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Smart working all’estero: come gestire l’obbligo contributivo

A seguito dell’ampio utilizzo dello smart working può accadere che un lavoratore, per motivi personali, decida di trasferirsi all’estero, continuando a lavorare da remoto al 100% con la sede italiana. In questo caso per il datore di lavoro si può porre il problema di individuare le modalità per il corretto adempimento dell’obbligo contributivo. I contributi devono quindi essere versati nel paese in cui viene svolta l’attività agile o nel paese di origine in cui è sorto il vincolo contrattuale e ha sede il datore di lavoro?

È indubbio che negli ultimi anni il lavoro agile ha avuto una ampissima diffusione quale particolare modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Attività lavorativa che può essere svolta in Italia ma anche dall’estero, e in questo caso sia da parte di lavoratori stranieri residenti all’estero ma anche di lavoratori che, magari per motivi personali, decidono di trasferirsi all’estero, pur mantenendo un legame “organico” con la sede di lavoro in Italia. La linea di demarcazione tra telelavoro e lavoro agile è a volte molto labile, soprattutto quando l’attività agile viene svolta nel 100% del tempo lavoro, potendo configurarsi come telelavoro. In tali casi, come deve comportarsi il datore di lavoro per quanto riguarda l’adempimento dell’obbligo contributivo? Nel caso di lavoratori italiani che lavorano “smart” esclusivamente dall’estero, i contributi devono essere versati nel paese in cui viene svolta l’attività agile o nel paese di origine in cui è sorto il vincolo contrattuale e ha sede il datore di lavoro? Lavoro agile all’estero: come gestire il rapporto previdenziale La diffusione del lavoro agile negli ultimi anni è diventato anche uno strumento di reclutamento del personale. È indubbio infatti che molte aziende, soprattutto nel settore IT ovvero in quei settori in cui la prestazione lavorativa può essere svolta da remoto, reclutano collaboratori anche all’estero consentendo di svolgere la prestazione lavorativa da remoto. Ma può succedere anche che tale modalità organizzativa possa essere utilizzata per la gestione di personale italiano che per motivi personali, decide di trasferirsi all’estero, continuando a lavorare, da remoto al 100%, con la sede italiana. Traendo spunto da un messaggio INPS del 2008, cerchiamo di analizzare come deve gestire il rapporto previdenziale il datore di lavoro. A livello generale possiamo sostenere che in ambito previdenziale trova applicazione il principio generale della territorialità, ovvero che l’obbligo contributivo deve essere adempiuto nel paese in cui la prestazione lavorativa viene svolta. Quando parliamo di attività lavorativa svolta esclusivamente in presenza, nessun dubbio si pone. La sede di lavoro coincide con il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa e in tale caso la contribuzione va versata in tale paese. Ma quando siamo in presenza di una attività che viene svolta, interamente o parzialmente da remoto, all’estero? A tale situazione ha cercato di fare chiarezza l’INPS con il proprio msg. N. 9751 del 2008 che ha analizzato il caso del telelavoratore che si trasferisce in un altro Stato dell’Unione europea, equiparando tale situazione al distacco. È pur vero che lo smart working non è situazione analoga al distacco ma potrebbe, pur trattandosi di fattispecie giuridicamente diversa, avvicinarsi al telelavoro. La questione riguardava il caso di una lavoratrice dipendente, impiegata part-time presso un’azienda italiana, che, per un periodo di tempo superiore a due anni, si trasferiva in un altro Paese dell’Unione europea, continuando a lavorare per il proprio datore di lavoro in modalità di telelavoro. L’Istituto premette che la normativa comunitaria in materia di coordinamento dei regimi di sicurezza sociale, contenuta nel regolamento Cee n. 1408/71 e nel Regolamento applicativo n. 574/72, stabilisce il principio generale che legislazione applicabile ad un lavoratore che si sposti da uno Stato all’altro è, in linea di massima, quella del Paese in cui si svolge l’attività lavorativa, a prescindere dalla residenza del lavoratore.

Art. 13 Regolamento 1408/1971 - territorialità dell’obbligo assicurativo. “La persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro o se l’impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro”
Viene prevista una deroga, di carattere temporaneo, a tale principio generale nel caso del distacco, stabilito dall’art. 14, paragrafo 1, lettera a) del Regolamento 1408/1971 (la persona che esercita un’attività subordinata nel territorio di uno Stato membro presso un’impresa dalla quale dipende normalmente ed è distaccata da questa impresa nel territorio di un altro Stato membro per svolgervi un lavoro per conto della medesima, rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro, a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i dodici mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un’altra persona giunta al termine del suo periodo di distacco). In tale ipotesi, al lavoratore viene consentito di mantenere l’assoggettamento alla legislazione previdenziale del Paese in cui opera normalmente durante i periodi di lavoro in altro Stato membro. Secondo l’INPS, il lavoro è considerato effettuato per conto dell’impresa del Paese di invio, allorché vi sia la prova che tale lavoro è effettuato per detta impresa e che sussiste un legame organico tra il lavoratore e l’impresa che lo ha distaccato. Il periodo di distacco è pari a 12 mesi. Per tale periodo, su richiesta del datore di lavoro o del lavoratore, l’istituzione competente dello Stato la cui legislazione rimane applicabile compila e rilascia al richiedente un apposito formulario che attesta l’assoggettamento del lavoratore alla legislazione previdenziale che esso applica. Allo scadere di tale primo periodo si può ottenere la proroga del distacco per altri 12 mesi, previa autorizzazione dell’autorità competente del Paese in cui si svolge il lavoro (art. 14, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1408/71). È, inoltre, previsto che le autorità competenti possano concordare ulteriori eccezioni al principio della territorialità dell’obbligo assicurativo in base a quanto disposto dall’art. 17 del regolamento n. 1408/71. Le richieste di proroga del distacco ai sensi dell’art. 17 vengono, di norma, accettate senza particolari problemi da tutti gli Stati fino ad un periodo complessivo di 5 anni dall’inizio del distacco. Con riferimento al caso in questione, l’INPS sostiene che dal momento che la lavoratrice dipendente, impiegata part-time presso un’azienda italiana, si trasferisce in altro Paese membro dell’Unione europea continuando a lavorare per il proprio datore di lavoro per un periodo di tempo superiore a due anni, trova applicazione l’art. 17 del regolamento n. 1408/71. Pertanto, il datore di lavoro, al fine di continuare a versare i contributi previdenziali in Italia, dovrà inviare alla direzione regionale INPS competente una richiesta di applicazione dell’art. 17 del Regolamento n. 1408/71 in cui avrà cura di specificare: - i dati relativi al lavoratore - la data di nascita - il recapito e il periodo di distacco per il quale si chiede l’esonero dalla legislazione previdenziale del Paese in cui il lavoratore viene inviato. La direzione regionale competente, esaminata la richiesta e verificata la sussistenza dei requisiti, provvederà ad inoltrare la richiesta all’autorità competente dell’altro Stato comunitario ed a comunicare l’esito di tale richiesta al datore di lavoro ed alle istituzioni italiane competente. Copyright © - Riproduzione riservata

Fonte: https://www.ipsoa.it/documents/quotidiano/2023/04/01/smart-working-estero-gestire-obbligo-contributivo

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