanismo di perequazione per il 2023-2024
Per il biennio 2023-2024 è prevista una parziale revisione delle percentuali di indicizzazione delle pensioni. La legge di Bilancio conferma, in particolare, l’adeguamento del 100% all’inflazione per gli assegni fino a 4 volte il minimo, sale dall'80 all'85% la rivalutazione per gli assegni tra 4 e 5 volte il minimo, mentre per le pensioni di importo più elevato gli scaglioni vengono rivisti con una riduzione della percentuale. L’intervento non determina effetti sulla finanza pubblica in quanto risultano confermati i profili di minore spesa pensionistica già valutati in sede di relazione tecnica.
La legge di Bilancio 2023 (legge n. 197/2022) contiene tra le misure in materia previdenziale una rimodulazione per il biennio 2023-2024 del meccanismo di indicizzazione dei trattamenti pensionistici. Si conferma, in particolare, l’adeguamento pieno del 100% all’inflazione per gli assegni fino a 4 volte il minimo, sale dall'80 all'85% la rivalutazione per gli assegni tra 4 e 5 volte il minimo mentre per le pensioni di importo più elevato gli scaglioni vengono rivisti con una riduzione della percentuale Cosa prevedeva il disegno di legge di Bilancio Il testo originario prevedeva per i prossimi due anni una disciplina speciale per l'indicizzazione dei trattamenti pensionistici, confermando una perequazione automatica pari al 100 per cento della variazione dell'indice del costo della vita per i trattamenti di importo fino a quattro volte il trattamento minimo INPS e riconoscendo una perequazione in misura variabile da 80 a 35 punti percentuali (in luogo della forbice attualmente prevista che varia dal 90 al 75 per cento), in relazione a determinate classi di importo del complesso dei trattamenti che variano da cinque a dieci volte il trattamento minimo INPS. Va ricordato come la normativa vigente considera invece solo i trattamenti tra quattro e cinque volte il trattamento minimo e quelli superiori a cinque volte il predetto importo. Così come evidenzia l’Ufficio Parlamentare di Bilancio le nuove norme prevedono un meccanismo a fasce simile a quello adottato nel biennio 2020-21 al posto di quello per scaglioni che era stato reintrodotto stabilmente dal 2022. Nel primo caso l’indicizzazione è “secca”: l’intero importo dell’assegno viene rivalutato in base a un’unica percentuale, che varia a seconda della fascia in cui rientra la pensione. Nel secondo caso, invece, ai diversi scaglioni della stessa pensione vengono applicate diverse percentuali, con un meccanismo analogo a quello previsto per l’IRPEF. Sul fronte dei costi, le stime della Relazione tecnica, che si confermano ora anche con l’intervento introdotto, prevedono che nel 2023, con un’inflazione al 7,3 per cento, la modifica comporta una minore spesa, al netto degli effetti fiscali, di oltre 2,1 miliardi, mentre nel 2024, con un’inflazione al 5,9 per cento, il risparmio per lo Stato è di poco inferiore a 4,1 miliardi. Le osservazioni dell’UPB e della Corte dei Conti Sull’intervento va riportato come l’UPB osserva come in generale, lo schema per il 2023-24 è molto meno favorevole di quello in vigore nel 2022, soprattutto per le pensioni superiori a cinque volte il minimo. Sottolinea ancora come rispetto alle persone in età attiva, i pensionati hanno molte meno possibilità di difendersi dall’inflazione, e pertanto il mantenimento del loro potere di acquisto è affidato quasi esclusivamente all’indicizzazione. Per le quote delle pensioni calcolate con le regole contributive (destinate a crescere nel tempo), il rallentamento o il congelamento anche temporaneo della rivalutazione è da considerarsi alla stregua di un’imposta. Se viene indebolita la regolare indicizzazione ai prezzi anno per anno, alla fine il pensionato riceve, come rendita, meno di quanto gli spetterebbe. Le regole sulla rivalutazione dovrebbero quindi rimanere il più possibile stabili, conclude l’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Si riportano ancora le considerazioni della Corte dei Conti che sottolinea come, discostandosi dalla vigente normativa che dopo anni di modifiche ed andamenti a stop and go puntava ad una semplificazione e stabilizzazione del meccanismo di indicizzazione ai prezzi, il legislatore rinuncia ai tre scaglioni di reddito pensionistico che avrebbero determinato, in una logica di progressività/regressività, gli adeguamenti degli assegni e dispone un meccanismo articolato su sei fasce di reddito, con una copertura decrescente fino ad un minimo del 35 per cento del tasso di inflazione (il 7,3 per cento, quello relativo al 2022 temporaneamente stabilito). Si determina così una marcata redistribuzione di risorse a svantaggio degli assicurati di fascia di reddito pensionistico medio e medio-alto. In materia pensionistica le scelte degli ultimi anni, prosegue la Magistrature contabile, potrebbero dare l’impressione che si stia rinunciando a costruire un sistema previdenziale imperniato su regole stabili, certe, di lunga durata; quasi come se si preferisse intervenire di volta in volta con provvedimenti ad hoc, tarati sulla base di specifiche circostanze e condizionati, spesso e inevitabilmente, dalla congiuntura macro-finanziaria. E che non si contrasti adeguatamente l’idea di un sistema che considera i pensionati non tanto come assicurati aventi diritto a predeterminate prestazioni calcolate in funzione dei premi versati, quanto piuttosto quasi come “dipendenti” delle Amministrazioni pubbliche ai quali di volta in volta si decide o di concedere benefici che si iscrivono, sostanzialmente, nell’alveo delle politiche assistenziali ,Sarebbe importante che l’annunciato intervento di riforma strutturale dissipasse tali dubbi, osserva ancora la Corte dei Conti Le novità della legge di Bilancio 2023 Quali sono le novità ora introdotte? Si eleva dall’80 all’85% la rivalutazione degli assegni compresi tra 4 e 5 volte il minimo mentre si riduce dal 55% al 53% per le pensioni tra 5 a 6 volte il minimo; da 50% a 47% tra 6 e 8 volte il minimo da 40% a 37% da 8 a 10 volte il minimo e da 35% a 32% negli assegni oltre 10 volte il minimo. Come viene specificato l’intervento non determina effetti sulla finanza pubblica in quanto risultano confermati i profili di minore spesa pensionistica già valutati in sede di relazione tecnica. Copyright © - Riproduzione riservata