News
Archivio newsCompensazione dei debiti contributivi con crediti fiscali: ancora dubbi sull’effettiva possibilità
Nonostante le consolidate posizioni dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate in materia di compensazione orizzontale, un orientamento della giurisprudenza di merito mette in discussione la legittimità della compensazione dei debiti contributivi con i crediti d’imposta. Un eventuale consolidamento di tale orientamento potrebbe generare rilevanti riflessi negativi in quanto i contribuenti potrebbero andare incontro a problemi di liquidità; criticità che strumenti come quello della compensazione orizzontale, mirano a scongiurare. Inoltre, potrebbero generarsi problematiche sul soggetto titolato a recuperare il credito compensato ove lo stesso fosse ritenuto inesistente. Quali sono le ragioni poste alla base delle decisioni dei giudici del lavoro?
È consuetudine per i contribuenti titolari di crediti d’imposta, sia di natura agevolativa che derivanti da versamenti in eccesso, compensare detti crediti con i debiti contributivi. I debiti contributivi sono una posta per cui, fisiologicamente - a differenza di quanto accade sul fronte imposte dirette e IVA - le imprese presentano una posizione debitoria, che sono soliti compensare con eventuali crediti erariali maturati. Detta possibilità, anche grazie a risalenti e consolidati orientamenti di prassi su cui i contribuenti hanno fatto legittimamente affidamento, non presentava particolari profili di incertezza. Sul tema si segnala un recente orientamento della giurisprudenza di merito che sembrerebbe definire detta compensazione orizzontale come preclusa nel nostro sistema tributario. La normativa di riferimento L’art. 17, comma 1 del D.Lgs. n. 241/1997 prevede la possibilità per i contribuenti di operare, in sede di versamento dei tributi, la “compensazione orizzontale”. In applicazione della citata disposizione normativa, dunque, i contribuenti hanno la facoltà di eseguire “[…] i versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti […]”. Come anche evidenziato da Assonime (Caso n. 3/2023), il legislatore fiscale, attraverso la norma in commento, ha perseguito un obiettivo di semplificazione, permettendo al contribuente di operare versamenti tramite compensazione tra poste creditorie e debitorie, prevedendo in capo agli enti l’onere di ripartirsi il gettito. Sul tema sono intervenuti sia l’INPS che la stessa Agenzia delle Entrate; entrambi hanno sin da subito confermato la legittimità, in base al dato normativo, della compensazione orizzontale tra crediti e debiti di diversa natura (come nel caso di crediti erariali utilizzati per compensare debiti di natura contributiva), esistenti tra i soggetti di cui al citato comma 1. Pertanto, considerando la ratio della norma e le interpretazioni di prassi intervenute in materia, non sembravano esserci dubbi circa la legittimità della compensazione dei debiti contributivi con i crediti erariali (e.g., credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, credito per investimenti in beni strumentali nuovi, credito per l’acquisto di energia e gas). L’orientamento giurisprudenziale Sul tema si segnala un recente orientamento della giurisprudenza civilistica di merito (sezione lavoro) che sembra basarsi su un’interpretazione rigida, di tipo letterale, del citato art. 17. Come emerge da dette pronunce dei giudici del lavoro, nonostante il chiarimento reso dalla stessa INPS con la circolare n. 79/1998, circa la legittimità della compensazione in commento - conformemente alla ratio della norma e ai chiarimenti resi dall’Agenzia delle Entrate -, detto ente ha notificato atti di addebito per il recupero di debiti contributivi assolti tramite la compensazione di crediti erariali. Dalla lettura delle sentenze dei giudici del lavoro (cfr. Tribunale di Milano 29 dicembre 2022 n. 7823, Tribunale di Brescia 22 febbraio 2022 n. 1251, Tribunale di Milano 19 ottobre 2021 n. 2207) si evince che la compensazione dei debiti contributivi con i crediti di natura fiscale, ai sensi del citato art. 17, sia preclusa nel nostro sistema tributario a prescindere dall’effettiva sussistenza del credito utilizzato in compensazione. Pertanto, nonostante le contestazioni mosse dall’INPS sembrano avere a oggetto, per lo più, la compensazione con crediti d’imposta inesistenti, i giudici del lavoro sottolineano che la compensazione non risulterebbe comunque legittima anche in presenza di un credito effettivamente esistente. Le ragioni alla base di detta conclusione sembrano poggiarsi su un’interpretazione letterale della norma; infatti, a parere dei giudici, l’inciso “[…] eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti […]”, mira a legittimare unicamente la compensazione tra debiti e crediti verso un medesimo soggetto tra quelli elencati nel citato comma 1. Considerazioni finali L’interpretazione accolta dalle citate pronunce giurisprudenziali, tuttavia, non sembrerebbe essere in linea con l’obiettivo perseguito dal legislatore attraverso l’introduzione del citato art. 17. Si ritiene, difatti, che la locuzione “[…] nei confronti dei medesimi soggetti […]” debba essere interpretata nel senso che il contribuente possa compensare debiti con i crediti verso gli stessi soggetti indicati al comma 1 (i.e., Stato, regioni ed enti previdenziali), ma che non sia richiesta un’identità soggettiva tra posta debitoria e creditoria, come sostenuto, invece, dall’orientamento giurisprudenziale sopra descritto. Considerata la rilevanza e delicatezza del tema in commento, si ravvisa la necessità di un tempestivo chiarimento circa l’ambito applicativo di detta norma, al fine di delineare maggiormente l’ambito di operatività dei contribuenti, anche in considerazione delle numerose agevolazioni, nella forma di crediti d’imposta, introdotte negli ultimi tempi per far fronte alla crisi, le quali subirebbero una forte contrazione circa le loro possibilità di sfruttamento. Sul punto si segnala un ulteriore profilo di incertezza: qualora oggetto della compensazione dovesse essere un credito d’imposta inesistente, quale ente risulta legittimato ad avanzare al contribuente la contestazione? Considerando le norme in materia di ripartizione delle risorse tra gli enti, in caso di compensazione, il debito contributivo dovrebbe, in linea di principio, ritenersi soddisfatto; pertanto, il soggetto legittimato sembrerebbe essere l’Agenzia delle Entrate (nel caso, ad esempio, di crediti IVA), in quanto la compensazione non dovrebbe risentire della bontà del credito; inoltre, nel caso di indebita compensazione, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate, il contribuente, per sanare la propria posizione, dovrebbe procedere con un corrispondente versamento (pari all’importo del credito indebitamente compensato) atto a ripristinare la capienza originaria del credito (cfr. circolare n. 101/E/2000). Sul punto si evidenzia che una certa giurisprudenza di merito sembra, al contrario, sostenere che le vicende che coinvolgono il credito si riflettono, di conseguenza, sull’efficacia satisfattiva della compensazione; pertanto, sulla scorta di detta interpretazione, il soggetto legittimato a sollevare detta contestazione sembrerebbe possa essere l’INPS. Anche detto tema dovrebbe essere oggetto di chiarimenti, al fine di evitare la duplicazione di contestazioni in capo ai contribuenti, da parte dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate, in caso di compensazioni operate utilizzando crediti inesistenti. Copyright © - Riproduzione riservata