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Archivio newsSuperare la legge Fornero? Appunti per la riforma delle pensioni
La legge di Bilancio 2023 ha istituito Quota 103, mantenuto e rimodulato la sperimentazione dell’Ape sociale e di Opzione donna. Il problema pensioni resta. Gli argomenti posti sul tavolo dai sindacati riguardano, principalmente, la flessibilità rispetto ai paletti della legge Fornero. Se vogliamo superare la legge Fornero, qual è l’unica soluzione? Introdurre un criterio di anticipo flessibile per accedere alla pensione. Molte proposte sono circolate: 62, 63 o 64 anni, con un diverso impatto sui costi. Ma questo anticipo flessibile deve, a mio avviso, essere strutturale e universale. Cioè, riguardare tutti i lavoratori, per alcuni con una flessibilità su misura!
Il Governo Meloni sta affrontando una delle non poche, difficili e insidiose partite aperte: il confronto con i sindacati sulla riforma del sistema pensionistico. Dopo la legge di Bilancio 2023, con i noti interventi di istituzione di Quota 103, mantenimento e rimodulazione della sperimentazione dell’Ape sociale e di Opzione donna, si viene, dunque, al nodo più difficile. Gli argomenti posti sul tavolo dai sindacati sono la flessibilità rispetto ai paletti della legge Fornero, l’adozione di misure per una pensione dignitosa per i giovani, la considerazione sul carattere particolare del lavoro delle donne alle quali va riconosciuto un percorso preferenziale di accesso alla pensione, nonché una rinnovata attenzione alla previdenza complementare. Partiamo, come sempre, quando si affronta questo argomento, da un primo punto: come si possa mantenere sostenibile questo sistema a ripartizione. Definizione - sistema a ripartizione - che vuol dire che chi lavora paga, attraverso i suoi contributi, la pensione a chi non lavora più. Molto importante è, perciò, il rapporto tra numero di lavoratori attivi e numero di pensionati. Questo è un dato di partenza. Naturalmente, in termini tendenziali è altrettanto importante sapere quali sono gli elementi di stabilità del lavoro, il che significa continuità nell’erogazione dei contributi. E, naturalmente, anche qualità del lavoro, che significa retribuzione e, quindi, maggiori o minori contributi. Ma torniamo al numero. Quando ho cominciato a lavorare, il 1° ottobre del 1968, avevamo un rapporto di tre lavoratori attivi rispetto a un pensionato. Alla fine del 2022, secondo i dati recentemente pubblicati dall’INPS, questo rapporto è sceso a 1,4 a 1. In chiusura degli anni 20 di questo secolo, saremo a 1,3. E, a metà del secolo, il rapporto potrebbe, addirittura, diventare 1 a 1. Tutto questo ci interroga sul tema della sostenibilità del sistema previdenziale. Come ho detto in precedenza, il rapporto numerico è molto importante. Ma dentro il rapporto numerico c’è anche la qualità della prestazione in termini di durata e remunerazione e, quindi, di contributi versati da chi lavora. Voglio, a questo punto, mettere in evidenza anche gli elementi di correzione introdotti nel sistema pensionistico nel corso degli ultimi trent’anni. Un caposaldo rimane, ancora oggi, la riforma Dini del 1995, che ha introdotto, in modo molto graduale, il sistema contributivo, che sostituisce il precedente sistema retributivo, adottato alla fine degli anni 60. Dopo la riforma del ’95 ci sono stati molti, ulteriori aggiustamenti. I quali, pur operati da Governi di diverso orientamento politico e con effetti pratici a “fisarmonica” - ora si alza, ora si abbassa il limite dell’età -, hanno tuttavia contribuito a migliorare i conti previdenziali. Il Documento di economia e finanza (DEF) per il 2016 afferma che “cumulativamente, la minore incidenza di tale spesa in rapporto al PIL, derivante dal complessivo processo di riforma avviato nel 2004, ammonta a circa 60 punti percentuali del PIL fino al 2050”. Il "Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2016" della Corte dei Conti afferma che “la riforma del 2007 ha permesso una riduzione pari all’uno per cento di PIL” all’anno, e ciò “per un periodo di almeno quindici anni”. Quanto alle riforme del biennio 2010-2011, hanno garantito “una ulteriore riduzione di pari ammontare”. Insomma, un risparmio complessivo, al 2050, pari a 900 miliardi di euro. Una cifra colossale. Inoltre, quando parliamo di previdenza, bisogna anche valutare l’impatto che essa ha sul PIL del Paese. Secondo calcoli statistici dell’ISTAT, uniformati al metodo europeo, oscilliamo tra il 16 e il 17%. Secondo altri calcoli siamo al 12%. Questo in ragione di due fattori: la separazione della spesa per la previdenza da quella per l’assistenza, obiettivo da sempre dichiarato, ma mai raggiunto; la sottrazione dell’impatto della tassazione sulle pensioni. Ogni anno, infatti, i pensionati restituiscono allo Stato 60 miliardi di euro, una partita di giro che deve essere considerata. Nel riesame della situazione si dovrà tenere conto di alcuni fattori nuovi: natalità, occupazione, rapporto tra occupati e pensionati. Perché dopo i sostegni dell’epoca pandemica, che hanno spinto il PIL di nuovo a percentuali considerevoli, è molto probabile che si torni a un rallentamento che investirà, ovviamente, anche il versante dell’occupazione. Quindi, si presenta la necessità di una revisione strategica degli impatti - curva demografica, curva migratoria, tassi di sviluppo, rapporto attivi-inattivi - di qui a metà secolo. Al tempo stesso, ci troviamo di fronte alla necessità di introdurre cambiamenti. Personalmente, sono sempre stato fautore del superamento della legge Fornero. Superamento che non è stato ottenuto con le Quote 100, 102 e 103. La legge Fornero è rimasta com’era. Queste quote di anticipo pensionistico, ovviamente, sono andate a vantaggio di coloro che hanno particolari condizioni. Soprattutto lavoratori del pubblico impiego, maschi e femmine; o lavoratori del privato prevalentemente maschi, in particolare residenti nelle regioni settentrionali che hanno avuto la fortuna di avere una continuità lavorativa di almeno 41 anni per Quota 103. Già raggiungere oggi quei traguardi di contribuzione sicuramente non è facile. Per i nostri figli, allo stato dei fatti, sarà un miraggio. Quindi, se vogliamo superare la legge Fornero, qual è l’unica soluzione? Si tratta di introdurre un criterio di anticipo flessibile per accedere alla pensione. Molte proposte sono circolate: 62, 63 o 64 anni, con un diverso impatto sui costi. Questo anticipo flessibile deve, a mio avviso, essere strutturale e universale. Cioè, riguardare tutti i lavoratori. Ma considerando che i lavoratori si dividono in due platee fondamentali. Chi svolge nell’arco della vita di lavoro un’attività usurante o gravosa, già legislativamente normata, e chi svolge lavori che noi giudichiamo normali come quelli di concetto e intellettuali. Attenzione: per questi ultimi va prevista una flessibilità su misura, che non escluda una leggera penalizzazione della parte retributiva dell’assegno pensionistico. Copyright © - Riproduzione riservata
Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/02/04/superare-legge-fornero-appunti-riforma-pensioni