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Come aiutare le imprese nella formazione del personale? Ci sono i fondi del PNRR

Il mercato del lavoro rimane in sofferenza, per vari motivi, tra cui il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Ma le ultime stime del CNEL registrano fino al 2026 la possibilità di incrementare l’occupazione grazie al PNRR. Per raggiungere quest’obiettivo è necessario che le imprese italiane, nonché le pubbliche amministrazioni, facciano (finalmente) ricorso ai fondi europei. Dovranno mettersi alla ricerca di personale qualificato, ma anche formare il proprio personale, se non vogliono rimanere indietro con le innovazioni dettate dal PNRR nei processi tecnologici e nella transizione “verde” e digitale. Non c’è, dunque, tempo da perdere…

Per quanto il numero degli occupati abbia fatto rilevare negli ultimi mesi una sicura crescita, il mercato del lavoro italiano rimane in sofferenza, per vari aspetti. Non è solo l’invecchiamento della popolazione attiva (oramai compensato solo in parte dalla crescita della presenza femminile) che incide negativamente sull’occupazione complessiva, ma il mancato incontro (o mismatch) tra domanda e offerta di lavoro, tanto che l’ultimo rapporto del CNEL, presentato a dicembre 2022, continua a registrare a riguardo dati preoccupanti (si pensi che nel periodo gennaio-settembre 2022, su quasi 420 mila nuove assunzioni mediamente previste, oltre il 40% risultava di difficile reperimento, mentre nello stesso periodo del 2019, tale quota si attestava al 28%). Le stime del CNEL registrano fino al 2026 la possibilità di incrementare l’occupazione grazie al PNRR per oltre 4 milioni di unità, di cui circa 2 milioni e mezzo con una qualificazione “intermedia”, mentre al residuo milione e mezzo sarà richiesta una formazione di livello universitario. Mancano non solo le professioni tecniche legate alla transizione digitale, ma anche centinaia di migliaia di professionalità richieste dal settore pubblico, in particolare nei settori della sanità e dei servizi sociali. Ed in effetti, la carenza di professionalità sembra investire, innanzitutto, proprio l’apparato amministrativo, tanto che l’aggiornamento (almeno delle competenze informatiche) è stato al centro dell’ultimo rinnovo contrattuale (sottoscritto però con incredibile ritardo per il personale del comparto «funzioni centrali» solo nello scorso aprile 2021). Si è scoperto, infatti, non solo che le ore destinate alla formazione permanente erano drasticamente calate negli ultimi anni, ma che il dilatarsi, nel totale complessivo dei dipendenti pubblici, della fascia di età fra i 50 e i 60 anni, rendeva questo personale poco incline di per sé alla transizione digitale e sprovvisto, per il dato anagrafico, di un autonomo bagaglio che consentisse di interfacciarsi senza difficoltà con i sistemi messi a disposizione dal datore di lavoro pubblico. I risultati del piano, lanciato nella scorsa legislatura dal ministro Brunetta, però, sono ancora scarsi, e segnalano un avanzamento modestissimo rispetto agli obiettivi che ci si era posti nel gennaio dello scorso anno. Non è cosa da poco, se si pensa che l’Italia, se confrontata con tutti gli altri Paesi europei (anche extra-UE), rimane penultima per percentuale di laureati occupati nella Pubblica amministrazione, collocandosi fra la Romania e la Turchia. Per quanto sia difficile fare una stima esatta delle professionalità richieste (poiché gli enti pubblici italiani sono spesso soggetti che erogano direttamente servizi, come nel caso dei comuni e degli altri enti locali), l’esigenza di personale laureato è avvertita in tutti i settori, tanto che, secondo recenti stime del Dipartimento della Funzione pubblica, nell’ultimo decennio il numero di laureati che lavorano nella PA è cresciuto del 21,5%, di modo che essi rappresentano adesso il 41,5% del totale del personale (che ammonta complessivamente a 3,2 milioni).Tanto rimane però ancora da fare. Ed infatti, nei prossimi anni non si registrerà solo carenza di medici, infermieri, fisioterapisti, e di professionisti qualificate nei servizi sanitari e sociali, ma anche le imprese private dovranno mettersi in caccia di personale qualificato, se non vogliono rimanere indietro con le prossime innovazioni dettate dal PNRR nei processi di innovazione tecnologica e di transizione “verde” e digitale. Si cercano soprattutto specialisti in scienze “dure” (come matematici, informatici, tecnici ICT, ingegneri e tecnici), ma anche esperti di processo e professionisti con competenze trasversali nei settori dell’economia, del diritto, del management. A queste esigenze dovrebbe rispondere, innanzitutto, il sistema pubblico (e privato) di formazione, poiché ogni giorno più intollerabile è il paradosso del mercato del lavoro italiano, che registra, per un verso, una perdurante inattività giovanile, e, al contempo, una richiesta insoddisfatta di professionalità nuove. Ed infatti l’Italia ha bisogno di investire sulle giovani generazioni, dato che oltre 3 milioni di giovani tra 15 e 34 anni non sono occupati, non vanno a scuola e non si formano. Sono i famosi NEET, che fanno sì che la partecipazione dei giovani al mercato del lavoro sia di 14 punti inferiore alla media europea. Le carenze, peraltro, non investono solo il segmento elevato del percorso formativo, ma anche quello intermedio, dove si formano i tecnici, se è vero che solo il 39% dei giovani italiani nella fascia 16 - 24 anni ha competenze digitali superiori a quelle di base, contro quasi il 60% dei coetanei francesi, il 65% dei tedeschi e addirittura il 69% degli spagnoli (e nella fascia di età successiva va anche peggio). La situazione è grave e il ritardo esiste da tempo, tanto che sono decenni che si lamenta lo scarsissimo ricorso ai fondi europei da parte delle imprese italiane nonché delle pubbliche amministrazioni. La sfida che il PNRR pone all’Italia è dunque di quelle che segna un’epoca, come si sono incaricate di dimostrare le vicende politiche recenti. I fondi messi a disposizione dal PNRR sono enormi: circa 222 miliardi di investimenti con orizzonte al 2026, con finanziamenti per 191,5 miliardi di euro a carico dei fondi UE e ulteriori 30,6 miliardi raccolti in un Fondo creato attraverso uno scostamento pluriennale di bilancio approvato dal Governo italiano.Ascolta il Podcast di Pierluigi Rausei Non c’è, dunque, tempo da perdere per realizzare una più forte partnership fra pubblico e privato per assicurare l’accesso ai finanziamenti e, di conseguenza, l’adeguamento del sistema produttivo e il miglioramento del livello di competenze professionali degli occupati italiani. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/03/11/aiutare-imprese-formazione-personale-fondi-pnrr

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