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Archivio newsWhistleblowing: nuove condizioni per le segnalazioni dei lavoratori
Il D.Lgs. n. 24 del 2023 ridisegna la normativa italiana in materia di whistleblowing nel settore pubblico e nel settore privato. Tra le più importanti novità particolare attenzione va posta all’ambito di applicazione e alle nuove condizioni per le segnalazioni esterne e le divulgazioni pubbliche. Si tratta di un profilo del tutto innovativo introdotto dal decreto e con pochi precedenti sul piano lavoristico nel nostro ordinamento. Quali condizioni devono rispettare le segnalazioni del whistleblower?
Con il D.Lgs. 10 marzo 2023 n. 24, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 63 del 15 marzo 2023, il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva Ue 2019/1937 del Parlamento Europeo e del Consiglio, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali. Si conclude così, con ritardo rispetto all’originario termine previsto dalla Direttiva del 17 dicembre 2021, l’iter di riscrittura pressoché integrale della precedente normativa italiana in materia di whistleblowing introdotta per la prima volta in Italia - nel settore pubblico - con la legge n. 190/2012 (Severino) e poi estesa con la legge n. 179/2017 anche al settore privato. La riforma legislativa si caratterizza per l’ampiezza dell’intervento e per una notevole complessità, così da impattare in modo significativo tanto per quanto riguarda i futuri adempimenti dei datori di lavoro (pubblici e privati) quanto con la possibile corretta fruizione e conoscibilità della disciplina da parte dei lavoratori. Ambito di applicazione Particolare attenzione meritano, preliminarmente, l’ambito di applicazione della disciplina e le condizioni che da ora accompagneranno le segnalazioni esterne e le divulgazioni pubbliche. Con riguardo al campo di applicazione soggettivo, la riforma da un lato elenca puntualmente i lavoratori coinvolti siano essi pubblici (anche non contrattualizzati di cui all’art. 3 D.Lgs. n. 165/2001) o privati (autonomi e subordinati), dall’altro conferma una applicazione estensiva delle tutele (anche durante il processo di selezione e dopo lo scioglimento del rapporto di lavoro) non solo verso figure in qualche modo assimilabili ai lavoratori (quali volontari e i tirocinanti, retribuiti e non retribuiti) ma anche a soggetti che lavoratori certamente non sono (come gli azionisti) e per i quali sembra difficile ipotizzare quale possa essere l’utilità di avvalersi degli strumenti predisposti dal decreto. Con riguardo all’ambito di applicazione oggettivo, innovativa è la terminologia utilizzata di “contesto lavorativo” in cui sia avvenuta la conoscenza di quanto segnalato (in sostituzione della precedente “occasione di lavoro”, reputata forse non sufficientemente ampia), salvo per il resto ribadirsi l’interesse per il contributo informativo proveniente da lavoratori appartenenti, per il settore pubblico, a quasi tutte le amministrazioni dello Stato nonchè alle autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione, gli enti pubblici economici, i concessionari di pubblico servizio, le società a controllo pubblico e le società in house, etc. Tale opzione estensiva si pone in netto contrasto con quanto previsto nel settore privato, dove la scelta se usufruire del possibile contenuto informativo delle segnalazioni è rimessa di regola ai datori di lavoro, salvo che per le imprese di una certa grandezza (“media di almeno 50 lavoratori impiegati nell’ultimo anno”, o anche meno, se sussiste rilievo comunitario) o che si presumono più strutturate sul piano organizzativo avendo già adottato un Modello di Organizzazione, Gestione e controllo di cui al D.Lgs. n. 231/2001 (MOG). A fronte del conseguente (e forse non desiderato) effetto dissuasivo dall’adottare un MOG da parte delle imprese, più condivisibile appare il richiamo più volte evocato nel decreto all’“interesse pubblico o integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato” che assurge a vero e proprio canone interpretativo generale al fine di valorizzare la legittimità (o meno) del contributo informativo di ciascun lavoratore. Ne consegue la conferma espressa - secondo un’interpretazione invero già emersa in passato, anche alla luce delle precedenti indicazioni dell’ANAC - dell’esclusione dall’ambito di applicazione del decreto sia delle “contestazioni, rivendicazioni o richieste legate ad un interesse di carattere personale…che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico, ovvero inerenti ai propri rapporti di lavoro o di impiego pubblico con le figure gerarchicamente sovraordinate” [art. 1 comma 2 lett. a) D.Lgs. n. 24/2023] sia delle violazioni la cui segnalazione sia già disciplinata “in via obbligatoria” dalla legge e/o dai contratti collettivi e di lavoro in capo a determinati lavoratori. Condizioni per le segnalazioni esterne e divulgazioni pubbliche Secondo profilo del tutto innovativo introdotto dal decreto e con pochi precedenti sul piano lavoristico nel nostro ordinamento, è la previsione di specifiche condizioni che da ora accompagneranno le segnalazioni esterne (in questo decreto curiosamente considerate come tali solo se rivolte all’ANAC) e le divulgazioni pubbliche dei lavoratori. La facoltà di svolgere segnalazioni esterne è ammessa e subordinata al fatto che l’impresa non abbia previsto “l’attivazione obbligatoria del canale di segnalazione interna” ovvero che “questo, anche se obbligatorio, non è attivo o conforme”; al fatto che “la persona segnalante ha già effettuato una segnalazione interna e la stessa non ha avuto seguito o si è conclusa con un provvedimento finale negativo”; al fatto che “la persona segnalante ha fondati motivi di ritenere che, se effettuasse una segnalazione interna, alla stessa non sarebbe dato efficace seguito ovvero possa determinare il rischio di ritorsione” o “che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse”. Analoga soluzione viene prevista con riguardo alle divulgazioni pubbliche che storicamente appaiono, anche alla luce della giurisprudenza specifica della Corte EDU, le modalità di segnalazione maggiormente capaci di ledere, sul piano non solo reputazionale, gli enti datori di lavoro. Anche queste ultime, in precedenza non regolate e al massimo valutabili alla luce dei principi di correttezza e buona fede, vengono subordinate - per poter beneficiare della protezione prevista dal decreto - alla condizione che il segnalante abbia “previamente effettuato una segnalazione interna ed esterna e non è stato dato riscontro nei termini previsti”; che “la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la violazione possa costituire un pericolo imminente o palese per il pubblico interesse” o che “la persona segnalante ha fondato motivo di ritenere che la segnalazione esterna possa comportare il rischio di ritorsioni o possa non avere efficace seguito in ragione delle specifiche circostanze del caso concreto”. In questa ultima prospettiva, può affermarsi che alla luce del D.Lgs. n. 24/2023, il ruolo del lavoratore a seconda delle finalità perseguite oscilla tra l’essere uno strumento imprescindibile della capacità di organizzazione e prevenzione interna dell’ente datore di lavoro e quello di favorire un intervento ab externo a tutela della piena legalità dell’agire della persona giuridica. Tale oscillazione tra i due obiettivi vede come “convitato di pietra” - tale da orientare la scelta legislativa nel perseguire maggiormente un obiettivo piuttosto che l’altro - la maggior o minor fiducia riposta sul datore di lavoro e sulla sua volontà di agire nel rispetto della legalità. Il favorire un disvelamento rivolto verso soggetti diversi dalla parte datoriale presume, quale ulteriore aspetto insanabile nella divaricazione di interesse tra le parti, una sfiducia verso la capacità auto regolativa e di prevenzione del datore di lavoro e la sua ontologica inadeguatezza nel perseguire finalità diverse dalla massimizzazione del profitto. Pur con le molte criticità interpretative nelle scelte adottate, il legislatore sembra aver manifestato un favor netto per il primo orientamento, tentando di sviluppare le segnalazioni come strumento in primo luogo “interno” di organizzazione ma occorrerà attendere come la giurisprudenza valuterà i margini di discrezionalità (invero piuttosto generici) tutt’ora riconosciuti ai lavoratori in tali circostanze. Copyright © - Riproduzione riservata